Sangue, sudore e lacrime, ecco i wrestler che hanno fatto la storia
Come possa affascinare tanto una disciplina predeterminata come il wrestling non è facile da capire. Né da spiegare! Vedere due persone, due wrestler, salire su un ring e colpirsi nel tentativo di mettere in scena uno spettacolo può risultare incomprensibile, barbarico. Eppure il fascino è proprio questo: quanti sportivi, nel vedere una partita o un incontro del proprio sport preferito, non hanno sognato almeno una volta di poter scrivere la storia di quel match, magari per fare in modo che gli eventi avessero un lieto fine per i colori amati? Siamo sicuri siano in tantissimi, perché in fi dei conti il wrestling ci concede proprio questo. Ci dà la possibilità di sognare un lieto fine per i nostri campioni, quegli strani eroi colorati, folli e inarrestabili che calcano il ring, desiderosi di vincere per poter alzare le braccia e una cintura al cielo.
Sono stati tantissimi i nomi nei cuori dei fan di vecchia data (quelli in grado di ricordare le trasmissioni su qualche emittente locale). E fare una lista può risultare difficile, quasi impossibile, costringendo tanti nomi a restare a guardare mentre altri si prendono i posti migliori. Ma possiamo comunque provarci, dire quali siano stati quei lottatori che, nel corso degli anni, ci sono rimasti nel cuore e nella mente.
1. Hulk Hogan
Hulkamania is running wild, brother! Non si può che iniziare questa lista da quello che è stato il simbolo e il cardine della trasformazione del wrestling da evento locale a prodotto di massa, l’artefice della Rock n’ Wrestling Connection che ha fatto la fortuna di Vince McMahon e di questo spettacolo.
Terry Gene Bollea, noto come Hulk od Hollywood Hogan è stato l’icona del wrestling mondiale per anni. Ancora oggi, se qualche fan nomina l’Hulkster a una persona priva di conoscenze della disciplina, è facile che costui abbia sentito almeno una volta il suo nome.
Hulk rappresentava una propria versione del sogno americano, quella del discendente di una famiglia di immigrati che riusciva a raggiungere la vetta e a rappresentare la “terra delle opportunità”. Dopo delle esperienze non facili nella WWF e in AWA (dove ben due vittorie del titolo mondiale non gli furono riconosciute), Hogan si fece le ossa in Giappone, dove fu soprannominato Ichiban, il Numero Uno. Quando tornò nella WWF (oggi WWE) si impose velocemente come il volto di punta della compagnia e dello sport spettacolo in generale.
La notte del 23 Gennaio 1984 al Madison Square Garden di New York riuscì nell’impresa di spezzare la Camel Clutch di The Iron Sheik, ottenendo la sua prima vittoria del titolo mondiale. Era nata l’Hulkamania.
Hogan rimase al top della disciplina per quasi vent’anni, passando anche in WCW e vincendo titoli su titoli. Fu tra i fondatori della stable nWo, mostrando le sue capacità anche come heel, ovvero come uno dei cattivi. Se è vero che negli anni la carriera di Hogan è stata adombrata dalle politiche discutibili di spogliatoio e dalle dichiarazioni molto poco politically correct, è impossibile non associare il ring ai suoi colori e ai suoi tifosi, a quel body slam fatto al colossale André The Giant e a quella musica che dichiarava l’orgoglio per la propria nazione.
2. The Undertaker
Gimmick nel mondo del wrestling indica un personaggio. Ed è indiscutibile che la più grande gimmick nella storia della disciplina sia stata quella interpretata da Mark William Calaway, nome d’arte The Undertaker.
Dopo parecchi anni di gavetta con vari personaggi, Mark giunse nell’allora WWF nell’autunno del 1990. Presentato come membro misterioso del Million Dollar Team di Ted DiBiase nel corso delle Survivor Series, da allora la carriera del becchino fu un crescendo incredibile, che lo portò in tempi brevi a battere Hulk Hogan per il suo primo titolo mondiale, dopo appena un anno negli show della federazione.
