Fire Emblem Three Houses: le principali qualità del titolo secondo un neofita della saga nel bel mezzo della prima esperienza
Non sono mai stato un appassionato di strategici e me ne sono quindi tenuto sempre abbastanza alla larga. Certo, non era la struttura del gioco in se a darmi fastidio anzi, in realtà mi affascinano, ma conoscendomi, sapevo che imbarcarmi in un titolo di pura tattica, poteva portarmi inevitabilmente alla noia. In fondo ognuno ha le proprie inclinazioni a prescindere dalla qualità. Fire Emblem: Three Houses ha però suscitato il mio interesse fin dall’inizio, non so cosa avesse di speciale rispetto agli altri capitoli della saga da me totalmente ignorati. Forse lo stile grafico, forse il setting, o semplicemente la voglia di mettermi in gioco su un campo da troppo tempo bistrattato dal sottoscritto. Dopo aver apprezzato modelli di gameplay tattico “ibridi” e sui generis come Pikmin e Mario+Rabbids, era giunto il momento di fare un passo in avanti e buttarsi in un esemplare del genere puro.
Mai scelta più azzeccata, visto che sono a circa 40 ore di gioco fatte a difficoltà massima e con permadeath attivato. Sono ancora molto distante dalla fine, mi trovo in questo momento al capitolo 8. Ho deciso però di condividere alcune mie attuali impressioni da neofita della serie, per darvi la prospettiva di un videogiocatore veterano che però nello specifico della saga è un assoluto poppante alle prime armi. Vi illustrerò 5 motivi per cui lo sto amando, 5 caratteristiche di questo Fire Emblem Three Houses che probabilmente i più esperti tra voi troveranno banali, mentre chi semplicemente ci sta giocando ora come me penserà siano considerazioni prevedibili. C’è però la possibilità anche che siate come me incuriositi dal titolo ma non conosciate nulla della saga e non vi siate mai approcciati al genere. Ecco quindi che magari, potrebbe essere interessante leggere cosa più colpisce un giocatore che si butta sul titolo completamente alla cieca.
Leggibilità della struttura di gioco
Anche senza conoscere nello specifico la saga, me lo dovevo aspettare, in fondo si tratta comunque di una IP che fa parte della scuderia Nintendo, che ha una filosofia ben precisa che accomuna tutte le sue proprietà, anche le più complesse o distanti tra loro: chiarezza e leggibilità dell’impianto di gioco cercando di favorire il più possibile la comprensione delle meccaniche da parte del giocatore. Visto che è il mio primo Fire Emblem, ho particolarmente apprezzato che il gioco si prodighi a farsi leggere fluidamente in quasi tutti i casi, a volte addirittura fornendo diversi strumenti per trarre le stesse conclusioni. Faccio un esempio: ogni personaggio può equipaggiare diverse armi, che possono combinarsi con diverse mosse speciali. Ovviamente ogni arma e colpo ha la sua potenza, che dipende anche dal valore di attacco del personaggio, e in base ad alcuni altri parametri dell’unità, può anche colpire più di una volta o sortire altri effetti.
Trovo molto bello che quando si ingaggia un nemico, una semplice tabella in real time, switchando con i dorsali armi e colpi, mostri una previsione precisa dei danni che si porteranno all’avversario con quella determinata combinazione, con tanto di quanta energia gli rimane dopo l’attacco e addirittura la previsione sull’eventuale contrattacco avversario e il danno che subiremo a nostra volta. In un battito di ciglia è possibile immediatamente comprendere senza calcoli complessi o mille menù esattamente cosa conviene fare in un momento di attacco. Un piccolo e semplice esempio di un lavoro ben più ampio che comprende tutto il game design di un titolo che cerca di mettere in difficoltà il giocatore puramente a livello ludico e non certo rendendo complicata la vita tra interfacce pensate male e ambiguità inutili. Sembra poco, ma non lo è.
