E tanto ancora ci sarebbe da dire…
Che la si ami o la si odi (ma tanto la si ama sempre e comunque), Nintendo spegne oggi la bellezza di 127 candeline. 127 anni che racchiudono in sé le fondamenta, l’evoluzione e spesso anche la rivoluzione del mondo dei videogiochi. Nintendo, con la sua “difference”, con il suo stile sempre fanciullesco e spiritoso è un po’ la mamma di tutti i videogiocatori di oggi, o almeno di quelli del mondo console che partendo da un NES e un GameBoy hanno cominciato il loro personalissimo viaggio prima tra gli sprite, poi tra i poligoni. Le mete raggiunte da Nintendo, gli innumerevoli traguardi, hanno reso la società un po’ la madrina del mondo dei videogame, e comunque l’immagine di una parte sempre positiva e mai arrendevole del progresso del medium. A Nintendo alziamo oggi i nostri calici, augurandole almeno altri 127 di questi giorni, celebrandola con un bel listone di curiosità, a uso e consumo di chi pensava di sapere tutto della grande N ma anche di chi, magari giovane e imberbe, ha ancora tanto da scoprire sulla storia di questo autentico colosso dell’intrattenimento. Tagliate la torta, stappate lo spumante! Queste solo le 20 cose che (forse) non sapevi su Nintendo.
1 – Giocatori incalliti
Fondata a Kyoto il 23 settembre del 1889 da Fusajiro Yamauchi, Nintendo nasce con il nome di “Nintendo Koppai”, compagnia dedicata alla produzione di carte da gioco Hanafuda (un tipo di carte giapponesi basate su illustrazioni floreali). L’azienda è piccola, ma in breve tempo diviene molto popolare tra gli appassionati di carte, la qual cosa porterà, dopo pochissimi anni, addirittura alla creazione di un torneo atto a sponsorizzare i prodotti, la “Nintendo Cup”. Nintendo Koppai resterà tale praticamente fino agli anni ’60. Nel 1956, infatti, dopo un viaggio in America presso una delle più grandi aziende produttrici di carte del mondo, la “United States Playing Card Company”, Hiroshi Yamauchi, nipote di Fusajiro e terzo presidente di Nintendo, capisce che il business delle carte da gioco può essere profittevole e poco esoso in termini di costi di gestione e sviluppo. Firma così un accordo di partnership con Walt Disney per la creazione di carte da gioco su licenza con Topolino & Co., ottenendo un successo tanto grande da convincere a quotare Nintendo in borsa nel 1962. L’aumento dei profitti e la volontà di Yamauchi di espandere il marchio Nintendo nel mondo portano la società a cambiare nome, pur non smettendo di produrre carte da gioco. Nasce così la Nintendo Co. Ltd, poi semplicemente nota come Nintendo. Il resto, come si suol dire, è storia.
2 – Anni di stramberie
Perseguendo la volontà di creare un business diversificato che si proponesse in diversi settori dell’intrattenimento e non, Nintendo cominciò a lavorare sulle idee più strampalate, tanto che oltre ai videogame e alle carte da gioco, la società si è occupata in passato anche di varie diavolerie elettroniche e, in minor misura, di giocattoli. Non solo, nel 1963 Nintendo aprì ufficialmente una compagnia di taxi chiamata “Daiya”, un’attività che si dimostrò molto remunerativa fino al momento in cui la società cominciò ad avere vari problemi con i costi della forza lavoro (e, non ultimi, molti problemi proprio con i sindacati dei lavoratori). Sempre sulla strada delle idee fallimentari anche dei Love Hotel (cioè degli alberghi ad ore squisitamente adibiti alla copulazione), un canale satellitare e una compagnia di cibo istantaneo specializzata in riso precotto. Tutte queste idee portarono, dopo il 1964, al tracollo della società, tanto che i titoli Nintendo toccarono il loro valore più basso di sempre, appena 60 Yen per titolo.
