Vi piacciono gli episodi filler nelle vostre amate serie anime?
Dal 1988 Bandai (Namco) e Weekly Shonen Jump collaborano nella creazione di videogiochi che possano in qualche modo celebrare la fama delle pubblicazioni più popolari del fumetto giapponese per ragazzi e non stupisce che le due compagnie nipponiche ci propongano anche oggi un titolo come Jump Force, atteso cross-over di alcuni fra i maggiori successi delle serie più amate in terra natia e in Occidente.
Certo, vedere riuniti i personaggi di saghe popolari come One Piece, Naruto, Dragon Ball o Le bizzarre avventure di JoJo è sicuramente stupefacente, ma sotto la più patinata delle rappresentazioni tridimensionali si nasconde un progetto dall’afflato ludico piuttosto grezzo e francamente deludente. Nei panni dell’ennesimo avatar tridimensionale di Xenoversiana memoria, i giocatori collaborano con gli eroi della narrativa shonen per ripristinare la pace nel nostro mondo, vittima dell’invasione di inedite figure malefiche caratterizzate dal pennino di Akira Toriyama, già autore del celeberrimo Dragon Ball. L’idea alla base del titolo è figlia di due volontà molto evidenti: da una parte Shonen Jump Magazine ha la possibilità di pubblicizzare vecchie e nuove glorie nate fra le sue pagine, dall’altra Bandai Namco può confezionare un prodotto capace di catalizzare l’attenzione del grande pubblico su di sé fin dalla copertina, sulla quale capeggiano tre volti noti come Son Goku, Uzumaki Naruto e Monkey D. Luffy, specifiche icone capaci di vendere milioni di copie singolarmente grazie alle saghe videoludiche a loro dedicate. Come detto in apertura, il matrimonio fra Bandai Namco e Shonen Jump ha radici nel passato, quando ancora i videogiochi su licenza erano sviluppati per uno specifico target d’utenza appassionata di nazionalità nipponica, ma Jump Force è il vero e primo debutto internazionale dei frutti di questa collaborazione, fino ad ora relegati al solo mercato giapponese.
Quello che ci si aspettava, considerando anche la maturità di altri prodotti tratti dalle stesse licenze, era perlomeno di poter avere a che fare con un videogioco funzionante, sicuramente figlio di una inflazionata tendenza multiplayer confermata anche dal grande successo di prodotti come Dragon Ball Xenoverse, ma quantomeno accessibile e in grado di divertire il grande pubblico ormai abituato alla buona qualità dei progetti firmati da Cyberconnect2 o Arc System Works, autori di titoli come la saga di Ultimate Ninja Storm Revolution o FighterZ. Quanto attuato da Spike Chunsoft e Bandai Namco, invece, è forse il più becero tentativo di mungere il portafoglio dei poveri appassionati che sfideranno le pessime critiche piovute online su Jump Force: in poche parole, un vero e proprio spreco di potenzialità.
Il gioco si configura infatti come un picchiaduro a scontri con telecamera alle spalle con un’impalcatura che potrebbe ricordare il già citato Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm Revolution di Cyberconnect2, ma che alla prova dei fatti mostra tutte le lacune già riscontrate in J-Stars Victory VS su PS3, titolo arrivato con anni di ritardo nei negozi occidentali in una remaster per PS4 intitolata J-Star Victory VS +. Proiettati in un vuoto hub fitto di negozi per poter personalizzare il proprio avatar nell’aspetto e nello stile di lotta, sta al giocatore seguire gli indicatori a schermo nella speranza che la pachidermica linea narrativa si dispieghi fra uno scontro e l’altro, il tutto senza permettere una semplice navigazione a menù che snellirebbe gran parte dei tempi morti che invece si creano nello spostarsi da una parte all’altra delle vuote location non interattive. Il videogioco è chiaramente ispirato al modello del popolare Dragon Ball Xenoverse, già imitato dal deludente Naruto to Boruto: Shinobi Striker, ed è comprensibile che gli sforzi degli sviluppatori fossero mirati alla creazione di una comunità online di giocatori che potessero confrontarsi in rete creando il proprio “eroe Jump” su misura; a differenza dei titoli citati, tuttavia, Jump Force propone una personalizzazione del proprio avatar più sommaria, lunghissimi tempi di caricamento sia fra i singoli scontri, che fra una scena cinematica e l’altra, e ad oggi non è nemmeno possibile in alcun modo evitare i dialoghi che costellano l’intera esperienza senza apportare nulla se non beceri scambi testuali di mero fan service a cui non tutti potrebbero essere interessati. Se non altro è possibile fin da subito avere accesso a tutti i personaggi giocabili – con solamente tre eroine controllabili – e lanciarsi in scontri online per il perfezionamento del proprio stile di gioco, ma orpelli estetici e timide meccaniche di progressione in stile RPG non riescono a donare maggiore profondità ad un titolo che mostra fin da subito tutte le sue (poche) carte valide.