Storia e personaggi
Qui andiamo spediti, in fondo c’è poco da dire e tutto il resto non va assolutamente rivelato. Diciamo solo che avevo diversi pregiudizi circa questo titolo, causati da una analisi piuttosto superficiale dei primi dettagli emersi. Nello specifico, la struttura “scolastica” di Three Houses mi hanno inizialmente fatto pensare ad un gioco magari dal world building intrigante, ma dalla trama probabilmente fastidiosamente ancorata alle prevedibili dinamiche tra i membri della scuola. Inoltre il character design dei personaggi, sebbene mi sia sembrato subito bellissimo per i miei gusti, (adoro il “sobrio con stile”), mi dava l’impressione che ogni personaggio fosse un archetipo monocorde incapace di uscire troppo dai confini previsti dalla rispettiva “tipologia di carattere”.
Oh quanto mi sbagliavo in entrambi i casi… La Storia di Fire Emblem è sì un lungo susseguirsi di quotidianità e consuetudini che crea un mood abitudinario tipico dell’ambito accademico in cui si inserisce Three Houses (almeno per ora), ma nel mezzo quanti misteri, vicende, storie parallele, vengono alimentate? Ve lo dico io, parecchie! Ogni capitolo è l’occasione per portare avanti una trama orizzontale intrigante in cui poteri misteriosi e dettagli su un passato nebuloso del protagonista, acquistano sempre più concretezza. Inoltre, i nostri studenti, hanno un bagaglio ricco e sfaccettato. Ascoltarli è sempre un piacere e ogni volta che ci si interagisce si scava più a fondo nella loro caratterizzazione sempre più articolata, spesso inaspettatamente drammatica e imprevedibile. Gli abitanti del monastero non sono quindi macchiette, seppur questa può essere l’impressione iniziale, ma hanno un background che permette loro (almeno in molti casi) di inserirsi in modo sottile su temi più o meno leggeri o complessi con gran personalità. Affezionarsi a loro è stato semplicissimo.
Una esperienza squisitamente equilibrata
Attenzione, non parlo di semplice difficoltà, sebbene sia sicuramente il punto di partenza del discorso. Certo, tocca ribadire che la questione vale solo ed esclusivamente per la MIA esperienza, in cui ripeto, sto giocando Fire Emblem: Three Houses a difficoltà massima con permadeath, quindi non prendetela come una considerazione universale. Ebbene in queste condizioni la difficoltà è semplicemente perfetta. Non è troppo difficile, perché il battito divino è una risorsa importantissima nello scongiurare la dipartita definitiva di un compagno per un singolo errore dopo magari 40 minuti o più di intensa battaglia, ma non è nemmeno troppo facile, visto che a difficile non è possibile “grindare” i personaggi a suon di battaglie opzionali (ogni ingaggio costa un punto attività) e visto che, almeno in teoria, non vogliamo sacrificare nessun personaggio con conseguente rischio assoluto di ogni singola mossa sul campo.
Questo equilibrio legato alla sfida, almeno fino al punto in cui sono arrivato io, lo sto trovando veramente perfetto, richiedendomi il giusto sforzo (alto in molti casi) in ogni occasione di scontro, senza MAI, fino a questo momento, arrivare a frustrarmi o al contrario, sembrarmi troppo scontato da vincere. Ma c’è anche un altro tipo di equilibrio che fa parte del game e level design ed è quello che riesce a VALORIZZARE tutti gli aspetti del gameplay in maniera concreta. E parlo delle mappe che spesso riescono ad inscenare dinamiche varie e fresche, con nemici barricati in zone particolari della scacchiera che prevedono da parte nostra percorsi tortuosi, o magari studiate per dividere il nostro piccolo esercito in più squadre per accerchiare un nemico che tende a fuggire.
Anche i nostri giovani miliziani in erba, risultano, se cresciuti con un minimo di criterio, TUTTI sempre essenziali, al punto che (ancora una volta, almeno a difficoltà alta) spesso è difficile decidere chi deve rimanere a casa. Mi è capitato di rendere una battaglia impossibile da vincere, alla mia portata, semplicemente cambiando classe a un personaggio per permettergli di usare 2 abilità in più creando quel briciolo di sinergia in più con il tema che è risultata risolutiva. Lì ho capito quanto Intelligent System abbia dato un peso consapevole ad ogni variabile del gameplay, che in questo modo, risulta inevitabilmente molto stimolante.
