Quando l’entertainment aiuta anche la scienza…
Si sente spesso parlare di quanto la tecnologia insegua le visioni e anche le assurdità che vediamo al cinema e in televisione. Già sono fioriti gli articoli sulle soluzioni hi-tech inventate i Back To The Future 2 che sono diventate realtà, mentre la Nike sempre in materia ha annunciato che finalmente metterà in commercio le scarpe con gli autolacci (sì sì, certo, come no!). Accanto a questi esempi, ci sono i capisaldi della fantascienza, Star Wars e Star Trek, continuamente citati in questa corsa a chi lo inventa prima, mentre contemporaneamente autori e lettori di sci-fi fanno le loro liste delle cose che assolutamente vogliono avere tra le mani (Hooverboard? Teletrasporto? Un vero diario del capitano?)
Non è di questo che vogliamo parare in questa sede, ma esattamente di un fenomeno contrario. Questa volta non è la scienza che insegue le invenzioni assurde partorite dalle menti di scrittori e sceneggiatori, ma è l’affidamento alla scienza che fa sognare i registi e gli spettatori. Stiamo per raccontarvi del caso paradossale di un effetto speciale che ha svelato (per modo di dire) alcuni misteri scientifici.
Tu chiamale se vuoi equazioni
Tempo fa abbiamo parlato (anche molto estensivamente) di uno dei blockbuster della scorsa stagione cinematografica, un capolavoro (un po’ fallato) firmato dai fratelli Nolan. Interstellar è piombato nelle nostre sale cinematografiche come un asteroide, facendoci dono di un gioiello di tecnica, visivamente sconvolgente nella sua magnificenza, tra spazi(o) sconfinati e singolarità mai viste prima…
Ed è proprio questa la chiave di lettura: ‘mai viste prima’. Riflettiamo un attimo: nessun uomo o telescopio ha mai visto da vicino un buco nero o un wormhole, anche se schiere di fisici ne avevano studiato teoricamente la loro costituzione e la loro anima matematica. Quindi la difficoltà (relativa) stava proprio nel trovare una rappresentazione quanto più realistica di queste aberrazioni gravitazioni e relativistiche, vista anche la loro importanza in materia di trama.
Chiunque avrebbe scelto l’approccio più sensazionalistico: ‘Inventiamo un wormhole, facciamolo quanto più fico possibile, che sia di quelle cose che uno se le ricorda, tanto nessuno sa come è fatto. E per il buco nero? Mettiamo in piedi qualcosa di estremamente demoniaco, così spaventoso da succhiare via ogni singola speranza nello spettatore.’ Sicuramente sarebbe stato d’’effetto’, ma in conclusione solo un effetto speciale in CGI come tanti altri, dove sarebbe emerso più l’estro artistico che la eventuale veridicità dell’oggetto descritto. La visione dei fratelli Nolan era ben diversa da un qualunque polpettone fantascientifico. Volevano qualcosa di più e per ottenerlo avevano un asso nella manica e quell’asso aveva il nome di Kip Thorne.
Il celebre astrofisico compare nella crew come consulente scientifico, ma in realtà è responsabile anche della resa visiva del film, almeno in maniera indiretta. Grazie a un video reso noto da Wired, il prof Thorne e il responsabile degli effetti speciali Paul Franklin hanno lavorato a braccetto, laddove Thorne inviava memo e fasci di fogli pieni di formule ed equazioni matematiche, proprio quelle originali che descrivono il comportamento dei wormole e dei buchi neri e Franklin e il suo staff si prodigavano a elaborarle in ambienti simulativi, in attesa di vedere emergere i risultati.
I tecnici, i programmatori e lo staff degli effetti speciali hanno visto questi fogli, con le relative annotazioni, soprattutto sul comportamento della luce nei pressi dei buchi neri e, mani nei capelli a parte, hanno riprogettato i loro software per fare in modo che la simulazione fisica si comportasse nel modo giusto.
La prima sorpresa è stata vedere la generazione del wormhole, sferico, cristallino, profondamente infinito: un risultato che travalicava ogni rosea aspettativa, di una bellezza incredibile e realisticamente credibile! Ma la vera sfida doveva ancora arrivare: c’era il buon Gargantua che minacciava di ingoiare tutto, con la sua strapotenza gravitazionale. Il metodo di approccio per la sua ‘creazione’ è stato lo stesso, ma le difficoltà tecniche sono state superiori, dato il comportamento assurdo che la materia, la luce e il tempo stesso hanno nei pressi di un buco nero. Il lavoro di riprogettazione del software ha coinvolto anche il motore di rendering e di ray tracing (per gli effetti di luce) e quando alla fine tutto era pronto, il risultato è stato sconvolgente e inaspettato.
I realizzatori pensavano di ottenere un disco di detriti, tipo anelli di saturno, intorno a un pozzo di buio totale, dove tutto confluiva, anche la luce stessa. Quello che invece il computer generava aveva un aspetto quasi sferico, un disco con un enorme cappuccio di luce e materia intorno, che dava al buco nero la forma rotonda e tridimensionale (o quadridimensionale…) che abbiamo visto al cinema. Non certi di questa rappresentazione, gli effettisti hanno contattato il buon Thorne, che davanti alla rappresentazione ha laconicamente esclamato: ‘Ma sì, certo…’, che dovrebbe essere l’equivalente astrofisico di ‘Elementare, Watson’. Dietro il suo sguardo si agitavano migliaia di idee, perché solo lui aveva capito al volo di esser di fronte alla prima vera e veritiera rappresentazione di un buco nero come nessuno mai l’aveva vista: molto più di un effetto speciale. era probabilmente la realtà….
Non chiamatele fantabubbole
Il concetto di Hard Science Fiction è ben noto in letteratura. Ci sono scrittori che prima di essere romanzieri sono degli scienziati e che accidentalmente decidono di mettere le loro conoscenze al servizio della narrativa, realizzando dei romanzi incredibilmente fantasiosi, ma che di fantasia hanno davvero ben poco. Nel cinema, questa tendenza si è vista poco, in realtà. Alla fine se vuoi fare qualcosa di aderente alla realtà, fai un documentario. Sul grande schermo, vige la regola che bisogna allettare e sorprendere lo spettatore, portarlo su una giostra e renderla quanto più veloce, vertiginosa e colorata possibile, truccarla e abbellirla oltre ogni immaginazione e vince chi la fa più grossa e rumorosa.
Interstellar ha invece capovolto leggermente questo concetto. Ha messo in piedi una giostra, è vero, ma almeno ha portato sullo schermo un po’ di quelle teorie scientifiche, con i risultati incredibili che abbiamo visto. Ancora di più, rispetto a un romanzo, il film dei fratelli Nolan ha realizzato un film di Hard Science Fiction in maniera visivamente subdola, perché ovviamente, per lo spettatore medio il buco nero o il wormhole sono solo stati dei bellissimi effetti speciali, ma alla luce di queste nuove rivelazioni, di questi behind the scene, tutto il film assume un significato recondito più profondo e diventa decisamente più interessante. Ci lascia sperare che altre di queste rivelazioni vengano alla luce. Chissà, magari li vedremo nella versione Blu Ray…
E così, abilmente, ci hanno già venduto l’edizione home video del film. Non finiremo mai di imparare da questi maledetti geni del marketing, senza bisogno di software aggiuntivi…