Quel personaggio oscuro, misterioso e quasi imbattibile, capace di affascinare i fan sia da heel che da babyface, al centro di rivalità leggendarie con Hogan, il “fratellastro” Kane, Mankind (con cui disputò un sanguinoso Hell in A Cell, un match col ring circondato da una gabbia, nel 1998), Stone Cold e Shawn Michaels, rimanendo per quasi venticinque anni il franchise player della WWE, il suo lottatore più fedele, sordo alle lusinghe di altre federazioni più quotate e potenti. Una scelta che, alla fine, gli ha dato ragione, rendendolo un simbolo da prendere a esempio per tutti i giovani talenti che si approcciano a questa disciplina. La sua considerazione nello spogliatoio è stata tale, all’apice della carriera, da fargli assumere il ruolo di “giudice” nelle controversie che si sviluppavano tra i lottatori, una figura affidabile e carismatica a cui i colleghi si rivolgevano per avere consigli.
Ormai quasi del tutto ritirato, Undertaker si è distinto oltre che per un invidiabile palmarès, anche per essere stato imbattuto fino al 2014 a Wrestlemania, il più importante show dedicato al wrestling nord americano. E, anche se ormai non calca più il ring, non c’è fan che non si emozioni a sentire il rintocco delle campane e nel vedere la luce dell’arena spegnersi, poco prima che i lampi illumino lo stage preannunciandone l’arrivo.
3. Ric Flair
Wooo! Non c’è altro modo per iniziare a parlare di Richard Morgan Fliehr, ovvero The Stylin’, profilin’, limousine riding, jet flying, kiss-stealing, wheelin’ n’ dealin’ son of a gun… Ric Flair!
Con i suoi sedici titoli del mondo ufficialmente riconosciuti, Flair è forse la più grande leggenda del mondo del pro-wrestling, uno dei wrestler più titolati e vincenti della storia, un record che solo in tempi recenti è stato eguagliato (da un certo John Cena…).
Il Nature Boy era ed è uno dei personaggi che ha fatto scuola in tutto il mondo, un convitato di pietra per chiunque decida di calcare un ring. Con la sua mossa finale, la famosa Figure 4 Leg Lock ha sottomesso alcuni dei più grandi nomi di questo sport, dando vita a rivalità leggendarie con Ricky Steamboat, Hulk Hogan, Sting, Triple H e tanti altri grandi nomi di questa disciplina, fondando uno dei gruppi più noti e vincenti del pro wrestling, i Four Horsmen.
Sentire il suo “Wooo!” seguito dalle inconfondibili note di “Così parlò Zarathustra” di Strauss, vedere la sua chioma platinata sul ring sono cose che, ancora oggi, strappano una lacrima e un sorriso ai vecchi fan di wrestling, consapevoli di avere davanti una delle maggiori leggende di questo sport. Una tradizione di famiglia che continua ancora oggi con sua figlia Charlotte, uno dei volti di punta dell’attuale WWE.
4. Sting
Lo scorpione, e una delle due “icone” del wrestling, l’uomo che si oppose allo strapotere di Ric Flair e dei suoi Horseman nel corso di molti anni di lotte, Steven Borden, in arte Sting, è uno dei nomi più importanti nella storia di questo sport-spettacolo.
Dopo i primi anni nei Blade Runners (con un certo Jim Helwig… noto come… Ultimate Warrior) iniziò una scalata inesorabile ai vertici della disciplina, che lo vide conquistare il suo primo titolo del mondo il 31 Marzo del 1989, nella storica NWA. Fino alla metà degli anni ‘90 la sua iconica pettinatura bionda e il suo facepaint sgargiante fecero di lui uno dei simboli della WCW, uno dei suoi wrestler di punta e uno dei fedelissimi che si opposero all’nWo di Hollywood Hogan.
Fu proprio nella rivalità con il corrotto Hogan che il suo personaggio cambiò, prendendo palese ispirazione al Corvo di Brandon Lee, mostrandosi come una sorta di giustiziere silenzioso, pronto a correggere i torti della sua federazione, a cui rimase fedele fino alla chiusura, avvenuta nel 2001.
