A cura di Nanni Cobretti
La bicicletta è forse uno dei mezzi più sottovalutati dal cinema. Usata principalmente nei film diretti, prodotti o influenzati da Steven Spielberg sulle avventure tra ragazzini, etichettata come quel mezzo che non vedi l’ora di abbandonare non appena hai la patente e puoi permetterti cose più maschie tipo “smettere di pedalare” o, che ne so, fare più casino col motore, ha in realtà doti coreografiche niente male che pochi film hanno voluto e saputo sfruttare.
Ride l’ha capito, e buona parte della sua preparazione sta nell’assicurarsi di rendere giustizia alle moderne gare di downhill e di avvantaggiarsi dell’agilità di un mezzo come la GoPro per ottenere il massimo dinamismo dalle riprese. Nell’attesa quindi di ammirare i risultati, a voi cinque antipasti con cui riscoprire i precedenti tentativi.
La banda della BMX (1983, di Brian Trenchard-Smith)
L’Australia negli anni ’80 era garanzia di film pazzi e, tolta la serie di Mad Max il cui exploit sfondò confini impensabili e conquistò Hollywood, il nome di punta su cui si reggevano gli action locali era quello di Brian Trenchard-Smith.
Già al timone di follie creative quali Stunt Rock e Turkey Shoot, nel 1983 Trenchard-Smith unisce la sua passione per gli stunt folli con la moda delle BMX e la loro predisposizione naturale a scene action fantasiose ed acrobatiche. Il risultato è una versione adrenalinica di un classico stampino “spielberghiano“: tre ragazzini (tra cui una 15enne Nicole Kidman) si imbattono in una gang di criminali e fra un inseguimento rocambolesco e l’altro riescono a sgominarla grazie alle loro biciclette sportive e a un ampio uso di walkie talkie. Non aspettatevi raffinatezze: trattasi di commedia che punta tutto sulle trovate coreografiche e sull’intrattenere un pubblico di giovanissimi con più slapstick che teneri rapporti interpersonali.
Rad (1986, di Hal Needham)
Hal Needham non è un appassionato di stunt: È uno stuntman, uno dei migliori e più famosi degli anni ’60 e ’70. Dopo una lunga gavetta passa gradualmente prima al ruolo di coordinatore e poi direttore della seconda unità finché Burt Reynolds, che aveva rimpiazzato più volte sullo schermo fino a diventarne grande amico, non gli procura la possibilità di dirigere Il bandito e la Madama, uno showcase di acrobazie automobilistiche che diventa uno dei più grandi successi degli anni ’70. Da lì in poi passa stabilmente alla regia (suoi anche i due film della Corsa più pazza del mondo, in cui compare anche Jackie Chan, e Jack del Cactus, con un raro ruolo secondario per un giovane Arnold Schwarzenegger pre-Conan).
Rad è la sua incursione nel mondo delle BMX, con una storia che più classica non si può: quella di un talentuoso ragazzino costretto a scegliere fra la scuola e la sua passione per le acrobazie in bicicletta, mentre la madre (Talia Shire, l’Adriana di Rocky) si preoccupa per il suo futuro, uno ricco sponsor cattivo cerca di mettergli i bastoni fra le ruote, e la bella fidanzatina lo sostiene.
Non aspettatevi niente che devi dalla più pura formuletta hollywoodiana, ma il ritmo è spedito, le acrobazie di alto livello (memorabile una scena di “danza” in bicicletta), e la colonna sonora una capsula anni ’80 che vorrete riascoltare a ripetizione.
Quicksilver (1986, di Tom Donnelly)
Oggi Kevin Bacon è forse il più famoso caratterista vivente, noto per aver lavorato più o meno con chiunque ed essere comparso in un gran numero di classici hollywoodiani. Ma negli anni ’80 era un leading man, un protagonista. Soprattutto nell’86, in cui era fresco fresco di Footloose, il film che l’aveva lanciato nell’olimpo delle star più promettenti della sua generazione.
