Sono passati già vent’anni. Nel 1994, il festival di Cannes ha dato il suo più alto riconoscimento ad un film che è diventato subito un cult: un’odissea sanguinosa e a tratti assurda ambientata nella città degli angeli. Al timone, un giovane regista di nome Quentin Tarantino, ex impiegato di un video noleggio salito alla ribalta due anni prima con il film Reservoir Dogs (da noi Le Iene).
Inaspettatamente dunque, Pulp Fiction quell’anno vince la Palma d’oro, non senza polemiche e anche con qualche insulto durante la premiazione; ma lungi dall’esserne destabilizzato, Quentin Tarantino risponde a quelle contestazioni con uno sfavillante dito medio da ficcarsi proprio lì, che ben riassume il suo concetto di cinema: lui se ne fotte di te e delle tue convenzioni.
La prima, vaga bozza di Pulp Fiction nasce ancora prima della stesura di Reservoir Dogs; In collaborazione con Roger Avary, Quentin inizialmente aveva pensato di dividere il progetto in ben tre film, tutti connessi l’uno all’altro, sotto il nome di The Black Mask: un omaggio ad una rivista di storie poliziesche omonima, la rivista “pulp” più conosciuta. All’epoca, l’idea era quella di affidare la realizzazione dei tre film a ben tre registi diversi.
Così, dopo aver finalmente terminato Reservoir Dogs, Tarantino torna su quel copione. Finisce per farne un film unico diviso però in tre scene diverse, sempre assieme ad Avary. Dopo cinque mesi passati a scrivere e a rifinire la storia ad Amsterdam, il copiene viene presentato a diverse case di produzione hollywoodiane, che però sbattono sonoramente la porta in faccia a Quentin. Solo la Miramax nota del potenziale in quella sceneggiatura e ne acqista i diritti al volo. Il film avrà un budget totale di 8 milioni di dollari. 8 milioni che saranno incassati dal film soltanto nei suoi primi TRE giorni di uscita nelle sale.
Un cast da paura
Una volta stabilito il bilancio, arriva il momento per Tarantino di dedicarsi ai casting degli attori, e le cose si fanno molto difficili. La Miramax non voleva assolutamente che Vincent Vega fosse interpretato da John Travolta, che dopo anni di nulla totale era tornato ad essere quasi un signor nessuno. Ma Tarantino lo vuole per forza e finisce per avere l’ultima parola: Travolta è dentro, per fortuna.
Stessa storia per l’attrice che dovrà interpretare la sensuale Mia Wallace, il regista rifiuta di piegarsi ai dettami dei produttori. Miramax vuole Meg Ryan ma Quentin ha in mente solo Uma Thurman. Lei in quegli anni è una perfetta sconosciuta: 23 anni, originaria di una piccola città del Massachusetts e alle spalle solo un ruolo nel film Relazioni pericolose, uscito nel 1988.
Il bello è che la stessa Uma racconta come non fosse sicura di voler interpretare quel ruolo per via di tutti i riferimenti sessuali di cui era infarcito il film. Per il ruolo del boss Marsellus Wallace, bastò soltanto una singola audizione a Ving Rhames. Discorso diverso per il personaggio di Jules Winnfield, che era stato scritto da Tarantino appositamente per Samuel L. Jackson. L’attore però non riusciva a calarsi completamente nella parte, strano a dirsi per un professionista del suo livello, ma niente, nada, non ce la faceva proprio. Le prime audizioni furono fallimentari. Stavolta, incredibile a dirsi, è la Miramax stessa che sprona l’attore a non mollare e a dare il massimo nell’ultima audizione. Vestito come il personaggio, Jackson entra completamente nel suo ruolo. Puzza di fritto, hamburger in una mano e Sprite nell’altra, recita il suo monologo davanti al regista in maniera magistrale. Tarantino è costretto ad ammettere: Samuel L. Jackson è il vero e unico Jules.
Chiude il cerchio Bruce Willis, vera e propria star dei film action in quegli anni, che esprime il desiderio di entrare a far parte di quell’insolito cast, su suggerimento di Harvey Keitel (Mr. Wolf per capirci). Accetta addirittura di ricevere un compenso minimo, dato il budget del film, per avere un ruolo nel cast. E dato che il ruolo di Vincent Vega era già stato assegnato, accetta la parte di Butch il pugile.