Dopo una parentesi in una federazione australiana, Sting fece il suo ritorno in TNA, quella che rimase per qualche anno grazie anche alla sua presenza la seconda federazione del nord America, dove intraprese faide con nomi del calibro di AJ Styles, Kurt Angle, Jeff Hardy e Samoa Joe. Prima di ritirarsi dalle scene è riuscito ad avere anche un brevissimo stint in WWE, dove ha portato avanti una faida con Triple H, conclusasi a Wrestlemania.
5. The Rock
If you can smeeeell… what The Rock is cooking! Difficile pensare che qualcuno, al giorno d’oggi, non conosca il nome di Dwayne Johnson. Figlio d’arte e proveniente da una lunga stirpe di lottatori samoani, The Rock arrivò in WWF dopo un breve periodo come giocatore di football americano.
Quando esordì col nome di Rocky Maivia, tutti erano curiosi di vedere questo giovane talento all’opera, figlio e nipote di alcune leggende di questo sport. E, ci credereste? I primi tempi Rocky era odiatissimo dal pubblico! La WWF lo “pusho” (letteralmente, lo spinse) troppo presto, cercando di imporlo come uno dei volti di punta e dandogli quasi subito il prestigioso titolo Intercontinentale della WWF, cosa che portò il pubblico nelle arene a cantare spesso “Rocky Su*ks” e il meno diplomatico “Die, Rocky! Die!”.
Altri, al suo posto, si sarebbero rassegnati. Ma non lui. Negli anni cambiò il suo personaggio, iniziando a parlare di se stesso in terza persona, come The Rock. Poco alla volta i suoi segmenti al microfono divennero alcuni dei momenti migliori dello show, la sua parlantina e la sua espressività conquistarono il pubblico, trasformandolo da odiatissimo heel ad apprezzatissimo face, il People’s Champion capace di far impazzire il pubblico solo alzando un sopracciglio. Una carriera quella di Rocky tutto sommato breve sul ring, a cui si affiancò quella ben più lucrosa come attore. E, nonostante questo, Dwayne The Rock Johnson è riuscito a conquistare un numero rispettabile di titoli del mondo, ben otto, tra cui l’ultimo sottratto a CM Punk, ponendo fine a quello che era stato il regno più lungo dell’era moderna del pro-wrestling.
6. Stone Cold Steve Austin
Oh hell yeah! Pochi avrebbero scommesso su questo ragazzo quando arrivò in WWF con una gimmick ridicola (il Ringmaster…) e un repertorio sul ring decisamente inferiore ad altri colleghi. E invece in pochi anni Steve Austin sarebbe diventato l’icona dell’Attitude Era, quel periodo fatto di contenuti espliciti e violenti tipici della fine degli anni ‘90, l’uomo che con la sua rivalità con Vince McMahon salvò la WWF/E dal baratro e gettando le basi del suo monopolio.
Tutto iniziò a King of The Ring 1996, quando dopo una brevissima finale Stone Cold si aggiudicò il titolo ai danni della leggenda Jake The Snake Roberts, rifiutando l’incoronazione tradizionale di fine torneo e pronunciando quel famoso discorso, quel suo «”Austin 3:16″ says I just whipped your *$$!»
Del resto tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo sognato di farla pagare al nostro capo. E non poteva che far piacere vedere questo tizio arrivare sul ring, scolarsi ettolitri di birra come se non ci fosse un domani e poi colpire con la sua Stunner l’odiatissimo e viscido proprietario della federazione, Vince McMahon.
Anni, quelli del duello tra Vince e Stone Cold, che caratterizzarono l’intera federazione e riscrissero il modo di concepire la disciplina, facendo di lui una vera e propria icona della cultura pop (quanti di voi si ricordano della sua presenza fissa a Celebrity Deathmatch?).
Una carriera breve, anche per colpa del brutto piledriver che lo scomparso Owen Hart gli rifilò a Summerslam 1996, ma ricca di soddisfazioni, non ultima quella di aver definito il ruolo del tweener, ovvero quello di un wrestler capace di vivere nella zona grigia esistente tra face ed heel.