3 – Dalle carte alle pistole
Per risollevarsi dal crollo, la società tornò a guardare con occhio interessato all’intrattenimento ludico e, in particolare, ai giocattoli. La svolta arrivò grazie al genio di Gunpei Yokoi (solo “il tizio” che poi creò il GameBoy), un uomo della manutenzione particolarmente brillante che inventò nel suo tempo libero il celeberrimo “Ultra Hand”, un braccio prensile molto popolare tra i bambini dell’epoca. Le vendite positive di Ultra Hand promossero Yokoi dalla manutenzione allo sviluppo, e permisero a Nintendo di recuperare introiti per sviluppare altre idee strampalate, ma stavolta popolari, come la Ultra Machine (una macchina spara palline), il Love Tester (un improbabile test per l’amore sulla scia di quelli presenti nei bar dell’epoca) e le popolarissime Kosenju Guns e Rifles, ossia un set di 4 tra pistole e fucili a funzionamento ottico, basate su di un sistema di luci che, in accoppiata con bersagli vari, furono di fatto i precursori delle “light gun” e zapper vari di molti videogame del passato. Furono proprio le light gun Kosenju, e le successive evoluzioni delle stesse, che portarono Nintendo a guardare oltre. La società sentiva sulle spalle il peso della concorrenza dei colossi Tomy e Bandai, e così cominciò a sviluppare sistemi di intrattenimento elettronici che fossero in qualche modo lontani dai mercati concorrenziali. Costruendosi una fetta di mercato sino ad allora inesistente, Nintendo gettò le basi economiche per il suo primo videogame vero e proprio: il Color Tv-Game, console di prima generazione che da sé vendette nel solo Giappone oltre 3 milioni di unità.
4 – Emuli del Lego
Mentre era intenta costruirsi il mercato delle light gun, Nintendo ne approfittò nel 1968 per salire sul treno dei Lego, i popolari mattoncini danesi che proprio in quegli anni avevano compiuto il grande salto che li avrebbe consacrati nell’immaginario di tanti bambini, ossia il passaggio dalla produzione originale di pezzi in legno a quello in plastica, successivo all’incendio che colpì la fabbrica di Billund nel 1960. Tutto il mondo guardò con interesse alle costruzioni di plastica, e già in quei primi anni nacquero tantissime copie più o meno mediocri. Tra queste ci fu la linea nipponica di mattoncini “N&B”, la cui differenza rispetto ai Lego consisteva in mattoncini più grandi e dai bordi tondeggianti. I mattoncini N&B furono un successo enorme in Giappone, tanto che Lego intraprese contro Nintendo un’azione legale per furto di proprietà intellettuale che, in ultima istanza, Nintendo vinse. Tuttavia la qualità costruttiva era comunque scadente e, nonostante le buone vendite, molti consumatori cominciarono a virare verso l’offerta Lego i cui blocchetti, di migliore fattura, non avevano i problemi di quelli N&B, primo su tutti, la non perfetta aderenza degli incastri. N&B restò in piedi per poco meno di una decade e dopo il definitivo disinteresse del pubblico la linea di giocattoli fu chiusa verso la fine degli anni ’70.
5 – Altro che Famicom
Intenzionata a entrare nel mercato videoludico con un prodotto oltremodo competitivo, Nintendo cominciò a progettare il proprio campione, basandosi su quella che era la recezione (positiva) che il pubblico aveva avuto nei confronti di macchine supportate dai popolarissimi sistemi C64 e MSX. E così, nel corso del Consumer Electronics Show del 1984, presentò il suo Advanced Video System, un home computer particolarmente performante e sviluppato per fare del gaming il suo perno centrale. Le caratteristiche erano pionieristiche per l’epoca: controller wireless, possibilità di connessione di periferiche esterne (tra cui persino strumenti musicali), tastiera, software di editing, il tutto con una eccezionale grafica 8 bit. L’AVS prometteva di essere il futuro del gaming e fu atteso con molto entusiasmo dagli appassionati ma non solo. Purtroppo il progetto cominciò ad entrare in un circolo vizioso di problemi e rimandi, specie per l’incapacità di risolvere le magagne che affliggevano l’hardware, evidentemente troppo ambizioso per la tecnologia dell’epoca. AVS fu pertanto archiviato in virtù di un progetto meno costoso ma più sicuro, e nacque così il Famicom, da noi noto come NES (Nintendo Entertainment System). Proprio il Famicom si poneva l’obiettivo di offrire un’esperienza di puro intrattenimento, anche nascendo, di fatto, dalle martoriate ceneri dell’AVS. Nintendo privò la console di ogni aspetto superfluo e puntò esageratamente al risparmio tanto che i suoi colori originali, bianco e rosso, furono scelti non tanto per il design ma perché erano gli unici colori per l’economica plastica utilizzata per la costruzione. AVS restò poco più che un sogno, ma se proprio volete vederne uno potete trovarne una versione completa nell’area “museale” del Nintendo Store di New York.
