Dieci cose che potresti non sapere su Le follie dell’imperatore
Quest’anno l’imperatore diventa maggiorenne sul serio. Eh già, perché la storia del viziato Kuzco, delle sue follie e dell’avventura alla vigilia del diciottesimo compleanno sta per raggiungere la maggiore età.
Uscito nei cinema americani il 15 dicembre 2000 e giunto da noi con uno straordinario doppiaggio ad aprile dell’anno successivo, Le follie dell’imperatore è il quarantesimo classico Disney, nonché il più sorprendente dei lungometraggi dell’epoca post-rinascimentale, il periodo di grande sperimentazione narrativa che va dal 2000 al 2009 e che ha sfornato capisaldi dell’immaginario collettivo come Lilo e Stitch, ma anche prodotti più che dimenticabili (qualcuno ha per caso detto I Robinson?).
Ma Le follie dell’imperatore non è solo un buddy movie pieno di frasi che un’intera generazione è in grado di ripetere a memoria a quasi vent’anni dalla prima visione, è anche un cartone dalla genesi travagliata e pieno di piccoli dettagli che forse continuano a sfuggirvi nonostante lo conosciate ormai a memoria. Non ci credete? Leggete un po’ qua sotto.
1. All’inizio era un musical romantico
Stando al primo concept, presentato al CEO Eisner nel 1994 dal co-direttore de Il re leone Roger Allers, Le follie dell’imperatore avrebbe dovuto intitolarsi Kingdom of the Sun – Il regno del sole – e avere una struttura molto simile a Il principe e il povero di Mark Twain, con uno scambio di identità tra l’imperatore e un contadino che gli somiglia come una goccia d’acqua. Questa prima versione si presentava come un classico lungometraggio con numeri musicali, dramma, e storie d’amore, tuttavia l’insuccesso in termini economici e di critica di Pocahontas e Il gobbo di Notre-Dame fece riflettere lo studio sull’esigenza di cambiare tendenza, puntando più alla commedia.
Vennero così alleggeriti i toni, tolti i riferimenti allo scambio di persona e ripensato il personaggio di Yzma, originariamente una strega ossessionata dalla bellezza e dalla gioventù al punto da evocare il dio della morte Supay per spegnere il sole (colpevole con i suoi raggi di rovinarle la pelle). In questo processo di trasformazione vennero eliminati molti personaggi e tagliate tutte le canzoni scritte da Sting per Kingdom of the sun, strettamente intrecciate a una trama che si era ormai deciso di abbandonare. Tuttavia, considerata la recente tendenza dello studio a sfruttare il lato più dark delle proprie storie per portare al cinema nuovi live-action, non è detto che prima o poi anche Kingdom of the sun non raggiunga il grande schermo.
2. Il personaggio di Kronk non era stato previsto
Tra i personaggi eliminati nel passaggio dal musical alla slapstick comedy ci sono due donne: la promessa sposa dell’imperatore, Nina, che avrebbe dovuto essere doppiata dall’infestata mamma di Hill House, Carla Gugino, e Mata, una pastorella di lama che – supponiamo – avrebbe finito per diventare imperatrice dopo la redenzione di Kuzco.
Mata avrebbe dovuto essere un personaggio sarcastico e schietto in grado di aiutare il lama imperatore a comprendere i suoi errori e a diventare una persona migliore. Il nome è stato poi mantenuto per la cameriera della locanda in cui si incontrano/scontrano i protagonisti con la coppia formata da Yzma e Kronk.
E a proposito di Kronk: il suo personaggio è stato inserito nel cast dopo lo stravolgimento di trama; inizialmente Yzma sarebbe stata affiancata da un talismano animato, che stancatosi dei metodi dell’imperatore avrebbe complottato alle sue spalle con la strega per toglierlo di mezzo. Hucua, questo il suo nome, è stato soppiantato dal modello di quest’anno, Kronk, ma fa comunque un’apparizione sul tavolo della cena, sotto forma di innocuo candelabro.
3. Dobbiamo ringraziare Sting per il finale
La travagliata relazione di Sting con questo lungometraggio è raccontata dalla moglie nel documentario indipendente The Sweatbox, ma per volerla riassumere possiamo dire che del lavoro originale di Sting non rimase praticamente niente nella versione finale: tutte le canzoni vennero rimosse perché troppo legate alla trama di Kingdom of the sun per essere usate ne Le follie dell’imperatore, a eccezione della sigla, Perfect World, che però Sting si rifiutò di interpretare sostenendo di essere troppo vecchio per quel ruolo. Venne poi scelto come suo sostituto Tom Jones, di dieci anni più vecchio del cantante dei Police.
