Il futuro della serie nipponica parla francese?
La storia dietro il franchise di Wonder Boy e della sua declinazione successiva, Monster Land, è certamente affascinante, ma anche piuttosto complessa. Nato come emulo di Super Mario Bros. con un limite di tempo per adattare l’esperienza ai cabinati da sala giochi – da sempre ben desiderosi di vedere prezioso conio scivolare nelle loro fessure – il “ragazzo meraviglia” si è trovato protagonista successivamente di avventure che fondevano elementi platform, shmup e JRPG.
Il progetto nato in seno lo studio di sviluppo giapponese Escape (ma noto fino alla sua prematura chiusura con il nome di Westone Bit Entertainment) tenne compagnia ai giocatori di tutto il mondo tra la fine degli anni ’80 e metà degli anni ‘90, finendo per ispirare la nascita di tantissimi emuli capaci di riproporne le atmosfere. La saga di Adventure Island di Hudson nacque come porting per console del primo Wonder Boy, proseguendo come franchise di genere platform a se stante, ma tanti sono i videogiochi che in un modo o nell’altro si sono ispirati al melting pot esplosivo di elementi ludici dell’IP SEGA, come ad esempio il tanto celebrato Tombi del defunto studio di sviluppo Whopee Camp o il classico Uforia: The Saga per NES, noto in Giappone col titolo di Hebereke.
Quel che sorprende di più oggi è come a distanza di anni l’interesse per le coloratissime avventure di questi improbabili eroi dalle capigliature vaporose siano ancora oggetto di studio da parte di team indipendenti, tanto da aver ispirato rifacimenti più o meno riusciti della sua gloria passata.
Wonder Boy Returns, pubblicato in sordina nel 2016 dallo studio CFK fu il primo tentativo di riportare in vita il franchise rimasto inattivo dall’ormai lontanto 1994. Ricollegandosi all’universo del primo capitolo della serie e ambientandosi in un’era preistorica che vedeva protagonisti un biondo cavernicolo e la sua adorata partner dai capelli color verde mare (qui ridisegnata ispirandosi alle fattezze della popolare idol digitale Hatsune Miku), Wonder Boy Returns si qualificava a metà strada fra un remake e un nuovo capitolo della serie, proponendo un gameplay fortemente influenzato dalle meccaniche dell’originale e una vesta grafica bidimensionale in alta definizione (ma estremamente statica) che riusciva nell’ingrato compito di svecchiarne l’estetica in primitiva pixel art. Un tentativo sicuramente apprezzabile, soprattutto considerando gli sforzi rivolti ad espanderne la durata e la ricchezza di contenuti, ma incapace di donare nuova linfa ad un classico del 1986 che manteneva tutte le convenzioni ludiche di un’epoca ormai lontana.
Solamente l’anno scorso i siti internet di videogiochi sono tornati a parlare di Wonder Boy in occasione della pubblicazione di Wonder Boy: The Dragon’s Trap, remake del terzo capitolo – ma quarto in ordine di pubblicazione – della serie. Curato dal team francese Lizardcube e distribuito in Europa da Headup Games, il videogioco ripropose le meccaniche di trasformazione del protagonista in diversi animali antropomorfi. Il terzo capitolo della saga Wonder Boy era il primo, infatti, ad essere stato sviluppato appositamente per SEGA Master System e sfuggeva ai limiti di tempo e al game design dallo spettro circoscritto delle precedenti iterazioni progettate per cabinati arcade, candidandosi come uno fra i migliori capitoli della serie per home console; The Dragon’s Trap di Lizardcube include la possibilità di optare in qualsiasi momento per la veste grafica e l’accompagnamento musicale originale, permettendo anche di riutilizzare le password di salvataggio che funzionavano sulla cartuccia del 1989.
Il lavoro del team indipendente francese rimane ad oggi una delle migliori riproposizioni in assoluto di un classico d’epoca, fondendo ad una nuova (e opzionale) veste grafica di eccellente fattura una serie di novità che non snaturano in alcun modo gli equilibri del titolo originale, espandendone invece l’accessibilità per un mercato distante anni luce da quello degli anni ‘90. Non bisogna però farsi trarre in inganno dalla sontuosa mise estetica di questo videogioco approdato nel 2017 su Nintendo Switch, PS4, Xbox One e PC: il videogioco in questione, malgrado l’impegno, rimane un action adventure dominato da logiche fortemente retrò e quindi da una curva di difficoltà piuttosto aspra. Il prodotto francese è dunque consigliato ad un pubblico di veri appassionati armati di tanta pazienza e grande abilità joypad alla mano, pronti ad un’esperienza di gioco con radici ben salde in un modo di fare gaming un po’ datato e forse non adatto ai gusti dei neofiti.
Solamente a qualche mese di distanza dal piccolo capolavoro di Lizardcube ecco arrivare sul mercato Monster Boy e il Regno Maledetto, nuovo titolo che consegna l’eredità della saga (qui testimoniata da un titolo che unisce “Monster” di Monster World e “Boy” di “Wonder Boy”) al talentuoso team indipendente Game Atelier sotto la supervisione di Ryuichi Nishizawa, creatore del marchio. Questo team indipendente con sede a Parigi e noto principalmente per videogiochi destinati al mercato smartphone e console portatili, propone oggi un action adventure bidimensionale di pregevole fattura che raccoglie ciò che di buono c’era nelle datate meccaniche di The Dragon’s Trap per impiantare il tutto in un videogioco di matrice metroidvania agile, moderno e capace di stupire.