6 – Quelle copie pirata di Namco
Parlando di taroccate, val la pena citare questa curiosità, utile anche a capire cosa stesse accadendo negli anni ’80, quando Nintendo regnava quasi incontrastata nel mondo console con il suo NES. A quei tempi la società gestiva le pubblicazioni col pugno di ferro, nel terrore di quello che era successo qualche anno prima. Il sovraccarico del mercato antecedente al 1983 causò infatti un vero e proprio tracollo finanziario che costò miliardi di dollari alle aziende le quali, dalla prima alla seconda generazione console e prima su tutte Atari, controllavano il mondo del videogame per mezzo di hardware e software. Proprio il successo del NES di Nintendo rappresentò il primo segnale della fine della crisi, di un periodo che era stato oltremodo stagnante e che aveva portato il mondo dei videogame quasi all’oblio. Onde evitare che una situazione simile si ripetesse, e con addosso i rimasugli di un crollo ancora palpabile, Nintendo imponeva rigidamente ai suoi partner sia il numero di giochi da sviluppare nel corso di un anno, sia il numero di copie da immettere sul mercato. Benché questo controllo contribuì a mantenere florido lo sviluppo del mercato del NES, molte compagnie non vedevano di buon occhio le imposizioni di Nintendo. Namco, in particolare, non era affatto felice della politica della società, tanto che più tardi cominciò a distribuire cartucce NES senza il consenso di Nintendo e pertanto classificabili, a tutti gli effetti, come cartucce pirata. L’escamotage fu trovato dalla gloriosa software house Tengen, artefice del celebre Gauntlet e a lavoro su diversi titoli Nintendo, tra cui Pacman, a tutt’oggi proprietà di Namco. Tengen lavorò infatti ad un metodo per aggirare il chip di blocco “10NES”. Progettato da Nintendo ed inserito in ogni cartuccia, il chip permetteva a quest’ultima di essere letta. Senza il chip il software non risultava compatibile con la console, permettendo così a Nintendo il controllo sulla produzione e sulla distribuzione. Tengen trovò tuttavia un metodo per aggirare il chip, eludendo le restrizioni del contratto con Nintendo e pubblicando così qualunque software senza passare per il veto della grande N. Il chip che replicarono fu chiamato Rabbit, e costò a Tengen una denuncia da parte di Nintendo. Pur vincendo la causa, a causa di alcune restrizioni imposte dal tribunale ed all’aggiornamento del software da parte di Nintendo, Tengen non poté più far funzionare il suo chip, permettendo così alla mamma del NES di riprendere il controllo sulla sua console. In questo periodo Namco, che deteneva i diritti di Pacman, collaborò con Tengen per la creazione di cartucce piratate da immettere sul mercato. Scoperta la cosa, alla fine della faccenda, tra Nintendo e Namco nacque una profonda crisi, poi archiviata negli anni a seguire. Per Tengen invece il destino fu diverso: dopo essere tornata in tribunale a causa della violazione dei diritti di Tetris, la compagnia fu cancellata dagli annali dopo che Time Warner tornò in possesso della quota di maggioranza di Atari Games, di cui Tengen faceva parte, e tutti i lavori furono ripubblicati con l’etichetta “Time Warner Interactive” (TWI).