Nonostante il mezzo fiasco di questa collaborazione, però, dobbiamo ringraziare Sting per essersi imposto nel cambiare il finale del film: in quella che era a tutti gli effetti la versione definitiva, Kuzco costruisce la sua villa – con tanto di scivolo acquatico – disboscando la collina accanto a quella di Pacha, e invita tutta la famiglia del contadino a passare l’estate con lui. Il cantante scrisse che se quella fosse stata la versione definitiva lui si sarebbe tirato fuori dal progetto, poiché una simile conclusione andava contro la sua visione ambientale, non era rispettosa delle lotte per i diritti delle popolazioni indigene e, in sostanza, mostrava come Kuzco fosse ancora una persona incapace di vedere al di là del proprio naso. Per questo motivo nella versione definitiva vediamo Kuzco vivere in un’abitazione molto più integrata nell’ambiente circostante, mentre il parco giochi viene sostituito da una cascatella naturale, come a indicare che la natura è già prodiga di doni, senza il bisogno dell’intervento umano.
4. Kuzco ha rischiato di avere un nome molto imbarazzante
Nella prima stesura, l’imperatore avrebbe dovuto chiamarsi Manco, termine pressoché uguale al giapponese manko, o omanko, usato in slang per definire volgarmente i genitali femminili. Dopo la fortuita scoperta del produttore Randy Fueller, che avrebbe creato un precedente enorme che forse avrebbe permesso anche a noi italiani di vedere Moana, anziché Oceania, venne deciso di optare per un nome parlante più tranquillo, ispirato alla capitale dell’impero Inca, Cuzco.
E, a proposito di nomi parlanti, Pachacamac è un’altra antica città peruviana, ma anche il nome di una divinità inca: secondo la leggenda, il dio e la sua sposa, Pachamama (madre terra), si prendevano cura degli esseri umani vigilando su di loro insieme ai figli Inti e Mamaquilla. Ma anche non volendo sconfinare nella complessa mitologia inca, la parola Pacha significa terra, un nome più che azzeccato per il personaggio.
5. Assistiamo alla prima gravidanza in casa Disney
E se la moglie di Pachacamac era la dea Pachamama, legata alla nascita e alla fertilità, è scontato paragonarla a Chicha, una delle poche mamme dei classici Disney a sopravvivere per tutta la durata del film, nonché una delle donne più equilibrate della storia dei cartoni animati. Oltre a questi meriti, Chicha è anche la prima rappresentazione di una donna incinta a comparire sullo schermo di un film Disney.
6. Kuzco soffre di una fobia legata alla perdita dei suoi genitori
E che dire, invece, dei genitori del protagonista? Come molti suoi colleghi, Kuzco è un orfano cresciuto da una figura materna surrogata non proprio eccellente. È proprio Yzma a dire di aver praticamente cresciuto l’imperatore, e non ha certo fatto un lavoro eccellente. Ma che fine hanno fatto l’imperatore padre e la sua consorte? In un episodio intitolato, appunto, Il padre di Kuzco della serie animata A scuola con l’imperatore, andata in onda su Disney Channel dal 2006 al 2008, si scopre che la madre di Kuzco morì di parto, mentre il padre venne dato per disperso durante un viaggio in mare di poco successivo.
In classico stile Walt Disney, il protagonista cresce senza figure genitoriali, “educato” da una matrigna avida di potere e povera di affetto nei suoi confronti. Proprio per questa sete di controllo di Yzma, è stata anche avanzata l’ipotesi che sia stata lei stessa a far sì che l’imperatore non tornasse dal suo viaggio, così da plagiare la giovane mente dell’erede al trono, governando al suo posto. Un’infanzia triste, quella del piccolo Kuzco, circondato dagli agi ma non dall’amore, tanto è vero che la sua afefobia (repulsione nei confronti del contatto fisico) potrebbe essere un’espressione del trauma di deprivazione affettiva in giovane età.
