Storia e cronistoria del Rilancio di Dylan Dog
Settembre 2013. Sull’albo del mese, il 324: L’odio non muore mai, una sorpresa accoglie i lettori della serie regolare di Dylan Dog. In realtà non avrebbe dovuto esserlo più di tanto, visto che diverse voci già si erano rincorse nelle settimane precedenti. Tuttavia, eccolo su quel numero, il tanto temuto proclama: si cambia. “Si cambia”, era esattamente questo il titolo che giganteggiava all’interno della consueta rubrica Dylan Dog Horror Club, scritto niente meno che da Tiziano Sclavi. Il leggendario creatore del personaggio annunciava che il suo figlio prediletto avrebbe affrontato un graduale processo di rinnovamento e che, dopo la parentesi di Giovanni Gualdoni, la serie avrebbe avuto un nuovo curatore: Roberto Recchioni. Era l’inizio del Rilancio.
Rilancio discusso, criticato (a volte aspramente), odiato e amato, capace in parole povere di generare un acceso dibattito. E adesso, a cinque anni di distanza dal suo inizio, sta per entrare in una fase cruciale: quella della continuità narrativa, inaugurata questo mese dall’albo Che regni il caos!, il primo dei 13 che andranno a comporre il cosiddetto “Ciclo della Meteora”. Dunque, quale pretesto migliore per ripercorrere le tappe del nuovo Dylan e riflettere su quali sono stati i cambiamenti operati negli anni?
La Fase 1 del Rilancio di Dylan Dog
Torniamo a quel concitato settembre 2013. Tiziano Sclavi dichiarava che ci sarebbe stata una ristrutturazione della serie, sarebbe comparso un nuovo avversario “all’altezza di Xabaras” e che le copertine avrebbero avuto una grafica diversa, ispirata alla pop art. Per concludere, sconvolgeva i fan, menzionando future rivoluzioni elefantiache di cui, purtroppo, non poteva anticipare nulla. Alla successiva conferenza su Dylan Dog, tenutasi al Lucca Comics and Games, venne fatto il punto sulla situazione. Lo stesso Recchioni, accompagnato da alcuni dei “mostri sacri” di Dylan, ovvero Paola Barbato, Carlo Ambrosini, Angelo Stano e Mauro Marcheselli, e i nuovi in rampa di lancio come Gigi Simeoni, rilasciava qualche anticipazione su quelli che dovevano essere i piani per il futuro. Fu la prima volta in cui si sentì parlare delle fantomatiche “Fasi” del rilancio: sarebbero state ben 4 e ognuna di queste avrebbe certificato un piccolo passettino fatto dall’Old Boy verso “Una nuova vita“, che era anche il titolo dell’albo che avrebbe dato il via all’intero processo. Da quel momento partiva la cosiddetta Fase 1 anche se, per esigenze editoriali, furono pubblicate solo le storie già pronte prima del cambio di gestione, seppur con qualche modifica.
Stiamo parlando dunque di una fase sostanzialmente anonima, dove si cerca di cambiare direzione in vista del futuro e di fare i conti con un declino preoccupante, che non è solo di vendite bensì soprattutto fisiologico, tipico di un personaggio che ha smarrito la sua identità. Specialmente, sembra essere finita la voglia di osare, come sottolinea un comunicato ufficiale fatto sulla pagina Facebook di Dylan Dog che scuote gli sceneggiatori, accusati (non a torto) di essere finiti in una spirale fatta di banalità e cliché narrativi. Anche se non mancano le buone prove, come quella di Fabio Celoni in I raminghi dell’autunno (albo 333), questo è evidentemente un momento di raccolta, di “chiamata alle armi”, senza fuochi d’artificio. Tuttavia vengono annunciate diverse novità, specialmente nella galassia delle testate raccolte sotto il marchio di Dylan Dog. Il Maxi Dylan Dog sarebbe diventato quadrimestrale, avrebbe cambiato nome in Old Boy e guadagnato un nuovo copertinista: Gigi Cavenago, mentre il tradizionale Almanacco della Paura (seguendo il destino degli altri almanacchi SBE) si sarebbe trasformato nel Dylan Dog Magazine. Lo speciale autunnale dal 2015 avrebbe ospitato la Saga del Pianeta dei Morti di Alessandro Bilotta e il Color Fest, all’epoca ancora semestrale, avrebbe accentuato il suo carattere sperimentale.