7 – Marchio di qualità
La crisi del 1983 fu anche uno dei motivi per cui nacque il celeberrimo “Nintendo Seal of Quality”. Tra i motivi scatenanti della crisi c’era infatti l’assoluta mancanza di controllo da parte di Atari sui software che venivano immessi sulle sue console. La situazione fu così insostenibile che ne scaturì il celeberrimo caso del gioco per Atari 2600 di E.T. che, insieme a vari altri invenduti, finirono sotterrati sotto le sabbie del deserto di Almogordo. Il chip 10NES aveva scongiurato (o così si credeva) la possibilità che gli sviluppatori prendessero il sopravvento, ma c’era ancora il problema della fiducia minata dei giocatori, in cui il ricordo di tanti anni di titoli spazzatura era più vivido che mai. Nintendo pensò allora di inventarsi un marchio da apporre sulle copertine dei suoi prodotti, così che fosse chiaro agli acquirenti che quello che stavano comprando era passato attraverso una serie di controlli e certificazioni che ne attestavano la qualità. L’idea era che Nintendo metteva la propria faccia, e annessa credibilità, su ogni uscita, cercando così di restaurare la fiducia dei compratori. Neanche a dirlo la cosa funzionò, e il Nintendo Seal of Quality divenne non solo il marchio della “Nintendo difference” ma anche un pretesto per spingere gli sviluppatori a fare del loro meglio. Il marchio, nella sua popolarità, è stato poi esteso ad ogni prodotto della casa madre, come vestiario e merchandising, ed è rimasto praticamente immutato dalla sua creazione (1985) salvo alcune leggere revisioni, fino al 2003, anno in cui il suo design è stato rivisto e alleggerito.
8 – R.O.B. la fregatura
Come detto, gli anni ’80 erano un momento difficile per la storia del videogioco. Memore anche dello shock avuto nel 1983, il mercato occidentale, specie quello americano, guardava ai videogame con una certa titubanza. I genitori preferivano acquistare ai propri figli giochi interattivi incentrati sull’apprendimento e l’insegnamento, relegando i videogiochi a “inutili perdite di tempo” o comunque a passatempi devianti. Preoccupata per il futuro del videogame nei mercati esteri, Nintendo ebbe una sorta di lampo di genio quando si decise a lanciare sul mercato il suo R.O.B. (abbreviazione di Robotic Operating Buddy), nulla più che un accrocco dall’aspetto di un robottino futuristico nato con l’intenzione di essere venduto come “alternativa” a giochi interattivi come il celeberrimo orsetto Teddy Ruspin. Stando al progetto, R.O.B., che tra le altre cose era costosissimo, era un accessorio per il NES che avrebbe dovuto interagire autonomamente con i videogame su schermo, utilizzando un sistema di ricezione dati simile a quello della tecnologia fotosensibile usata per lo Zapper. Si trattava insomma di un vero e proprio “secondo giocatore robotico”, con cui l’utente avrebbe potuto amichevolmente interagire. Il successo commerciale fu buono, e pensate che per R.O.B. fu sviluppato il supporto a soli due giochi: Stack-Up e Gyromite. Pur non scalzando le vendite del “rivale” Teddy Ruspin, R.O.B. vendette molto bene nel Natale 1985, diventando ben presto un ricordo non appena il NES diventò tanto popolare e autonomo in America da vendere senza bisogno di trucchetti o sotterfugi.
9 – I piccoli grandi maghi del marketing
La preoccupazione che la recezione dei videogame sul territorio americano potesse in qualche modo spezzare le gambe alle vendite fu tale che Nintendo continuò ad effettuare una serie di astute manovre per garantirsi l’attenzione dei giovani compratori occidentali. Tra queste, una delle più subdole ma memorabili fu quella effettuata con il film “The Wizard”, da noto come “Il piccolo grande mago dei videogame”. Uscito negli USA il 15 dicembre 1989 sotto la direzione di Todd Holland, il film divenne celebre per l’enorme quantità di product placement a marchio Nintendo. Nel film è presente veramente di tutto, ma memorabili resteranno l’apparizione di due prodotti in anteprima: il best seller dell’epoca Super Mario Bros. 3 e l’altrettanto famoso Power Glove, il sistema di controllo architettato da Mattel per NES. Entrambi furono presentati nella pellicola a pochi mesi dall’uscita ufficiale. Il film fu anche il primo ad introdurre il concetto di videogame competitivo in senso letterale, tant’è che non si dovette aspettare poi molto prima che Nintendo escogitasse il Nintendo World Championship, un sistema di tornei ufficiali che nel 1990 presero piede in 29 città americane. I tornei avvicinavano i giocatori ai videogame per mezzo di premi ricchissimi, tra cui cospicue somme di denaro o le rarissime quanto bellissime cartucce dorate.