7. Eddie Guerrero
Potrebbe sembrare strano l’inserimento di Eddie Guerrero in questa lista, costellata di campioni e icone ben più famose e vincenti. Eppure Eddie ha rappresentato tantissimo per il fan italiano di wrestling, il volto sorridente e guascone che ha accompagnato il pro-wrestling fuori dal periodo di buio in cui era precipitato nelle trasmissioni italiane.
Una vita, quella di Eddie, folle e per certi versi condannabile. La carriera di Eddie sembrava destinata a eclissare i suoi familiari. Divenuto il più vincente della stirpe dei lottatori Guerrero, questo non sembrò mai bastargli, così come non sembrano aiutarlo l’amore della moglie Vickie, l’affetto delle figlie e di tutti i suoi parenti. Per quanto Eddie vincesse, la sua vita fu sempre segnata da droghe, antidolorifici e alcol.
I suoi demoni, così come i suoi amici, non lo abbandonarono mai, causando un lungo stop nella sua carriera proprio quando sembrava finalmente essere arrivato all’apice, in quella WWE dove era appena passato con i suoi fratelli d’arme, Dean e Chris.
Dopo un brutto incidente che gli costò quasi la vita, Vince McMahon lo licenziò. Eddie lottò contro i suoi demoni per due anni, tornando in WWE nel 2002 e riuscendo a imporsi nuovamente come uno dei suoi nomi di punta, grazie al suo personaggio e al suo motto: Lie, Cheat, Steal (nato, caso curioso, osservando il proprio chihuahua che rubava i giocattoli delle figle). Quando l’arbitro era distratto Eddie faceva scattare il vero show: riusciva a inscenare una truffa ai danni del direttore del match, facendogli credere di essere stato colpito in maniera scorretta dall’avversario. E, a quel punto, riusciva ad approfittarsi della situazione, vincendo il match.
Il pubblico lo adorava, le sue entrate al bordo delle coloratissime low rider erano sempre un momento di grande divertimento e i suoi promo al microfono davano sempre ai fan un motivo di divertimento, portandolo sulla vetta, a quel titolo del mondo della WWE che mai nessuno della sua famiglia aveva mai osato anche solo sperare, battendo un mostro come Brock Lesnar la notte del 15 febbraio 2004.
A fine 2005 tutto sembrava suggerire che Eddie Guerrero dovesse tornare a vincere il titolo del mondo. Ma i suoi demoni e una vita di eccessi presentarono il conto la mattina del 13 Novembre 2005, quando il nipote Chavo Guerrero lo trovò morto nella sua stanza d’albergo.
Di Eddie ci resta il suo sorriso da canaglia e i suoi match contro l’amico e rivale Rey Mysterio, con cui intraprese alcune faide leggendarie. Ma, soprattutto, quella voglia di riscattarsi, che nonostante tutto non lo abbandonò mai e seppe, almeno una volta, tirarlo fuori dal baratro.
8. Tiger Mask
Go, go Tiger! Go, go Tiger! Quando un elemento della cultura popolare diventa così importante da convincere una federazione di lotta a cambiare i propri piani.
Tanti di noi si sono appassionati alle avventure dell’Uomo Tigre, alle sua lotte contro Tana delle Tigri al fianco di Antonio Inoki e di Giant Baba. E non siamo stati certo i soli, visto che nel lontano 1981 la Toei Animation e la New Japan Pro Wrestling si misero d’accordo per dare vita al personaggio di Ikki Kajiwara, affidandone la maschera a Satoru Sayama.
Per tre anni Sayama calcò i ring del Puroresu vestendo i panni di Tiger Mask, prima di abbandonare questo personaggio. Da allora altri quattro lottatori ne hanno preso il posto, tra cui spicca il quarto, Yoshihiro Yamazaki, capace di conquistare per ben sei volte il titolo dei pesi leggeri della NJPW e di vincere due volte il Best of Super Juniors, il prestigioso torneo dedicato alla sua categoria. Yamazaki si è distinto soprattutto per essere il wrestler che ha indossato più a lungo la maschera di Naoto Date, arrivando a identificarsi completamente col personaggio.