Lo stesso Recchioni aveva, in più occasioni, confermato che la Fase 1 sarebbe stata priva di grossi sconvolgimenti e aveva dato appuntamento all’autunno del 2014, dove avrebbe preso il via la Fase 2 che prometteva di essere molto più esplosiva. Ai tempi, Roberto Recchioni non era ancora la star del fumetto che è oggi. All’epoca era “solo” co-creatore di John Doe e Detective Dante, oltre che demiurgo di vari progetti in ambito editoriale e di alcune delle storie migliori viste su Dylan Dog da parecchie stagioni, come Mater Morbi. Ah, dimenticavamo Orfani, la sua serie d’avanguardia, che aveva da poco cominciato la propria avventura in edicola, in un tragitto che l’avrebbe portata a diventare il simbolo della grande trasformazione che aveva appena mosso i primi passi in Casa Bonelli.
La Fase 2 del Rilancio di Dylan Dog
Saltiamo dunque all’ottobre 2014, quando esce l’albo 337: Spazio Profondo (presentato a Lucca con una variant realizzata da Gipi), scritto proprio da Roberto Recchioni e disegnato da Nicola Mari con i colori di Lorenzo De Felici. Com’è logico supporre, questa storia cerca di essere un manifesto programmatico che pare diretto in particolar modo agli autori di Dylan, un racconto in cui gli stereotipi della serie e di un certo tipo di horror vengono portati all’estremo, mostrandone l’inconsistenza e l’inattualità. Un albo che mostra, fin da subito, la voglia di Recchioni di rottamare tutto, di scoperchiare il personaggio per liberarlo dalla gabbia dell’età anagrafica e favorire un necessario ritorno alle origini. Detto, fatto: il mese successivo Bloch va in pensione in Mai più, ispettore Bloch di Paola Barbato e Bruno Brindisi. La scelta, neanche tanto nascosta, viene fatta per liberare Dylan dal suo deus ex machina prediletto. Gli albi successivi certificano questo cambiamento dello status quo introducendo personaggi inediti (Rania e Carpenter su tutti, in Anarchia nel Regno Unito) e la nuova dimensione dell’ex capo di Scotland Yard, pronto a godersi la vecchiaia in Benvenuti a Wickedford. Senza dimenticare l’arrivo, finalmente, di questo avversario “all’altezza di Xabaras”: John Ghost, in Al servizio del caos, un villain che sembra incarnare al meglio la società iperconnessa dei giorni nostri, culla di orrori ben più complessi di vampiri, zombie e mostri vari.
Segue l’altrettanto ottimo Il cuore degli uomini (di Roberto Recchioni e Piero Dall’Agnol) che cerca di riflettere sul più grande cruccio dylaniato, più di Xabaras, Morgana, Groucho: il suo rapporto con le donne. A questo punto, la Fase 2 pare essere nata sotto una buona stella (anzi, “meteora”), ma è solo un assaggio che rischia di cadere quasi subito nel vuoto. Dopo i botti dei primi mesi, arrivano storie più di “decompressione” dove si tenta di approfondire la personalità dei nuovi comprimari (come Rania in Il sapore dell’acqua), forme di orrore più attuali (Nel fumo della battaglia) e la stessa figura di Dylan Dog (… E cenere tornerai). Si apre una finestra di saliscendi degno delle montagne russe dell’Horror Luna Park (il gioco di Dylan cui vi abbiamo parlato qui). Infatti, a numeri buoni, in cui soffia una certa aria fresca, ne seguono altri in cui invece nulla sembra essersi spostato di una virgola. È l’inizio di una fastidiosa instabilità che ci accompagnerà a lungo nei mesi successivi.
