Case infestate e letteratura
“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.”
Sono queste le parole con cui si apre (e si chiude) L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, romanzo del 1959 pubblicato in Italia da Adelphi e appena trasposta da Netflix nell’omonima serie che ha debuttato il 12 ottobre.
Il romanzo è entrato di diritto nella letteratura classica dell’orrore grazie soprattutto a una narrazione costruita magistralmente e a un’incredibile capacità nel giocare con le immagini, nascondendo dietro ad ogni minima descrizione tutto il senso di inquietudine che attanaglia la giovane protagonista Eleanor, la cui lenta discesa verso la follia rappresenta una delle più note (e inquietanti) storie di case infestate mai scritte.
Ma L’incubo di Hill House non è certo il primo caso letterario in cui la vita oltre la morte torna a tormentare le vecchie dimore e le nuove persone che vi abitano, anzi, questo vero e proprio topos ha una storia molto più lunga di quello che si potrebbe pensare.
Per scoprirla, andremo a visitare le più famose case infestate della letteratura… Tranquilli, una volta entrati faremo attenzione a lasciare aperta la porta alle nostre spalle!
Il legame che unisce un uomo alla propria abitazione è spesso complesso e profondo: essa viene percepita come un rifugio, come il luogo che più ci appartiene, come uno scrigno che custodisce in sé ricordi e affetti familiari. Ogni casa ha un profumo diverso, una diversa disposizione dei mobili, un particolare gusto nell’arredamento che rispecchia il carattere e la personalità del suo proprietario, diventando una sorta di estensione della sua mente, una parte integrante del suo “io”.
Per questo, fin dall’antichità, la casa è stata raffigurata come un luogo talmente intimo da rimanere legato all’anima dei suoi abitanti anche dopo la loro morte. A tal proposito, si riscontrano in tutte le civiltà, sin dalla preistoria, riti propiziatori e apotropaici volti a liberare le abitazioni dai fantasmi dei vecchi inquilini defunti. In letteratura, sono testimoni dell’esistenza di questo tipo di rituali in epoca greca e romana opere come la Mostellaria plautina, commedia in cui il fantasma di turno è soltanto un’invenzione di uno schiavo astuto per tenere il padre del suo giovane padrone lontano dalla sua dimora, o Gli amanti della menzogna, opera satirica in cui Luciano di Samosata muove una critica alle superstizioni della sua epoca attraverso una serie di racconti, il più famoso dei quali è Eucrate, l’apprendista stregone, da cui trarrà ispirazione Johann Wolfgang Goethe per scrivere, nel 1797, la ballata L’apprendista stregone, a sua volta ripreso da Walt Disney per il celebre episodio con protagonista Topolino nel classico Fantasia del 1940.
Considerato dagli studiosi precursore della moderna ghost story è, però, Plinio il Giovane, che in una lettera all’amico Sura si interroga sull’esistenza dei fantasmi e, tentando di approcciarsi alla questione nel modo più oggettivo e scientifico possibile, riporta alcune testimonianze di incontri col sovrannaturale. La più interessante di queste cronache riguarda il filosofo greco Atenodoro: attirato dal prezzo particolarmente basso di una casa in vendita ad Atene e incuriosito dalle voci che circolavano intorno all’abitazione, avrebbe deciso di comprarla e di trasferircisi. La notte stessa, Atenodoro sarebbe stato visitato da un fantasma che lo avrebbe guidato fino al luogo in cui i resti del suo corpo erano stato gettati dal suo assassino; una volta raccolte le ossa e data degna sepoltura al defunto, l’infestazione sarebbe cessata.
Diventata fonte di ispirazione addirittura per Il canto di Natale di Charles Dickens, questa lettera introduce moltissimi temi destinati a diventare classici: la storia di fantasmi presentata come “una storia vera”; la casa che viene acquistata perché il prezzo è stranamente molto basso; il protagonista che è un uomo di cultura, un letterato scettico nei confronti delle apparizioni; le voci sulla pazzia e sulla morte dei vecchi inquilini che vengono ignorate; l’apparizione preceduta da rumori inquietanti come cigolii e cozzare di ferraglia; lo spirito inquieto che si presenta solo di notte nelle sembianze di un uomo pallido ed emaciato, con i ceppi ai piedi e le mani legate da catene.