New Wave e Serie B
Una volta completato il cast, si comincia finalmente a girare, siamo nel settembre del 1993 a Los Angeles e l’atmosfera è quella giusta: nonostante gli 8 milioni di dollari di budget, Tarantino pensa in grande, vuole farla passare per una super produzione ed è attento ad ogni singolo particolare: creatività, durata e inquadrature, tutto è gestito in maniera impeccabile; così dopo sole 10 settimane le riprese sono già terminate. Il film inoltre è stato girato su pellicola 50 Asa, per immagini e effetti il più possibile simili alle procedure Technicolor degli anni ’50.
Sul set il clima è estremamente tranquillo, è come stare tra amici di vecchia data. Tutto il cast, stelle hollywoodiane incluse, sono consapevoli di stare girando un film a basso budget ma nello stesso tempo sono felici di lavorare con questo grande regista. L’atmosfera è rilassata e divertente. Quentin fa scorrere tutto nel modo più liscio possibile.
Sappiamo tutti che Pulp Fiction è anche pieno di riferimenti e si ispira a diversi generi cinematografici, dai film cosiddetti di serie B fino alla New Wave, creando scene che entreranno poi nell’immaginario collettivo del cinema, basti pensare alla stra famosa scendi ballo tra Mia Wallace e Vincent Vega.
Ironia della sorte, la stessa Uma Thurman disse che tra tutte le scene, questa del twist insieme a Travolta fu tra quelle più stressanti, in quanto si sentiva “imbarazzata, timida e molto a disagio.” Altro riferimento alla New Wave sono i nomi scelti per i personaggi di Jules e Jimmy, in omaggio al film Jules e Jim di Truffaut. Tarantino stesso, che non aveva del tutto rinunciato alla sua carriera di attore, decide di scivolare nei panni del nervoso Jimmy, perennemente incazzato per via del suo negretto stecchito in garage. Il risultato è una sequenza di scene memorabili. Piccola curiosità: se nel complesso le riprese non avevano dato particolari problemi, la scena più difficile da girare è stata reputata senza dubbio quella dell’iniezione di adrenalina. Alla fine si è deciso di filmarla e di mandarla al contrario, facendo cioè sfilare a John Travolta la siringa già presente nel petto di Uma, per dargli un effetto più realistico possibile.
La musica, filo conduttore dell’azione
Come per tutti i suoi film, Tarantino ha avuto una grande cura per la scelta della colonna sonora di Pulp Fiction: un misto tra Rock americano, surf music, Pop e Soul. Oltre all’utilizzo di “You can never tell” di Chuck Berry nella scena del twist, memorabile è anche l’uso della canzone “Misirlou” di Dick Dale durante i titoli di testa. Scommetto che il titolo della canzone non vi dice nulla, ma sto parlando proprio di questa qui:
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Pensate che questa canzone fu suonata per la prima volta nel 1927 in Grecia dall’orchestra di Rebetiko Patrinos. Scordatevi dunque Saloon e Cowboys. Per Tarantino musica e immagini sono sempre andate a braccetto nello sviluppo di un progetto, tanto è vero che il regista ha una camera nella sua casa dedicata soltanto alla sua enorme collezione di dischi, divisa per generi e temi. Come dice lui stesso, “sembra quasi un fottuto negozio di dischi.” Quando sta per scrivere un nuovo copione, entra lì dentro e comincia ad esplorare e ad ascoltare decine e decine di canzoni e colonne sonore. L’incipit dei suoi più grandi film spesso sono nati dall’ascolto di una determinata canzone che poi ha dato il leit motiv a tutto il resto.
Se siete dei tipi svegli avrete già capito da un pezzo che Pulp Fiction è uno dei pochi film che ha messo d’accordo pubblico e critica. Quest’avventura grandiosa e delirante è costellata di sequenze cult indimenticabili nelle le sue storie non lineari. La narrazione esplode letteralmente sketch dopo sketch, immergendoci nel microcosmo di Tarantino fatto di ultra violenza, umorismo nero, ironia e situazioni al limite del paradosso. D’altronde, cosa c’è di più bello che ascoltare due efferati killer discutere appassionatamente di un Big Mac? In Pulp Fiction riusciamo a ridere con storie torbide come omicidi, overdosi e strupri che mostrano l’estensione del virtuosismo artistico del buon vecchio Tarantino. E scusate se è poco.