Il pre-trentennale
La Fase 2 (che teoricamente doveva durare fino all’autunno 2018) risulta così divisibile in due parti che sono in sostanza una pre-trentennale e una post- trentennale. Prendendo come turning point l’albo 361, Mater Dolorosa, ci si accorge che il Dylan precedente è diverso da quello successivo, anche se queste versioni mantengono molteplici punti di contatto tra loro. Uno di questi è la qualità altalenante delle storie che abbiamo sottolineato, che ha come contraltare il comparto grafico che si mantiene sempre su dei livelli altissimi. Ciò non stupisce troppo: la Bonelli (e Dylan Dog in particolare) dispone da anni di alcuni dei migliori disegnatori sulla piazza. Tuttavia, si tratta di un merito confermato anche dalle prime prove di artisti come Luca Casalanguida, Fabrizio De Tommaso, Emiliano Tanzillo, lo stesso Gigi Simeoni, Giorgio Pontrelli, Paolo Armitrano e Davide Furnò. Inoltre si sono confermati altri che avevano già avuto degli approcci con l’inquilino di Craven Road, come Paolo Martinello, i fratelli Raul e Gianluca Cestaro, senza dimenticare i veterani in continuo spolvero (Bruno Brindisi, Giampiero Casertano e Nicola Mari) e altri un po’ meno navigati, come Daniele Bigliardo, Marco Nizzoli e Roberto Rinaldi.
Controprova, questa, che il problema di Dylan non stava nelle matite, quanto nelle penne. Infatti è da lì che vengono le note dolenti di questa “prima sottofase” della Fase 2: dal già citato Simeoni, promettente ma troppo incostante, alla Barbato capace, quando in giornata, di regalare uscite memorabili (La morta non dimentica, L’uomo dei tuoi sogni), altrimenti destinata a dare vita a letture decisamente dimenticabili (Gli abbandonati, Remington House). Un punto, questo, che ci porta ai volti più noti come Luigi Mignacco, Carlo Ambrosini, Andrea Cavalletto e Pasquale Ruju, autori di racconti apprezzabili (Gli spiriti custodi, Lacrime di pietra, La calligrafia del dolore, Vietato ai minori) ma dal sapore un po’ stantio. Un difetto che bisogna riconoscere anche a Mattia Casali, nonostante il buonissimo spunto sviluppato in Sul fondo.
Invece, sempre parlando di volti nuovi, viene promossa alla serie regolare Barbara Baraldi (La mano sbagliata) e fa la sua prima apparizione l’attuale direttore editoriale di Coconino Press Francesco D’Erminio, in arte Ratigher (In fondo al male). Tuttavia, le idee più suggestive le hanno portate i “vecchi ma non così vecchi” come Alessandro Bilotta (La macchina umana) e Fabrizio Accatino, (Il generale inquisitore, Il prezzo della carne) che hanno dimostrato un’incredibile scioltezza con Dylan Dog e la voglia di esplorare lati meno battuti. In particolare Bilotta, che ha dato il via alla sua bellissima Saga del Pianeta dei Morti sullo Speciale annuale, pubblicazione che si è confermata nel tempo come una delle migliori del Rilancio. Altre novità apprezzate sono state il cambio di foliazione e di periodicità del Color Fest, diventato trimestrale e vetrina di racconti dalla lunghezza variabile. Pochi acuti e tante sperimentazioni, dunque, in questa Fase 2, dove la fiducia del pubblico ha dimostrato di non essere poi così solida, forse a causa di aspettative troppo elevate o promesse fatte con un’eccessiva fretta. Ed è in un simile clima che si arriva alla grande svolta, quella del trentennale della serie.
Il trentennale di Dylan Dog
L’attesa per il 29 settembre 2016 era alle stelle, resa ancora più insopportabile da un annuncio di pochi mesi prima: Tiziano Sclavi era tornato a scrivere, convinto dal suo stesso curatore al termine di un acceso colloquio. Un evento epocale, inimmaginabile, una notizia meravigliosamente buona accolta con trepidazione non solo dai fan dylaniati ma anche fuori dai consueti ambiti del fumetto. Il perché è semplice: uno Sclavi all’opera fa bene non solo al fumetto, ma anche alla cultura italiana in generale (in questo Recchioni si merita la nostra eterna riconoscenza, a prescindere da ogni possibile giudizio sul suo lavoro).
