Lo scrittore, durante il suo tour in Italia, racconta la fantascienza cinese e si interroga sul futuro delle nostre società.
Esiste un assioma per cui, quando si parla di fantascienza, il 99.9% delle opere che verranno citate apparterranno alla sfera di produzione dei paesi anglosassoni. Che si tratti della fagocitante industria cinematografica di Hollywood o dei Grandi Maestri della letteratura di genere, molto spesso la tendenza è quella di indulgere nella comfort zone di una cultura occidentale che non spaventa e non sconvolge, ma alla quale, anzi, guardiamo da quasi un secolo come esempio da seguire per essere cool.
Per fortuna, però, negli ultimi anni sono sempre di più le realtà che si stanno indirizzando verso la scoperta delle sacche di fantascienza non anglofona, con collane dedicate, come Agenzia Alcatraz, che ha riportato in Italia la sci-fi sovietica con la collana Solaris, o ben più estesi progetti editoriali. È questo il caso di Francesco Verso, acclamato scrittore, due volte vincitore del premio Urania e, dal 2014, fondatore e direttore editoriale di Future Fiction, casa editrice che ha fatto della biodiversità narrativa il suo punto di forza: nel loro catalogo possiamo trovare autori provenienti da Francia, India, Russia, Romania, Brasile e molti altri esempi di narrativa speculativa locale, tra cui il racconto vincitore del Premio Nebula 2017 – Un’autentica esperienza da nativo americano, di Rebecca Roanhorse – e l’israeliano Lavie Tidhar, uno degli autori più interessanti del momento.
Ma uno dei luoghi del cuore di Future Fiction è senza dubbio la Cina, nazione in cui la sci-fi si sta guadagnando l’attenzione e il favore del pubblico per la sua capacità di interpretare il presente – sempre più simile a una scenografia cyberpunk – della Repubblica Popolare. Se ne sono accorte anche le grandi realtà come Mondadori, che ha appena pubblicato nella collana Oscar Fantastica il capitolo finale della trilogia di cui fanno parte Il problema dei tre corpi (Premio Hugo 2015), La materia del cosmo e Nella quarta dimensione; ma nonostante questa piccola breccia nella grande editoria, il corpus sinologico più massiccio tradotto in lingua italiana appartiene alla realtà costruita da Verso, che negli anni ha pubblicato due antologie dedicate, Nebula e Sinosfera, oltre ai racconti del più famoso autore cinese oltreoceano, Ken Liu, e di vari membri della New Wave cinese come Xia Jia, Zhang Ran e Chen Qiufan.
Proprio quest’ultimo è stato ospite del nostro paese nelle ultime settimane, per presentare la sua silloge L’eterno addio a Pisa, Milano e Bologna. L’abbiamo raggiunto lo scorso sabato al Pisa Book Festival, dove ha tenuto un incontro dal titolo Red Star Over Future: the trends and tensions of Chinese SF e ci ha dedicato un po’ del suo tempo per parlare delle tematiche dei suoi racconti e del futuro della società.
Prima di diventare uno scrittore a tempo pieno, con un romanzo – The Waste Tide – in uscita sul mercato americano il prossimo anno per Tor Books, hai lavorato per Baidu e Google nella Silicon Valley cinese, Zhongguancun. Come ti hanno aiutato queste esperienze nel tuo processo creativo e, viceversa, credi che l’abilità di uno scrittore di immaginare il futuro possa essere uno strumento utile nel campo della tecnologia?
Molti degli scrittori cinesi di sci-fi non hanno avuto l’esperienza di lavorare in compagnie tecnologiche, o di frequentare da vicino degli scienziati o degli ingegneri di ricerca e sviluppo, ma è importante vedere e provare a fondo come la tecnologia viene applicata alla vita quotidiana; mi aiuta a creare un’atmosfera autentica fin nei minimi dettagli. Allo stesso tempo, la capacità di raccontare storie ed entrare in sintonia con le persone è della massima importanza nell’industria tech, perché è necessario connettere le persone, piuttosto che limitarsi a lanciare sul mercato le tecnologie.
Nel primo racconto della raccolta – Buddhagram – ambientato proprio nel mondo delle start-up e delle app, descrivi la tecnologia come una religione, paragonando un iPad alla Bibbia. Credi che la scienza stia diventando un atto di fede, piuttosto che un dato di fatto?
La scienza è la nuova religione, adesso, anche se non molti di noi comprendono come funzioni. [E forse proprio per questo NdR] È molto simile all’epoca precedente all’Illuminismo, solo che agli Dei e ai Papi si sono sostituiti le intelligenze artificiali, la fisica quantistica, l’editing genetico e gli scienziati. Senza la diffidenza e il raziocinio, le persone diventano cieche e credulone, per questo è importante essere sempre scettici e curiosi, e non dare mai niente per scontato. Mai.
Nei tuoi racconti si percepisce l’incapacità dei tuoi personaggi di controllare la propria vita, ma allo stesso tempo capiamo che essi accettano questo aspetto inevitabile della vita. Una dinamica simile non è molto comune nella fantascienza, che ci ha abituato agli estremi utopici o distopici. Da dove nasce questo sentimento?
Credo che questa alta tolleranza agli eventi faccia parte della cultura della società est asiatica. Forse è in parte dovuta al Buddhismo e in parte al condizionamento del gruppo e alle condizioni di estrema competizione: ci è stato insegnato a essere costruttivi piuttosto che distruttivi. Perciò non penso che sia necessariamente accettazione della realtà, ma ciò che possiamo fare per cambiarla
In più di un tuo racconto troviamo un disturbo temporale che permette di dilatare o contrarre il tempo percepito e che viene sfruttato per acuire le differenze di classe già esistenti. Se guardi al futuro, pensi che arriverà un tempo in cui la tecnologia sarà usata per rimuovere le inequità invece di aumentarle?
Il tempo è la valuta definitiva per stimare qualsiasi cosa. Se parliamo di utopie, penso che la storia abbia dato riprova del fallimento colossale a cui sono seguiti gli sforzi di crearne una; per questo penso che se mai ci sarà la possibilità di creare una società totalmente equa, non sarà grazie all’umanità ma a altre intelligenze, come quelle artificiali. Ho una visione molto aperta su questo tema.
I tuoi racconti appartengono a una corrente che tu definisci realismo fantascientifico – eventi possibili che potrebbero accadere nel nostro mondo e nella nostra società nell’arco di pochi anni – ma qual è la tua opinione sulla corsa allo spazio? Quali sono stati i cambiamenti che sono occorsi in questi quasi cinquant’anni che ci separano dal primo allunaggio?
In realtà non è cambiato niente in termini di ragionamento, compassione o empatia: siamo ancora una specie separatista che si combatte l’un l’altro, lottando per accaparrarsi le risorse e il potere. Ancora peggio, la tecnologia è stata usata per manipolare la mente delle persone come in un miscuglio di 1984 e Il mondo nuovo. L’esplorazione spaziale è come la grande spedizione di Cristoforo Colombo, ma siamo ancora lontani anni luce dalla vera illuminazione e dalla saggezza di una comunità umana ben integrata.