Quicksilver, che purtroppo nessuno ricorda, fu il suo primo progetto dopo l’exploit danzereccio di due anni prima, il primo progetto costruito su di lui (anche se tecnicamente intercambiabile con un Tom Cruise qualsiasi). Gli ingredienti? Di nuovo acrobazie coreografiche (stavolta su un mezzo a pedali) misto a, uhm, Una poltrona per due. La trama vede un giovane e talentuoso stock broker perdere tutti i suoi soldi in un investimento rischioso (e qui già dovrebbero venirvi dei dubbi sulla definizione di talento su cui il film insiste, ma pazienza), e riciclarsi come fattorino in bicicletta. Il nostro scopre le gioie di una vita meno stressante e l’amore della bella Jami Gertz (Ragazzi perduti) ma, fra un’agile corsa e l’altra, rimane coinvolto in un brutto intrigo criminale, mentre parallelamente cerca di far fruttare la sua conoscenza del mercato finanziario per scopi nobili. Lo spazio per far qualcosa di sostanzioso sembra pure esserci, ma il film – come gran parte dei suoi contemporanei di successo – è più preoccupato a perdersi in intermezzi videoclippari su evoluzioni ciclistiche che ad altro, e non è un caso che buona parte del budget sia stato usato per avere in colonna sonora nomi grossi quali Giorgio Moroder, Roger Daltrey, Peter Frampton, Ray Parker Jr. e Fish dei Marillion. Di nuovo, il valore coreografico vince su tutto.
Senza freni (2012, di David Koepp)
Sono dovuti passare vent’anni prima che qualcuno si decidesse a riscoprire il vecchio film di acrobazie in bici ma, nonostante i forti richiami a Quicksilver, Senza freni non è un film nostalgico, quanto piuttosto il tentativo di applicare le logiche spettacolari di un Fast & Furious a un mezzo senza motore. Che in questo caso non è la BMX, bensì la più moderna bici a scatto fisso. David Koepp non è la scelta più ovvia per un film che vive di coreografie e stunt: più noto come sceneggiatore di classici giganteschi (Jurassic Park, Mission Impossible, Spider-Man), da regista ha diretto perlopiù thrillerini dimenticabili. Qui la sua professionalità serve a dare solidità a un thriller che ha il buon gusto di non inventarsi un sottobosco di trucide gang di ciclisti clandestini, ma che fa un po’ tutto quello che avanza, a partire dal dipingere gli adepti dello scatto fisso alla stregua di supereroi che – come un cieco che non avendo gli occhi aguzza gli altri quattro sensi oltre il normale – non avendo i freni diventano di colpo dei computer capaci di calcolare all’istante in mezzo al traffico l’opzione migliore per andare più veloci di tutti senza schiantarsi. Il trucco funziona e, appoggiato su un blando intrigo spionistico e sorretto da due attori più che solidi come Joseph Gordon Levitt e Michael Shannon, il film procede a ritmo spedito regalando tutto lo spettacolo acrobatico del caso.
Turbo Kid (2015, di RKSS)
Ambientato in uno futuro post-apocalittico datato 1997, Turbo Kid è l’opera prima di tre registi canadesi (nome di battaglia RKSS) che omaggiano gli anni ’80 e, piuttosto specificatamente, i pazzi film australiani e Rad. Ma non disperate! Prima che Stranger Things e Ready Player One portassero tutti all’overdose, Turbo Kid era il raro esempio di omaggio fatto con devozione, cuore, fantasia, sangue a schizzi e soprattutto sostanza. Già la trovata visiva è splendida: se nel mondo post-apocalittico la benzina è un bene prezioso, perché si ostinano comunque a girare tutti in macchina? Qui, giustamente, girano tutti in BMX. Turbo Kid non è un film sportivo o di showcase acrobatici: è la storia di un ragazzino che trova un guanto dai poteri devastanti e ne approfitta per prendere coraggio e diventare quel supereroe con una marcia in più che manca al suo villaggio, oppresso da un malvagio tiranno, e che manca soprattutto alla sua nuova amica Apple. È un film che si rifà a un immaginario di culto e cita tendenzialmente opere oscure/minori, ma è soprattutto un film che si regge tranquillamente da solo, che cura i propri personaggi e ti ci fa affezionare senza barare, che infila diverse trovate divertenti e indulge nello splatter cartoonesco tipico di quei film che danno tutto perché non hanno nulla da perdere. Ma soprattutto, è il film che elegge finalmente la cara e vecchia bicicletta allo status di veicolo più che degno per un vero eroe.