Ed ecco che il trentennale, già saturo di aspettative e timori, diventa un momento ancora più fondamentale, un’occasione in cui giocarsi il tutto per tutto. Il quel fatidico 29 settembre esce il numero 361: Mater Dolorosa, con al centro ancora la figura di Mater Morbi creata da Roberto Recchioni, che risulta particolarmente riuscita.
Ma non si tratta solo di una storia valida, è anche un altro manifesto programmatico, forse il più significativo. Rinnova infatti l’invito ad osare, a cercare vie nuove, a dare a Dylan una parte di se stessi, perché c’è la consapevolezza che il solo modo per raccontare delle buone avventure sia quello di sanguinare insieme a lui, esattamente come faceva Sclavi agli inizi. E, a proposito, ad ottobre arriva il suo nuovo episodio: Dopo un lungo silenzio, che segna un vero giro di boa nel Rilancio, un prima e un dopo finalmente percepibile. Non a caso, questo cambiamento è certificato da un altro, ancora più inatteso: quello del copertinista. Gigi Cavenago, dopo essersi allenato sull’Old Boy, succede ad Angelo Stano dopo ben 26 anni. Un avvicendamento che dà il via ai festeggiamenti del trentennale, che durano un intero anno e segnano profondamente la storia editoriale di Dylan Dog.
Il post-trentennale
I mesi che vanno da settembre 2016 al settembre 2017, i primi del “post-trentennale”, sono forse i più intensi della gestione Recchioni. Il personaggio gode di una forte notorietà mediatica, appare rivalutato sul piano della comunicazione e fa parlare di sé anche fuori dagli ambiti del fumetto con una certa costanza, complice anche le iniziative del Gruppo RCS (come I Colori della Paura, Il Nero della Paura e I Maestri della Paura).
Questa popolarità coincide con una serie di scelte coraggiose sul piano delle storie. Le prime due dopo il ritorno del Tiz (Cose perdute, Gli anni selvaggi), quasi ad indicare una metaforica rinascita, trattano l’infanzia di Dylan e la sua giovinezza, argomenti che fino ad quel momento pochissimi autori avevano approfondito. Le nuove leve della sceneggiatura, Baraldi, Simeoni e Ratigher confermano di aver intrapreso una parabola ascendente firmando numeri meritevoli come La ninna dell’ultima notte, Il passo dell’angelo e Graphic Horror Novel, che vede inoltre l’arrivo di un artista importante come Paolo Bacilieri. Nel dettaglio, si ha la sensazione che gli autori abbiano preso finalmente un po’ di coraggio, tant’è che Dylan comincia a sfoggiare una posizione precisa nei confronti di certe tendenze nella nostra società moderna.
Attenzione, però: questo non vuol dire che le storie siano perfette, anzi, quella sgradevole sensazione di instabilità è ancora presente. Tuttavia adesso l’aria che si respira è diversa perché gli scrittori cominciano a rischiare, sperimentano e mettono in discussione certezze che prima apparivano granitiche. Una rotta, questa, che accomuna sia gli autori di lungo corso come le nuove leve affiancate da altre che non tardano a farsi sentire, come Riccardo Secchi, Gabriella Contu, Mauro Uzzeo ed Emiliano Pagani, che esordiscono tutti sulla serie regolare con storie diverse ma accomunate dalla stessa voglia di osare (Il giorno della famiglia, Il terrore, La fine dell’oscurità, La fiamma). Oltre a questo, il 2017 è l’anno del crossover Dylan Dog-Dampyr, il primo propriamente detto della casa editrice. Nel frattempo, l’autunno del 2017 vede chiudere i festeggiamenti dei 30 anni con un’altra storia di Tiziano Sclavi: Nel Mistero, stavolta disegnata da Stano e assistiamo dunque al riformarsi di quella che per molti è LA coppia di Dylan Dog.
