Tu guardi, ma non osservi

La nuova stagione di Sherlock è cominciata e lo ha fatto con due botti diversi. Il primo di trama, il secondo di critica. Di entrambi, comunque, si è già detto più o meno tutto. Proprio di recente, infatti, abbiamo detto la nostra sia sui motivi che ci lasciano perplessi relativamente alle critiche rivolte dal settore al cambio di sceneggiatore (da Steve Moffat a Mark Gatiss), sia all’episodio in sé che abbiamo ritenuto molto valido ed intelligente. Come sia sia, Sherlock è comunque tornato e noi, da granitici fan, ci siamo divertiti a sviscerare un po’ di reference nascoste nel primo episodio della quarta stagione “The Six Tatchers”. Il perché è presto detto: abbiamo subito una vera e propria fascinazione per la semiotica ed il simbolismo di cui l’episodio è infarcito sicché, ad una seconda visione, siamo andati a spulciarci un po’ di easter egg.
Perché? Ma elementare Watson, per mero spirito investigativo!
Altrettanto evidentemente: NON LEGGETE QUESTO ARTICOLO SE SIETE SENSIBILI AGLI SPOILER.

14 – Chi sono Langdale e Porlock?

All’inizio dell’episodio assistiamo alla scena in cui l’MI6 discute della situazione di Sherlock, della morte di Magnussen e del ritorno di Moriarty. Quando Mycroft fa l’appello dei presenti per i verbali ufficiali, non cita ovviamente i nomi dei presenti, ma i loro nomi in codice, ossia: Antartica, Langdale, Porlock e Love. Sappiamo già, per esigenze di trama, a cosa faccia riferimento la parola “Love”, mentre è un mistero quello relativo agli altri tre. Dando per buono che per il suo freddo distacco “Antartica” sia il nome in codice di Mycroft, restano due nomi che, ovviamente sono riferiti agli altri due presenti. Ma perché quei nomi? Si tratta nulla più che di un riferimento al canone letterario in cui Langdale Pike e Porlock appaiono come effettivi personaggi. Il primo è un giornalista di gossip, nonché un informatore di Sherlock, che farà la sua comparsa ne “L’avventura dei Three Gables”, racconto canonico presente nella raccolta del 1927 “Il taccuino di Sherlock Holmes”. Il secondo è invece un agente doppiogiochista che, lavorando per Moriarty, farà da spia per Sherlock. Il personaggio compare nel romanzo del 1915 “La Valle della paura” che, per la precisione, è il quarto e ultimo romanzo avente per protagonista l’investigatore di Baker Street.

13 – Dimmock e Hopkins

Ritornati a Baker Street, assistiamo ad una scena in cui tre diversi detective, Lestrade compreso, si avvicendano alla porta di Sherlock per proporgli dei casi. Gli altri due detective sono accreditati nell’episodio come Dimmock e Hopkins. Il primo è l’uomo incravattato e con i capelli corti che abbiamo già incontrato nel secondo episodio della prima stagione, “Il Banchiere Cieco”. Ma chi è il secondo? Si tratta di una donna che Lestrade ad un certo punto chiama “Stella”. Molto semplicemente, dunque, si tratta di un altro personaggio canonico, che nella serie ha semplicemente subito un gender swap: Stanley Hopkins. Il detective Hopkins, è un giovane virgulto di Scotland Yard, appassionato al metodo scientifico di Sherlock Holmes e che finirà proprio sotto l’ala protettiva di quest’ultimo. Sherlock e Hopkins, secondo il canone, collaboreranno in ben tre diverse occasioni, tutte presenti nella raccolta di racconti del 1903 “Il Ritorno di Sherlock Holmes”. Per la precisione i tre racconti, sono “L’avventura degli occhialini d’oro”, “L’avventura di Black Peter” e “L’avventura di Abbey Grange”.