10 – Nintendo for baseball
Dovete avere una combinazione di anni sulle spalle e passione per il baseball per ricordare che Nintendo ha prodotto ben 4 diversi giochi di baseball utilizzando la licenza del nome di Ken Griffey Jr. Di chi stiamo parlando? Ma della stella più fulgida nella storia dei Seattle Mariners, in squadra dal 1989 al 1999. Se vi state domandano il perché di tanto amore per Griffey Jr, la risposta è che in quegli anni Nintendo stessa possedeva la società! Per la precisione, la grande N acquistò i Mariner nel 1992, vendendoli solo quest’anno e detenendone comunque una quota di minoranza. Il bello è che all’epoca erano in pochissimi a sapere che Nintendo era proprietaria dei Mariner, e quei pochi che lo sapevano non la presero benissimo pensando che una società giapponese avrebbe portato la squadra allo scatafascio.
11 – Pistole censurate
Piccola parentesi: come avrete capito il business delle light gun fu a dir poco fondamentale per la creazione della Nintendo videoludica. In tal senso non ci deve meravigliare il fatto che per Nintendo fosse assolutamente logico introdurre le light gun che così bene produceva anche sulle sue prime console. Sul NES nacque così il celeberrimo Zapper che tutti abbiamo posseduto. Lo Zapper era una light gun dal design futuristico, originariamente in tonalità di grigio, poi riprodotta anche in arancio. Quel che forse non sapete è che il così iconico Zapper fu una trovata per il mercato americano e, di conseguenza, per quello europeo. La versione giapponese della pistola era infatti del tutto simile alle sei colpi Colt, ma in plastica. La scelta è stata quanto mai logica, visto che si trattava delle medesime repliche per bambini che la società aveva prodotto per la linea Kosenju. Il punto è che, specie in America e in Europa, c’era molta titubanza nel mettere in mano ai bambini armi giocattolo. Per evitare allarmismi che avrebbero potuto distruggere le prospettive di vendita, Nintendo ridisegnò la pistola appositamente per quei mercati, allineando il design a quello fantascientifico che tanto piaceva ai ragazzi e che nulla aveva a che fare con armi vere. Curioso come poi proprio il design, oltre alle proprietà ludiche, fu una delle caratteristiche che consacrarono lo Zapper al di sopra di qualunque altra arma simile mai prodotta.
12 – Che significa Nintendo?
Molto a lungo si è dibattuto sul significato della parola “Nintendo”. La stessa famiglia Yamauchi è sempre stata criptica sul suo significato e fino a qualche tempo fa si è dato per buono che Nintendo significasse “Il cielo benedice il duro lavoro”, tradotto in inglese “Leave luck to heaven”, ossia “lascia la fortuna in paradiso”, frase che potrebbe più o meno significare “lascia che la fortuna sia decisa dal destino”. Il significato sarebbe dato dalla traduzione letterale dei 3 kanji che compongono la parola “nin” (任), “ten” (天), “do” (堂). Pur avendo questa interpretazione un qualche senso, recentemente l’autore Florent Georges (appassionato e scrittore della trilogia di libri “History of Nintendo”) ha tuttavia proposto una traduzione più intrigante e, per certi versi, anche più logica del nome della società. Secondo Georges la parola Nintendo significherebbe “il tempio dell’Hanafuda” o anche “La compagnia che ha il permesso di vendere Hanafuda” il che, se avete letto il primo paragrafo di questa lista, avrebbe ragion d’essere. Per arrivare alla suddetta interpretazione, Georges ha studiato per bene i kanji che compongono la parola: “nin” significherebbe “facciamolo” o “possiamo farlo”; “do”, che normalmente sarebbe tradotto con “santuario” è frequentemente usato per aggiungere prestigio ai nomi delle compagnie nipponiche; ma è “ten” che desta la curiosità maggiore. Il kanji usato è infatti “天”, lo stesso che forma anche la parola “Tengu” (天狗). Un Tengu è un popolare spirito benevolo della cultura giapponese, caratterizzato da un corpo umanoide in abiti tradizionali, un paio di ali e un volto (frequentemente rosso) con un enorme naso. Proprio la caratteristica indica nel Tengu per la passione dello spirito per il gioco d’azzardo, poiché nella cultura nipponica il naso è la parte del corpo connessa all’azzardo e all’illegalità. La fantasiosa ma affascinante idea di Georges è che il riferimento al Tengu sia nulla più che un esplicito riferimento alle carte da gioco Hanafuda, poiché la parola “hana”, ossia “fiore” (花) pur utilizzando un kanji diverso ha la stessa pronuncia della parola “naso” (鼻). Non ultimo, quando Fusajiro Yamauchi si rese conto che il business delle carte poteva fatturare di più abbassando il costo dei mazzi, per non svalutare il suo prodotto lanciò una linea di carte economiche (quasi come quelle “usa e getta” da bisca, se vogliamo) che chiamò proprio “Tengu”, in riferimento alla creatura appassionata di gioco d’azzardo. Dunque, Nintendo starebbe a significare, secondo questa interpretazione, “La compagnia che ha il permesso di vendere Ten”, che associato alla parola “Tengu” o per la precisione al suo naso, per un complesso gioco di parole diventa il succitato “La Compagnia che ha il permesso di vendere Hanafuda” o, ancora, e più semplicemente, “La compagnia che produce carte da gioco”.