7. Yzma e Kronk cadono in un vero e proprio buco di trama
Possiamo affermare che Kuzco sia il Deadpool dei classici Disney: ne Le follie dell’imperatore non troviamo infatti solo omaggi a cult del cinema come Il mago di Oz (seppur con un gioco di parole intraducibile in italiano) o L’esperimento del dottor K. (su questo punto torneremo in seguito), ma un vero e proprio sfondamento della quarta parete a partire dalla scena di apertura, in medias res, commentataci dall’imperatore stesso. Questa tecnica, che aumenta il coinvolgimento del pubblico e amplifica l’ironia che permea tutto il film, viene sfruttata addirittura per sottolineare la presenza di un plot hole così palese che sarebbe stato impossibile da far passare altrimenti inosservato. Come hanno fatto Yzma e Kronk a raggiungere il palazzo prima di Kuzco e Pacha? Bella domanda, se lo staranno chiedendo tutti in sala, risponde Kronk, senza che nessuna spiegazione venga effettivamente data. In questo modo, si trasforma un’incongruenza in una scenetta che permette a tutti – spettatori, sceneggiatori e personaggi stessi – di non porsi la questione.
8. Le follie dell’imperatore cita Quarto potere
Tutto il lungometraggio è costellato di visual joke che i più attenti di voi avranno già individuato: il più famoso riguarda il cactus in cui Yzma versa la pozione destinata a Kuzco, che diventa nell’inquadratura successiva una pianta a forma di lama, ma oltre a questo possiamo individuare le figure nel murales alle spalle di Kronk che lo indicano mentre questo cerca di sbarazzarsi di Kuzco, e le foglie degli alberi sullo sfondo della radura in cui dormono le pantere che formano il profilo di un teschio. Inoltre, la scena in cui la telecamera si allontana dal palazzo fino a riprendere una scimmia seduta su un ramo, intenta a mangiare degli insetti, è un omaggio alle scene iniziali di Quarto Potere, in cui si vede una ripresa simile fuori da Villa Xanadu (o Candalù).
9. C’è un omicidio nel film
Un omaggio che merita di essere trattato a parte è quello al film del 1958 L’esperimento del dottor K. (The Fly). La scena in cui Kuzco assiste alla cattura di una mosca nella tela di un ragno, nella foresta, è una palese citazione dell’horror fantascientifico con Vincent Price, ma il motivo per cui questo omaggio è importante è perché potrebbe trattarsi a tutti gli effetti di un caso di omicidio: Kuzco infatti sente chiaramente la mosca chiedere aiuto con voce umana e, se ci fate caso, gli unici animali in grado di farsi capire dagli esseri umani, nel film, sono quelli che hanno subito l’effetto delle pozioni di Yzma, come le guardie (lo scoiattolo, invece, interagisce solo con Kronk, che parla lo scoiattolese).
A chi potrebbe essere dunque toccata la crudele sorte di finire in pasto al ragno? Nel momento in cui Yzma decide di eliminare l’imperatore per poter regnare, sostiene che nessuno, a parte lei, Kronk, e Kuzco, sia a conoscenza del suo licenziamento; tuttavia nel momento in cui viene sollevata dall’incarico, vediamo uno scriba intento a prendere appunti. Che sia stato lui la prima (e unica) vittima di Yzma?
10. Il doppiaggio italiano è anche meglio dell’originale
Il motivo per cui Le follie dell’imperatore è rimasto nel cuore di molti di noi è la presenza di tantissime frasi iconiche, entrate nel vocabolario quotidiano di un’intera generazione: chi di noi non si è mai trovato a esclamare mi hai rotto il ritmo o (totalmente fuori contesto) non scendo a patti con contadini? La scelta dei doppiatori, a partire da Luca Bizzarri (Kuzco) e Paolo Kessisoglu (Kronk), per non parlare di Anna Marchesini nel ruolo di Yzma, ha reso il lungometraggio un’immortale fonte di divertimento e citazioni.
Ma l’adattamento italiano ha fatto ben di più, aggiungendo gag laddove non ne esistono in lingua originale. Un paio di esempi: “Ci sei?” “No, sono al bar”, è uno scambio di battute di molto superiore alla controparte inglese “Are you ready?” “Yes”, mentre il “ho ucciso per molto meno” di Yzma, svegliata da Kronk nel cuore della notte è, in originale, un meno incisivo “this had better be good”.