12 – L’addestratore di canarini

Ad un certo punto dell’episodio possiamo assistere ad una lunga carrellata di casi che Sherlock risolve con apparente facilità, senza mai staccarsi dal suo cellulare. Nel corso della scena sono diversi i casi presi dal canone letterario che si mostrano attraverso testi a schermo che richiamano, attraverso i titoli, le (più o meno) omonime opere di Sir Arthur. Inutile e prolisso citarle tutte, ma val la pena spendere due righe sul caso che a schermo compare come “L’addestratore di canarini”. La curiosità è che questo non è un racconto originale del canone del personaggio, ma un’opera postuma scritta dall’autore e sceneggiatore Nicholas Meyer.
Meyer, che forse ricorderete per essere stato anche il regista di Star Trek II: L’ira di Khan, divenne famoso in campo letterario proprio grazie a Sherlock Holmes, scrivendo nel 1974 il best seller “La soluzione settepercento”, un romanzo pastiche da cui fu anche tratto un film, con protagonisti Nicol Williamson nella parte di Sherlock Holmes e Robert Duvall in quella del dottor Watson. The Canary Trainer è stato l’ultimo romanzo basato su Holmes che Meyer ha scritto nel 1993 e purtroppo mai tradotto in italiano.

11 – Il nome di Lestrade

Che Sherlock non ricordi mai il nome di Lestrade (Greg) è ormai uno dei motivi ricorrenti della serie. In realtà, come forse saprete, lo scherzo è più che voluto, e fa riferimento ad un’effettiva mancanza del canone originale in cui il personaggio non viene mai chiamato per nome, e di quello stesso nome non si conosce altro che l’iniziale, per l’appunto la lettera G. Il fatto che Sherlock lo chiami con nomi diversi, ma sempre per G (Graham, Geoff, Giles) fa dunque da richiamo a questo piccolo e scherzoso dettaglio. L’ultimo nome affibiatogli, Giles, fa infine riferimento ad un altra citazione relativa al personaggio di Holmes, per la precisione all’adattamento radiofonico operato dalla BBC sull’emittente BBC Radio 4, e andato in onda ad opera di Bert Coules dal 1989 al 1998, anni in cui furono adattati in versione radiofonica tutti, ma proprio tutti i racconti del canone. Ebbene in quell’occasione, dovendo dare un nome al personaggio di Lestrade, fu scelto proprio il già citato “Giles”. 

10 – Di busti e perle nere

Forse lo avrete capito da soli, “The Six Tatchers” altro non è che l’adattamento dell’originale storia “L’avventura dei sei Napoleoni”, uno dei racconti contenuti nella raccolta “Il ritorno di Sherlock Homes” del 1905. Salvo la sostituzione del personaggio ritratto dai busti (qui la Tatcher, in originale Napoleone Bonaparte), la storia procede più o meno similmente: un uomo si intrufola in alcune case con l’intento di distruggere dei busti di Napoleone. Sembra un’azione perpetrata da un detrattore del condottiero francese, quando in realtà l’uomo altri non è che un ladro interessato a recuperare un oggetto molto prezioso… la perla nera dei Borgia! Da qui l’inside joke che corre lungo buona parte dell’episodio, quello relativo alla perla che pure viene spesso citata. Nell’opera originale l’ultimo busto contiene proprio la perla nera, ed ecco spiegato il momento nella serie tv in cui Sherlock, spaccando il busto, si aspetta di ritrovare proprio il prezioso gioiello salvo rinvenire una pennetta USB. Insomma il richiamo è fortissimo ed anche “raggirante” per chi poteva avere memoria della storia originale. Scherzo su scherzo, ad un certo punto mentre Sherlock parla con l’hacker Craig, quest’ultimo dice “la Tatcher è un po’ il Napoleone di oggi”. Più chiaro di così.

9 – Toby

Tornando proprio a Greg, Sherlock si reca da lui per farsi aiutare da un “amico” che si scoprirà essere un cane. Alcuni spettatori non sembrano aver apprezzato l’idea, peccato che il tutto sia perfettamente nel canone dei racconti di Doyle. Proprio secondo i racconti originali, Toby è un cane (bastardo sicuramente incrociato con uno spaniel) che aiuta Sherlock in occasione del romanzo “Il segno dei quattro” pubblicato nel 1890. Si tratta di un cane marrone, dal grande naso, particolarmente abile nella ricerca. Ha quasi del melodrammatico il fatto che Toby compaia nell’ultimo episodio di Mary, poiché i due personaggi fanno il loro debutto nel medesimo libro.