13 – D-pad
Tra i vari brevetti resi popolari da Nintendo, ce n’è uno che per qualche motivo viene sempre messo da parte. Stiamo parlando del D-pad, quella che alcuni di voi chiamano “croce direzionale”. L’idea fu del geniale Gunpei Yokoi, che ideò il D-pad nel 1982 mentre era al lavoro sulla linea Game & Watch. Yokoi voleva infatti un sistema di controllo che fosse comodo e che permettesse di avere il controllo di quello che sarebbe stato il loro prossimo prodotto: Donkey Kong. Si optò allora per una croce, i cui 4 vertici rappresentavano in modo semplice e chiaro i 4 movimenti effettuabili dal personaggio. Il bello di questa faccenda è che la croce direzionale è un vero e proprio brevetto Nintendo di cui la società possiede a tutti gli effetti i diritti. Ecco perché su altri sistemi di gioco simili la croce direzionale non è mai in tutto e per tutto identica a quella “classica” dei controller Nintendo. Nessuno può copiarla, è protetta da copyright!
14 – Tra i primi online
Nonostante di recente non sia stata proprio al passo con i tempi, alle sue origini Nintendo era quasi avanguardistica per ciò che riguarda il primato tecnologico del mercato console. In particolare, Nintendo è stata tra le prime ad offrire un servizio funzionante (mai sottovalutare questa parola) di gaming online, seppur molto diverso da quello che potreste immaginare oggi. Benché il primato del servizio online sia assolutamente di Sega, che con il suo “Sega Net Work System” inaugurò un servizio di download digitale nientemeno che nel 1990, a Nintendo va comunque il premio del secondo posto con il suo sistema Satellaview. Quest’ultimo altro non era che un add-on (oggi rarissimo) per il Super Famicom (il nostrano SNES) che connettendosi all’antenna TV permetteva il download di contenuti aggiuntivi per i giochi. I giochi supportati furono tantissimi e, seppure non tutti memorabili, furono comunque degli autentici pionieri del gioco digitale. Certo, non si trattava di una vera e propria esperienza online, perché si basava sul segnale antenna che, comunque, inviava dati solo in specifici orari del giorno, ma fu comunque una bella innovazione. Per rendere il tutto possibile, oltre alla costruzione dell’add-on, Nintendo stipulò una partnership con l’emittente St.GIGA che ogni giorno, a partire dal 1995, dedicava alcune fasce della sua programmazione all’invio di pacchetti dati. La partnership durò fino al 1999, anno in cui tra le due compagnie nacquero tensioni tali da portare alla fine del progetto, che comunque restò supportato da St.GIGA fino all’anno successivo.
15 – La canzone di Totaka
Forse non tutti conosceranno il nome di Kazumi Totaka, fatto sta che si tratta di uno dei più eclettici compositori nella storia di Nintendo, artefice di moltissime musiche, nonché del doppiaggio originale di Yoshi. Ebbene Kazumi Totaka ha fatto molto di più per meritarsi un posto nella storia della compagnia, componendo un piccolo jingle di appena 19 note chiamato “K.K. Song” o, più comunemente, “Totaka Song”. La musichetta in 8 bit fu trovata per la prima nascosta volta all’interno di Mario Paint (1992), in cui era possibile ascoltarla facendo esplodere il titolo di testa del gioco. In realtà, per puro caso, fu poi scoperto che la stessa melodia era presente anche nell’ormai dimenticato X, shooter in prima persona uscito due mesi prima su GameBoy. Da allora la Totaka Song è stata trovata in circa 21 giochi, l’ultimo dei quali in ordine cronologico è stato Animal Crossing: Happy Home Designer uscito lo scorso anno su 3DS.