La strategia tra i banchi di scuola
Quella che comunemente viene definita come la parte “gdristica” del gioco, ovvero tutta la fase di insegnamento all’interno delle mura del monastero, non la vedo come un tradimento dell’anima tattica del titolo ma piuttosto come un’altra deriva del suo spirito tattico. Nel decidere come curare i nostri rapporti con gli altri personaggi, quali attività svolgere, su quali obiettivi concentrarsi per noi e per i nostri studenti, c’è sempre una scelta da fare, c’è sempre una pianificazione ponderata, intrinsecamente legata proprio al concetto di strategia. Potete fare delle cose, ma dovete rinunciare ad altre. Durante ogni mese dovete pensare come ottimizzare il tempo in game, una battaglia opzionale è fondamentale per il level up ma vi costringerà a rinunciare all’esplorazione, che magari proprio in quella settimana prevede attività uniche.
A sua volta durante l’esplorazione del monastero potete decidere se spendere punti attività per aggiornamenti personali, altre attività o far crescere di morale i vostri studenti. Morale fondamentale per ottimizzare gli effetti delle lezioni. Ma potete anche ignorare il morale focalizzarvi su altre cose e poi decidere la volta successiva di dedicarvi ai seminari, che prevedono la crescita di parametri ben determinati in cui però il morale non influisce. E così via. Ogni azione nella fase formativa del gioco è strettamente interconnessa con le dinamiche generali e ogni decisione comporta conseguenze positive e negative (per quel che riguarda il precludersi in uno specifico momento di compiere altre operazioni). Questo rende tutta questa parte del gioco potenzialmente ripetitiva, estremamente stimolante e vede la strategia applicata semplicemente ad una faccia diversa del gameplay rispetto alle battaglie. Una cosa che ho trovato davvero interessante.
Un’avventura malleabile
Fire Emblem: Three Houses è un gioco “liquido” che con grande fluidità permette di aggiustare il tiro giorno dopo giorno in maniera intuitiva e molto permissiva. Armi, equipaggiamento, mosse speciali, abilità, competenze, classi. Non solo ogni parametro permette di creare la formula perfetta per definire un particolare personaggio in modo personale ed efficiente ma è continuamente possibile cambiare questo o quell’aspetto delle nostre “build” in base alla nostra esperienza e al feedback che abbiamo da ogni esito della battaglia. La natura dei nostri compagni è in continua evoluzione, non ci sono limiti a come possiamo “switchare” le loro propensioni belliche e nulla del lavoro fatto sarà mai perduto perché le competenze apprese rimangono e anche cambiato totalmente strada sarà sempre possibile tornare a sfruttarle in un secondo momento se ci accorgiamo di voler usare una classe diversa.
Non c’è quindi un binario in cui instradare uno studente che comporterà un percorso irreversibile, sebbene ovviamente per le classi Master che richiedono altri valori in alcune competenze specifiche, c’è da fare un lavoro di pianificazione piuttosto lungo. Il gioco, almeno a difficoltà alta, propone una costante riconsiderazione delle proprie priorità, ed è studiato per non penalizzare questa vivace versatilità nella personalizzazione dei nostri personaggi, con un sistema fatto in modo che, entro certi parametri di buon senso (ovviamente è possibile far crescere male un personaggio se in maniera totalmente sconsiderata ne accrescete parametri a caso), permette di sperimentare di continuo senza darvi la sensazione di rendere potenzialmente inutile il vostro lavoro in seguito, visto e considerato che ogni competenza può comunque tornare utile in build più sofisticate o magari, vi ha semplicemente permesso di reclutare un nuovo studente particolarmente incline a seguirvi in certe condizioni.
Si tratta dell’ennesima caratteristica del titolo, forse banale, ma che sto trovando fondamentale nel mantenere sempre alto il mio interesse verso la struttura di gioco di Fire Emblem: Three Houses.