8 – AGRA

 

Sempre in merito a Mary, è curiosa l’indicazione sulla chiavetta che già avevamo potuto scorgere nella passata stagione. Su di essa c’è infatti l’acronimo “A.G.R.A.”. Originariamente si pensava che esso facesse riferimento al vero nome del personaggio, salvo poi scoprire che si tratta in realtà delle iniziali dei quattro membri di una elite di mercenari di cui la donna faceva parte. La curiosità qui sta tutta nella parola in sé. Agra è infatti una città indiana (come sarcasticamente detto anche da Mycroft nel corso dell’episodio). Proprio la città è al centro del caso presente nel romanzo “Il segno dei quattro”, che fa riferimento ad un tesoro custodito nella città indiana. Curioso come poi l’acronimo sulla pennetta sia esso stesso un riferimento a “il segno dei quattro”, ma anche un “segno” dei quattro mercenari.

7 – Gabrielle

Piccolo easter egg relativo al mondo di produzioni ispirate dai racconti di Doyle: durante il suo viaggio in incognito, Mary assume diverse identità. Nessuna di queste viene mai battezzata durante il susseguirsi di scene, tranne che per una: la donna motociclista con i capelli neri. L’episodio ne mostra infatti i documenti e da lì risulta che l’alias sia quello di “Gabrielle Ashdown”. Il punto è che Ashdown è stato uno degli alias usati dallo stesso Sherlock, o almeno da una sua versione: per la precisione dal personaggio interpretato dall’attore Robert Stephens nel film del 1970, “Vita privata di Sherlock Holmes”, per la regia di Billy Wilder. Il film, ovviamente, è tra i preferiti di Gatiss.

6 – Ci vediamo a Sumatra

Lungo tutto l’episodio corre il tema della predestinazione. Forte, fortissimo, se si pensa al destino di Mary ed ulteriormente rafforzato dal continuo riferimento ad un racconto (attribuito alla favolistica mediorientale, ma in realtà di ben più dubbia e complessa origine) chiamato “Appuntamento a Samarra” o “la parabola della morte inevitabile”. Al di là della parabola in sé che non ha alcun riferimento al mito holmesiano, è curiosa l’affermazione di Mycroft che, al racconto del fratello, dice di ricordare come Sherlock, da bambino, ne avesse scritto una sua versione chiamandola “Appuntamento a Sumatra”. Ebbene la scelta della città non è casuale, come non è casuale la bocca che ne cita il ricordo. Sumatra è infatti presente nel canone di Doyle attraverso “L’avventura del vampiro del Sussex”, racconto del 1927 presente nella raccolta “Il taccuino di Sherlock Holmes”. In essa è lo stesso Holmes a far riferimento ad un suo caso relativo “Il ratto gigante di Sumatra”. Il bello è che la storia non è mai stata scritta ed ha solleticato la fantasia di moltissimi autori, in quanto lo stesso Holmes disse a Watson che quella “era una storia per cui il mondo non era ancora pronto”. Ebbene l’avventura del vampiro del Wessex è tra le preferite di Gatiss che, non a caso, è sceneggiatore dello show ma è anche l’attore che, come saprete, interpreta Mycroft.

5 – Il lavoro fa bene

 

Dopo i tragici fatti di fine episodio, assistiamo ad una scena in cui Sherlock parla della situazione con la Signora Hudson, dichiarando di volersi mettere al lavoro. Precisamente Sherlock dice: “Il lavoro è la migliore cura contro il dolore…”. La curiosità è che questa è la stessa frase (in originale: “Work is the best antidote to sorrow”) che l’originale Sherlock Holmes dice a Watson ne “L’avventura della casa vuota”, racconto d’apertura della raccolta “Il ritorno di Sherlock Holmes”. Proprio questo è il racconto in cui il lettore viene a conoscenza della morte di Mary e la frase viene detta a Watson per aiutarlo a farsi coraggio nella sua nuova e triste condizione di vedovo.