Nei panni di Jin, uno spadaccino dai capelli blu somigliante a Shion, l’eroe di Wonder Boy in Monster World, ci si trova subito immersi in scanzonate vicende filtrate dalle atmosfere fantasy giapponesi tipiche degli anni ‘90, in un mondo brulicante di vita e scoppiettante di colori caratterizzato da un level design che progressivamente mette alla prova l’abilità del giocatore nel saper padroneggiare le capacità uniche delle trasformazioni in animali antropomorfi che man mano si collezionano. L’obiettivo è solo uno: riportare la pace a Monster World e impedire la rinascita di un’oscura figura.
Monster Boy e il Regno Maledetto non propone certamente meccaniche inedite o colpi di genio mai espressi in precedenza dal popolarissimo genere dei metrodivania, ma distilla con incantevole efficacia gli elementi che meglio caratterizzavano la serie a cavallo fra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90. Ad un’impalcatura esplorativa più che soddisfacente, grazie al saggio dosaggio di fasi platform e puzzle solving, si somma un repertorio di mosse e abilità che man mano aprono l’accesso a nuove ambienti esplorabili. Il tutto è sommariamente riproposto in una mappa del mondo ben leggibile e nella quale ci si può spostare velocemente inizialmente utilizzando punti di teletrasporto prestabiliti e in un secondo momento approfittando della velocità delle forme mostruose sbloccabili nelle fase avanzate, magari nella speranza che il backtracking finisca per dare l’accesso a potenziamenti, equipaggiamenti o vie in precedenza inaccessibili.
L’efficacia del bilanciamento tra fasi action e puzzle solving e l’incalzante ritmo narrativo con cui le vicende si dipanano è tale da riuscire a incollare allo schermo anche per numerose ore, ricompensando gli sforzi dei completisti alla ricerca di tutti i segreti di quel mondo con diversi bonus nella forma di utili equipaggiamenti, potenziamenti e preziosa valuta digitale da investire nei negozi del regno, introducendo così una spruzzata di elementi RPG che mai guastano.
Il titolo francese è una scoppiettante avventura ricca di easter egg in cui non basta solo avere riflessi veloci e una buona coordinazione fra occhio e joypad alla mano, ma anche sufficienti capacità deduttive per riuscire a completare le fasi più impegnative; il livello di sfida di Monster Boy e il Regno Maledetto è estremamente flessibile, proponendo sulle vie necessarie al completamente dell’avventura una serie di ostacoli sufficientemente variegati e generalmente creativi. Solo nel caso ci si volesse spingere a completare il gioco al 100%, si potrebbe incorrere in improvvisi inasprimenti del livello di difficoltà, ma il tutto rimane opzionale e intraprendibile anche in un secondo momento, quando le capacità del protagonista saranno ben differenti da quelle iniziali.
In ogni caso il videogioco di Game Atelier rimane estremamente rispettoso del tempo a disposizione del giocatore, permettendo viaggi veloci da un punto all’altro della mappa: Monster World è infatti ampio e ricco di biforcazioni, ma fortunatamente disseminato di numerosi checkpoint e negozi che corrono in aiuto dei giocatori meno virtuosi joypad alla mano, permettendo a chiunque dovesse finire prematuramente la propria avventura di ricominciare a vestire i panni di Jin e delle sue numerose trasformazioni senza troppi rimpianti.
Ogni schema è finemente caratterizzato da una gradevole estetica bidimensionale in alta risoluzione, che pur non raggiungendo il fantasmagorico livello del remake di Dragon’s Trap di Lizardcube e del suo caratteristico stile grafico dai bordi a china riesce forse a ricollegarsi più efficacemente all’immaginario in stile manga della serie storica e delle sue colorate molteplici incarnazioni su console SEGA. Anche l’accompagnamento sonoro, privo di doppiaggio, si erge su livelli artistici degni di nota. Questo grazie allo sforzo congiunto di alcuni tra i più rinomati compositori della scena creativa giapponese, come Yuzo Koshiro (Ys, Streets of Rage), Michiru Yamane (Castlevania), Motoi Sakuraba (Tales of, Star Ocean), Keiki Kobayashi (Tekken, Ridge Racer) e Takeshi Yanagawa (Shenmue).
A conclusione di questo articolo viene tuttavia da chiedersi se questo si possa effettivamente considerare un vero e proprio episodio titolare della serie Wonder Boy, soprattutto per via dell’estrema divergenza sul lato ludico rispetto a Monster World IV, l’ultimo capitolo della serie originale pubblicato nel 1994.
Certamente Monster Boy e il Regno Maledetto si conferma come una delle produzioni più riuscite del 2018, ma il ritorno alle trasformazioni antropomorfe e il cambio di setting lo vorrebbero più come ipotetico sequel di quel Dragon’s Trap riportato in vita proprio da Lizardcube l’anno precedente. L’unica considerazione che posso fare al riguardo è che il concetto stesso di metamorfosi è forse la base su cui è stata edificata l’intera IP di Wonder Boy, che da emulo da sala giochi del ben più famoso Super Mario Bros. è riuscito in qualche modo a farsi strada in più generi videoludici e attraverso più ambientazioni senza mai perdere un briciolo del proprio delizioso carisma.
E per i più curiosi ricordo che la Sega Vintage Collection: Monster World disponibile per PS3 e Xbox 360 (in quest’ultimo caso inclusa nel programma Games with Gold e retrocompatibile con Xbox One) propone un riassunto piuttosto esaustivo del passato storico della serie, comprendendo anche Monster World IV, in precedenza mai pubblicato in Occidente. Traete le vostre conclusioni riguardo l’annoso quesito sulla continuità della serie, ma fatevi un favore: recuperate uno dei migliori titoli pubblicati sul finire del 2018, disponibile per PS4, Xbox One, Nintendo Switch e e in arrivo nei prossimi mesi su PC.