Questi elementi formeranno la base per tutta la narrativa dedicata ai fantasmi, che raggiungerà il proprio coronamento nella letteratura gotica della seconda metà del XVIII secolo, caratterizzata da vicende inspiegabili, ambientazioni arcaiche e oniriche e atmosfere generali di suspense e mistero. L’esempio più significativo è proprio quello che viene considerato il primo romanzo gotico, Il castello di Otranto, scritto da Horace Walpole nel 1764, dove su uno sfondo favolistico carico di intrighi, prodigi e apparizioni, il fantasma di Alfonso il Buono vigila sul castello per far attuare una vecchia profezia e riportare al potere il suo legittimo discendente.
Fra Otto e Novecento, con il raggiungimento dell’apice della letteratura gotica, l’interesse per i fenomeni di infestazione (e più in generale per gli eventi paranormali) prende sempre più vigore, complice anche la codificazione della dottrina filosofica dello spiritismo da parte di Allan Kardec, nel 1857, e la nascita della parapsicologia. A queste discipline si interessarono molti autori, a partire dal pioniere Sir Arthur Conan Doyle, che spesso ha ambientato i suoi racconti all’interno di luoghi stregati, delineando fenomeni come scricchiolii, rumori sinistri e luminescenze inspiegabili, fino ad arrivare, nel 1971, alla pubblicazione, da parte di Richard Matheson, del romanzo La casa d’inferno, in cui l’autore cerca di dare dignità scientifica all’analisi delle manifestazioni paranormali.
In epoca Vittoriana si iniziano a delineare due diversi filoni di ghost stories. Da una parte la narrazione volge verso l’umorismo, in particolar modo in Inghilterra, dove si era affermata la tradizione di condividere racconti paurosi durante il periodo natalizio. Una delle migliori parodie umoristiche di tali racconti è Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde, dove i temi classici delle storie di fantasmi sono rielaborati in toni sardonici e canzonatori, enfatizzando la contrapposizione tra la puritana Inghilterra vittoriana e la liberale società statunitense.
Dall’altra parte, in epoca moderna, l’immaginario sovrannaturale e intriso di mistero che aveva caratterizzato il periodo gotico si ammanta di tratti più cupi e paurosi, volti a terrorizzare il lettore. Nasce in questo modo la letteratura horror, che tra gli altri temi, eredita anche quello delle infestazioni domestiche, che tutti i grandi maestri dell’orrore hanno affrontato, declinandolo ognuno secondo il suo stile e secondo la sua sensibilità. È interessante notare come la narrazione diventi, col tempo, sempre più intima e introspettiva; l’elemento terrificante non è più una presenza estranea e ostile, ma diventa sempre più spesso il frutto di allucinazioni e suggestioni originate dalla mente stessa dei protagonisti.
Leggendo La caduta degli Usher di Edgar Allan Poe, così come La casa stregata o I ratti nei muri di Howard Phillips Lovecraft la sensazione di orrore deriva dalla degenerazione psichica e fisica dei personaggi che subiscono gli influssi negativi di ambienti degradati e angoscianti fino a diventarne ossessionati.
Il culmine di questa tendenza viene raggiunto da Stephen King con Shining, nel 1977. Qui, il senso di impotenza e di fragilità di fronte alle entità oscure racchiuse in un edificio (che questa volta non è una semplice casa o un romantico castello, ma un intero hotel) si traduce nella rapida discesa verso il delirio di una famiglia dalle certezze già minate ed è proprio l’attenzione nel tratteggiare la componente psicologica la vera forza di questo romanzo che, arrivato in Italia nel 1978 con il fantasioso titolo Una splendida festa di morte nella prima edizione Sonzogno, ha fatto da apripista alla publicazione nel nostro paese, solo un anno dopo, proprio de La casa degli invasati (as known as L’incubo di Hill House), di un’autrice da noi semisconosciuta, eppure più volte citata negli anni a venire, proprio dal Re dell’Horror nel suo saggio Danse Macabre, come degna Regina del gotico.