4 – Norbury

Sempre nella medesima scena assistiamo ad un momento in cui Sherlock mostra il suo lato più umano e fallace. Parlando alla Signora Hudson, Sherlock dice: “Se io cominciassi a sembrarle pieno di me, arrogante, troppo sicuro di me, direbbe la parola Norbury?”. Anche questo dialogo non è casuale e si riferisce ad un altro discorso tra Sherlock e Watson avvenuto, per essere precisi, nel racconto “La faccia gialla”, contenuto nella raccolta “Le memorie di Sherlock Holmes” del 1893. Questo è importante ed emblematico, perché si tratta di uno dei pochi racconti canonici in cui le deduzioni del detective si rivelano incorrette. Nel racconto, parlando a John, Sherlock dice:

“Se ti dovesse sembrare che io sia troppo sicuro di me, o che io dia meno importanza ad un caso che invece lo richiede, gentilmente sussurrami “Norbury” all’orecchio, te ne sarei infinitamente grato”.

Nella storia originale Norbury è la cittadina al centro del caso, qui è invece il nome della donna artefice della morte di Mary e, allo stesso modo che nel racconto, artefice del fallimento dell’investigatore.

3 – Sherrinford

Poco prima della fine dell’episodio, vediamo Mycroft in una sorta di cucina, mentre è intento a scegliere dalla porta del frigo un menù per del cibo take away. Anche qui si nasconde un easter egg velocissimo ma neanche troppo sottile. Mycroft prende infatti il menù del “Reigate Square”, un ipotetico ristorante il cui nome fa palesemente il verso ad un racconto canonico chiamato “L’enigma di Reigate” (in originale “The adventure of Reigate Squire”), storia contenuta ne “Le memorie di Sherlock Holmes” che comunque poco ha a che fare con la ristorazione. Ben più interessante è invece la telefonata successiva al rinvenimento di un post it con il criptico messaggio “13th”. Al cellulare Mycroft chiama infatti Sherrinford, un nome che ormai dovreste aver codificato e di cui abbiamo parlato proprio recentemente in un altro articolo.

2 – Il blog che non si aggiorna

Ci avrete fatto caso: in tutto l’episodio viene continuamente fatto riferimento al blog di Watson, in particolare dall’ispettore Lestrade che fa continuamente riferimento al fatto che John posterà i risultati delle indagini sul suo blog, togliendo alla polizia buona parte dei suoi meriti. Ebbene, forse non sapete che il blog di Watson esiste davvero: è stato messo in piedi dalla BBC nel corso degli anni, e riporta per filo e per segno (con tanto di commenti) i casi a cui si è assistito nello show. Se siete curiosi potete farvi un giro sul blog a questo indirizzo, dove noterete una stravagante curiosità: in testa alla home è chiaramente detto che “John Watson non aggiorna più il blog”. La cosa è un chiaro riferimento al momento di distacco che i due personaggi stanno vivendo nello show.

1 – La morte può essere elusa

Forse non avrete dato molto peso alla cosa, ma alla fine dell’episodio Sherlock ha un breve monologo di chiusura in cui, riferendosi al racconto che sorregge il leit motiv della storia (“Incontro a Samarra”) specifica che “la morte può essere elusa”. È curioso che proprio Sherlock dica una cosa del genere, in quanto sia il personaggio televisivo che quello letterario hanno effettivamente eluso la morte in due occasioni concettualmente molto simili, e facenti riferimento allo scontro con Moriarty.
La frase acquista un significato ancor più misterioso se si considera che ad essa seguono i titoli di coda e, dopo di questi, una brevissima scena con Mary che, mandando all’inferno Sherlock Holmes, sembra contraddire quanto detto poco prima nel video messaggio inviato al detective.