Ma è poi davvero importanti chi si celi dietro la maschera quando si parla di Tiger Mask? I fan, quando sentiranno il ruggito della tigre, sapranno per certo che sul ring ci sarà qualcuno pronto a lottare per loro, a dare il massimo mettendo in scena uno spettacolo memorabile e facendoli tornare un po’ bambini, quando guardavano un altro Uomo Tigre combattere per il bene e donare la borsa del match agli orfani.
9. Ultimate Warrior
Una corsa folle verso il ring, una capigliatura selvaggia che volteggia nell’aria e le corde che tremano, spinte da un colosso di 191 cm e di 125 Kg. Jim Helwig, ovvero Ultimate Warrior, forse uno dei personaggi più iconici e ricordati con affetto di questa disciplina.
Inutile girarci intorno. Warrior era pura energia, e pure chi non l’ha visto lottare dal vivo riesce a percepire l’eccitazione che questo lottatore trasmetteva ai fan nelle arene. Una promessa mancata quella di Warrior, spezzata da una sregolatezza che avrebbe potuto farne un grande di questo sport-spettacolo e che invece si rivelerà solo una meteora, ricordata con enorme affetto per quanto fatto vedere sul ring. Fuori dal ring Jim non si fece certo amare: i colleghi lo consideravano una primadonna, e persino i sui sostenitori più accaniti, come lo stesso Vince McMahon, furono costretti a lasciarlo andare di fronte a delle pretese sempre più folli, continuate negli anni con dichiarazioni non certo lusinghiere verso alcune categorie.
Ma niente di questo può intaccare ciò che Warrior era sul ring: uno spirito ribelle, quello di una generazione, la stessa che si stava affacciando agli anni ‘90, che voleva lasciarsi alla spalle un decennio di delusioni e proiettarsi al futuro con grinta ed energia. Una scarica di adrenalina improvvisa che faceva impazzire i tifosi, capace di intaccare persino la popolarità di Hulk Hogan a inizio anni ‘90, quando i due si affrontarono in un match con in palio i due titoli principali della federazione, uno scontro di due generazioni che per tutti ebbe il sapore di un passaggio della fiaccola. Lo stesso Warrior, a fine match, non seppe contenere le lacrime per quel momento, consapevole di quello che era riuscito a fare.
Warrior ci ha lasciato l’8 Aprile del 2014, poche ore dopo essere salito sul ring un’ultima volta per salutare i propri fan. A loro ha passato la torcia e lo spirito dell’Ultimate Warrior, dichiarando “You are the Ultimate Warrior fans. And the spirit of the Ultimate Warrior will run forever!”
10. Roddy “Rowdy” Piper
“Quando credono di avere le risposte… io cambio le domande”. Questo era il motto di Roddy “Rowdy” Piper, il canadese che portava sul ring le proprie origini scozzesi e entrava nelle arene accompagnato dal suono delle cornamuse. Senza dubbio uno dei wrestler più carismatici mai apparsi sul ring di una federazione del Nord America. Certo il suo palmarès non è ricco come quello di altri lottatori presenti in questa lista, ma di sicuro Rowdy era capace di scatenare reazioni nel pubblico come solo un grande interprete sapeva fare. Le sue doti recitative gli consentivano di portare i fan esattamente dove voleva lui, facendoli scatenare o zittendoli con pochissime parole.
Inventore dei talk show all’interno degli show di wrestling, il suo “Piper’s Pit” segnò un’epoca e un modo di parlare con il pubblico rivoluzionario. Storiche alcune scene come i segmenti con Adrian Adonis e la volta in cui ruppe una noce di cocco sulla testa di Jimmy Snuka. O, ancora, la volta che a Wrestlemania Stone Cold lo schiaffeggiò e per tutta risposta lui sorrise, affermando “Un po’ mi è piaciuto”.
Fuori dal ring era conosciuto anche per la sua carriera di attore, tra cui brilla la sua interpretazione in “Essi vivono” di John Carpenter, una pietra miliare al confine tra l’horror e la fantascienza.