16 – Ciao ciao Final Fantasy
Che l’idea di PlayStation sia nata in seno a Nintendo ormai lo saprete tutti. Riassumendo: Sony e Nintendo stavano lavorando insieme ad un prototipo di console con lettore CD, che permettesse il lancio sul mercato di una console priva di supporto cartucce e capace di una migliore performance per ciò che riguarda la grafica poligonale. Il progetto restò embrionale e a causa di una disputa irrisolta tra le due società, l’idea di una console “Nintendo PlayStation” fu archiviata per sempre. Con le idee e i brevetti tecnologici che le avanzarono da quella avventura, Sony decise allora di mettersi in proprio creando la prima e indimenticabile PlayStation. L’idea di un’occasione mancata avrà tormentato Nintendo per anni, ed è curioso che non si abbiano avuto notizie di prototipi e simili fino all’ultimo anno in cui un fortunatissimo giapponese ha rinvenuto per puro caso, in un cassonetto della spazzatura, l’unico prototipo ufficiale e funzionate della succitata Nintendo PlayStation. E questo è quanto. Quel che però forse non sapete è cos’altro comportò l’archiviazione del progetto Nintendo PlayStation per la casa di Kyoto. La società perse infatti il privilegio di ospitare sulle sue console una delle più belle, celebri e apprezzate serie fino ad allora pubblicate da una società esterna su console Nintendo: Final Fantasy. Partorita per NES da una Squaresoft sull’orlo del fallimento, Final Fantasy ha accompagnato Nintendo fino al 1994, anno in cui su SNES uscì il sesto capitolo della serie. Anche Final Fantasy VII sarebbe dovuto uscire per SNES ma il prolungamento dei lavori su Chrono Trigger portò Squaresoft ad archiviare i lavori su FFVII e a slittare il tutto su quella che sarebbe stata la successiva generazione console. Ovvero, plausibilmente, la Nintendo PlayStation. Quando l’accordo tra le due case cadde, portando Nintendo a sviluppare il Nintendo64, Squaresoft si scontrò praticamente subito con il primo e fondamentale ostacolo delle console: le cartucce. Poco capienti, costosissime, e capaci unicamente di ospitare video e musiche compresse (male, vista l’arretratezza dell’epoca), Squaresoft constatò l’impossibilità di sviluppare il gioco su N64, complice innanzitutto l’oggettiva impossibilità di metterlo tutto su cartucce. La società di Final Fantasy decise quindi di spostare il progetto dalla console Nintendo ad una che avesse un supporto più economico ma, soprattutto, più funzionale. La scelta ricadde su Sony che, al lavoro sulla sua PlayStation, stava cercando la collaborazione di sviluppatori con cui lanciare la console. Curioso come l’intera faccenda, tanto la chiusura della partnership con Nintendo, quanto del lancio di Final Fantasy VII, portò Sony a diventare il colosso del videogame che oggi tutti conosciamo.
17 – Grazie Sony
Sony va comunque ringraziata. Specie se siete dei nintendofili dei primi anni ’90, allora non potrete che ricordare con piacere le colonne sonore dello SNES, così armoniche e melodiose nella gloria dei loro 16 bit. Il merito? Nient’altro che di Ken Kutaragi, meglio noto a qualcuno di voi come l’ex Presidente di Sony Computer Entertainment e oggi Presidente Onorario. Prima di essere il fondatore dell’era PlayStation, Kutaragi era un semplice dipendente di Sony che, senza il consenso della sua società, lavorò ad un chip che migliorasse le performance sonore delle console all’epoca sul mercato. Kutaragi aveva infatti intuito le potenzialità del mercato console, di nuovo in crescita dai tempi del NES, e fece di tutto per portare la cosa all’attenzione di Sony che, all’epoca, non era per nulla entusiasta di entrare nel mercato videogame. La creazione del chip S-SMP convinse Sony a creare la partnership con Nintendo che portò poi alla concezione della Nintendo PlayStation e, infine, all’avventura di Sony PlayStation di cui, dunque, Kutaragi fu presidente più che meritatamente.