Il 2018 ripropone la stessa ricetta dell’anno precedente, con poche variazioni. Tuttavia, non è affatto un anno “normale” (con Dylan non lo è mai). Per esempio, troviamo un Simeoni che si mostra meno altalenante in un ottimo dittico di albi collegati (Dormire, forse sognare e Il tango delle anime perse) mentre riflette sul rapporto tra Dylan e la sua auto in La macchina che non voleva morire. Si propongono interessanti fili di collegamento tra numeri realizzati da autori diversi con Graphic Horror Novel: il Sequel di Diego Cajelli e Francesco Ripoli (entrambi esordienti) che inaugura una dialettica a distanza col precedente racconto di Ratigher. E, finalmente, abbiamo una storia, scritta dalla Barbato (Nessuno è innocente), che sviluppa il personaggio di Carpenter, ridotto per troppo tempo al ruolo di macchietta. Torna Giancarlo Marzano, che dimostra di trovarsi abbastanza a suo agio nel Rilancio e propone sceneggiature solide, anche se non particolarmente ispirate. La Baraldi continua a giocare con Dylan in Perderai la testa! e troviamo un intrigante albo sulla Tripofobia, ad opera di Giovanni Eccher (esordiente pure lui). Alla fine, si ha l’impressione che, anche di fronte a numeri tutt’altro che indimenticabili, leggere, acquistare e collezionare Dylan Dog abbia ritrovato un senso, un perché. Però non sempre si può cantare vittoria, come sottolinea Il macellaio e la rosa, dove Ruju rispolvera i fastidiosi cliché di una volta e che, alla fine, risulta meritevole solo per aver battezzato l’esordio di un altro giovane disegnatore: Fabrizio Des Dorides.
Ovviamente, il mattatore dell’anno è stato Profondo Nero di Dario Argento, Stefano Piani e Corrado Roi, che può essere considerato un altro punto fondamentale del rilancio, perlomeno sul piano della vitalità. Infatti, al di fuori della storia in sé, il fatto che un grande maestro cinematografico, riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, si cimenti con Dylan Dog ne testimonia lateralmente il buono stato di salute.
E domani? Cosa ci aspetta su Dylan Dog?
Non è facile fare delle previsioni su quello che sarà il futuro dell’Indagatore dell’Incubo, ora che sta per iniziare la Fase 3 col Ciclo della Meteora. Di sicuro, sarà un banco di prova importante per valutare se i segnali nei mesi scorsi sono sintomi di una possibile guarigione o solo l’ultimo lampo prima del buio. Tuttavia, probabilmente per poter avere un giudizio definitivo dovremmo aspettare anche il numero 400 e l’annunciata Fase 4, dove vedremo i 4 autori più rappresentativi dopo Tiziano Sclavi (Claudio Chiaverotti, Pasquale Ruju, Paola Barbato e Roberto Recchioni) cimentarsi con mini saghe di tre numeri ciascuno.
Si punterà dunque più forte su un circolo ristretto di autori, mentre Sclavi continuerà a scrivere (sono in preparazione i Racconti di Domani, una serie parallela realizzata da lui e da vari disegnatori) e verrà spinto l’acceleratore sul fattore continuità, in quell’ottica di recupero del Dylan Dog delle origini.
Quello che seguirà, poi, non può saperlo neanche Recchioni stesso. Una cosa, però, è certa: Dylan si trova al centro di grande fervore culturale e mediatico. Complici anche i progetti in cantiere della neonata Bonelli Entertainment (tra cui la serie TV sull’inquilino di Craven Road), il cross-over con la DC, le iniziative di carattere editoriale, economico e le partnership, il nostro Indagatore preferito sta vivendo un periodo interessante. E forse vale la pena arrivare fino in fondo, vedere dove questo lo porterà, se al baratro o ad una nuova vita.
L’importante, qualunque cosa accada, è essere sempre “responsabili di fronte a quello che viene prima, ma anche nei confronti di quello che viene dopo” (Jacques Derrida ed Élisabeth Roudinesco).