Roddy si è spento nel 2015, segnando profondamente i fan e i suoi amici, che lo ricordano tuttora con grandissimo affetto. Per omaggiarlo la campionessa delle MMA Ronda Rousey, da poco passata alla WWE, ha preso il suo soprannome, quel Rowdy che lo ha contraddistinto per quasi tutta la carriera, portando con sé una delle sue giacche di pelle, dono dello stesso figlio di Roddy, un gesto di apprezzamento verso un affettuoso tributo.
Bonus: Daniel Bryan
YES! YES! YES! La vita non sempre ci mostra un lieto fine. Anzi, alle volte sa essere crudele e riserva alle persone un trattamento davvero meschino. Ci sono però quei casi in cui tutto sembra concludersi al meglio. “Quando combatti per il tuo sogno e, alla fine, il tuo sogno combatte per te”.
Bryan Danielson è forse uno dei nomi più conosciuti nel panorama del wrestling attuale. Un ragazzo di appena 174 cm, ma dotato di una tecnica sopraffina, capace di dare a ogni fan quella sospensione dell’incredulità necessaria per questa disciplina.
Vederlo in azione con la barba e la chioma al vento, mentre con i suoi calci e le sue prese si abbatte contro l’avversario, è sempre uno spettacolo. Eppure Daniel Bryan è qualcosa di più di un semplice lottatore. È una storia a lieto fine, fatta di cadute clamorose e di resurrezioni ancor più straordinarie.
Figlio di un cartaio di Aberdeen nello stato di Washington, Bryan inizia da giovanissimo ad appassionarsi al mondo del wrestling, venendo allenato dai grandi di questa disciplina. Persone del calibro di Dean Malenko, Shawn Michaels e, soprattutto, William Regal. La sua formazione lo condusse in Giappone, dove spiantato e senza mezzi di sussistenza si ritrovò a dormire nei dojo pur di riuscire ad apprendere le necessarie tecniche di lotta per diventare uno dei migliori.
Negli anni, ovunque andasse, Bryan si distingueva per la sua umiltà e la sua voglia di fare. Il suo desiderio di chinare la testa e lavorare sodo, senza alcuna ambizione, desideroso solo di padroneggiare le tecniche al meglio e trovando un puro godimento nell’eseguire alla perfezione le mosse che gli erano state trasmesse dai veterani.
Tornato negli States si impose come uno dei volti di punta della Ring of Honor, prima di approdare nel 2009 alla WWE. Dopo una lenta gavetta, costellata di premi ma anche di amare delusioni (come quel match maledetto di Wrestlemania 28), Bryan si conquistò un affetto così grande da parte del pubblico da scatenare reazioni incredibili da parte dei tifosi, esaltati dai suoi “Yes!”.
Una scalata che raggiunse la sua vetta nella notte di Wrestlemania XXX, il 6 Aprile 2014. Il ragazzo di Aberdeen, l’uomo in cui nessuno credeva e che era arrivato all’evento principale del più importante show di wrestling del pianeta a furore di popolo, in una notte sconfisse tre dei più grandi wrestler della federazione (Triple H, Randy Orton e Batista), laureandosi campione del mondo.
Quella che sembra una fiaba a lieto fine viene spezzata da una serie di infortuni. Le numerose commozioni cerebrali chiedono pegno e Bryan deve lasciare i propri titoli, annunciando il proprio ritiro dalle scene.
Tutto sembra finito, una bella storia con una conclusione triste, ma appena un paio di mesi fa le cose cambiano. Dopo anni di riabilitazione, esercizi e test medici Daniel Bryan viene dichiarato guarito. I postumi dei traumi sembrano scomparsi grazie alle tecniche sperimentali a cui si è sottoposto, dandogli così la possibilità di tornare a fare ciò che ama: lottare! E i fan, apprendendo questa notizia, non possono fare altro che sognare, aspettando di vedere quel momento in cui, ancora una volta, a Daniel Bryan verrà concesso di alzare una cintura al cielo, urlando a squarciagola con il suo pubblico “Yes! Yes! Yes!”.