18 – Un controller per Mario
Visto che abbiamo parlato di Nintendo 64: Nintendo a quei tempi era in notevoli difficoltà per ciò che riguardava il parco titoli. Pochi erano infatti i team disposti a sviluppare per la console, visti i suoi costi esosi e la possibilità di muoversi più agevolmente verso i competitor, specialmente Sony. E così il parco titoli al lancio di Nintendo 64 risultò molto limitato in termini di numero, ma Nintendo si assicurò che esso fosse all’altezza delle aspettative. I giochi al lancio di Nintendo 64 erano infatti qualitativamente eccelsi, primo su tutti il best seller della console, l’attesissimo e colossale Super Mario 64. A testimonianza di quanto Nintendo avesse speso per far sì che il gioco fosse perfetto c’era il pad della console. La società modificò il design del pad per adattarsi al meglio a quelle che erano le richieste del team di sviluppo di Mario 64, rendendolo il miglior sistema di controllo possibile per quel gioco. Lo stesso gioco era ottimizzato così bene da detenere il record per velocità di caricamento tra i giochi del lancio, ed attestandosi comunque tra i giochi più veloci per la console. Quando si dice l’amore.
19 – Chi è il best seller?
Ma qual è la console con il più alto tasso di vendite? A guardare i dati pubblici non ci sono dubbi che la console Nintendo che ha meglio venduto nella storia è il Nintendo DS, con i suoi 154 milioni e rotti di unità vendute. È doveroso dire che DS non solo ha il primato di vendite Nintendo, ma si attesta anche come una delle migliori console di sempre, occupando il secondo posto di un podio che vede al primo posto la PlayStation 2 di Sony, console più venduta nella storia con i suoi 155 milioni di unità. Al secondo posto della classifica Nintendo (e al terzo della classifica generale) c’è poi il GameBoy, che in accoppiata con la versione Color ha venduto ben oltre i 118 milioni di unità seguito dal Wii con oltre 101 milioni di pezzi venduti. A seguire nella graduatoria: Game Boy Advance, NES. Nintendo 3DS e SNES (rispettivamente con 81.51 milioni, 61.91 milioni, 59.79 milioni e poco più di 49 milioni). 32 milioni per Nintendo 64, mentre 21 e 13 sono i milioni raccattati da GameCube e Wii U. All’ultimo posto il Color Tv Game, primogenito della famiglia fermo, come detto, ai suoi 3 milioni solo su suolo nipponico.
20 – La più piccola fotocamera del mondo
Chiudiamo con un ultimo primato. Uscita nel settembre del 1998 per GameBoy, la GameBoy Camera (nota anche come Pocket Camera) è ufficialmente la più piccola camera digitale del mondo, come accertato nel 1999 dal Guinness World Record (record, tra le altre, ancora non infranto). Add-on del mitico GameBoy, la Pocket Camera scattava foto in tonalità di grigio di appena 256×224 pixel, ridotti addirittura della metà se si decideva di utilizzare il filtro anti-aliasing. La camera veniva venduta da sola, anche se era perfetta per il GameBoy Printer, una stampante portatile che, utilizzando carta termo-reattiva, stampava rapidamente le foto scattate con il GameBoy. Per l’epoca fu una vera e propria rivoluzione e, di fatto, la prima fotocamera presente su di un device che non fosse propriamente una macchina fotografica. Le vendite furono così positive che Nintendo progettò il lancio di una versione a colori della GameBoy Camera, il GameBoy Eye, che sarebbe dovuto uscire in accoppiata con GameBoy Advance e avere un’ampia compatibilità con GameCube per mezzo di un apposito software: Stage Debut. Ma né GameBoy Eye, né Stage Debut fecero mai il loro ingresso sul mercato, finendo nel dimenticatoio, anche se il software, a sentire nientemeno che Shigeru Miyamoto, sarebbe stato di ispirazione per alcune funzioni del Mii Channel di Wii. Non ci è dato sapere quali.