Il sistema di combattimento rivisto per l’occasione, ma basato sul precedente titolo già sviluppato da Spike Chunsoft, è sicuramente facile da approcciare e totalmente avulso da tecnicismi tipici dei videogiochi a scontri tradizionali, ma anche dominato da difetti evidentissimi fin dai primi istanti come collisioni imprecise, hit box non sempre attive e una risposta dei comandi decisamente inefficace. La stessa mappatura dei comandi fa ampio uso dei dorsali per l’attivazione di tecniche speciali e meccanismi di difesa, ma quando in un gioco a scontri il tasto della difesa può inavvertitamente innescare uno scatto verso il nemico, allora è chiaro che qualcosa è andato storto durante lo sviluppo. Il sistema di gioco, insomma, manca della benché minima capacità di strutturare scontri sufficientemente vari malgrado il grande numero di personaggi a disposizione, scadendo nella ripetitività di strategie che vanno imparate e portate in scena per tutta la durata della campagna single player, laddove un singolo personaggio mostra tutto di sé dopo solamente uno scontro.
Certo, le battaglie online riescono in qualche modo a lenire la mancanza di profondità dell’esperienza con l’elemento sorpresa di un’intelligenza umana dietro le movenze di un avversario, ma la mancanza di meccaniche uniche per ogni guerriero e l’inefficacia dei meccanismi che regolano gli scontri non aiutano di certo a pepare un videogioco che già dopo solo qualche ore sembra aver già bisogno di nuovi DLC per essere apprezzato nuovamente (a proposito, i primi arriveranno solamente a maggio). I personaggi utilizzabili sono tutti virtualmente identici, ma dotati di move set caratteristici che riescono se non altro a restituirne l’identità visiva portata alla gloria dai vari adattamenti televisivi dedicati, ed è anche apprezzabile che lo sviluppatore abbia riunito nel progetto tutti i doppiatori ufficiali attualmente impegnati a ricoprire il ruolo di ogni specifico eroe. Ma questo è forse il punto più alto dell’intera produzione: la rappresentazione scenica.
Per questo titolo Spike Chunsoft e Bandai Namco hanno infatti deciso di riporre i propri sforzi nella ricreazione di un particolare stile visivo dal tono fotorealistico che seppur finisca per stridere con il character design di alcuni personaggi particolarmente stilizzati, restituisce una delle messinscene più sorprendenti mai viste per un videogioco dedicato al mondo dei fumetti giapponesi. I muscoli si tendono, i tessuti si rompono sotto l’effetto dei colpi più devastanti, mentre effetti di luce e particellari riempiono lo schermo per caratterizzare gli scontri in modo estremamente scenografico, specie durante le sequenze dedicate alle tecniche di combattimento più letali a disposizione dei vari personaggi. Peccato che tutto questo ben di Dio, impreziosito da un buon uso dell’HDR, sia portato in scena attraverso cinematiche lente, tendenzialmente fisse e prive di regia, in cui gli eroi gesticolano con espressione vuota come se fossero fantocci come quelli utilizzati in Giappone durante gli eventi live giapponesi dedicati ai bambini (e più volte, durante la fase di testing, mi sono chiesto se non fosse davvero questo l’effetto finale ricercato dai grafici impegnati nella creazione di questo titolo).
A questo punto, meglio i box testuali e gli artwork bidimensionali di J-Stars Victory +, almeno si potevano saltare senza troppi rimpianti. Quel che duole ammettere è che gli sviluppatori non hanno nemmeno sfruttato la formula degli scontri a squadre 3 contro 3 per imbastire occasioni di vero e proprio fan service fatto come si deve, con mosse combinate, interazioni uniche e tante altre amenità che invece sono rintracciabili in qualsiasi altro prodotto su licenza. A prova del fatto che forse a Jump Force, pur lanciato per “celebrare i famosi 50 anni di serializzazione della rivista”, non importi nemmeno tanto dei suoi eroi.
Quel che salva in extremis una produzione così platealmente goffa e poco rifinita è infatti un comparto tecnico tutto sommato gradevole durante gli scontri più accesi, specie su PC dove il tutto avviene a 60fps, mentre su console ci si deve “accontentare” di un frame rate ancorato alla cifra di 30. Detto questo, è incredibile pensare che un picchiaduro in cui sfilano più di 40 eroi Shonen Jump possa annoiare così velocemente, complici anche i terribili tempi di caricamento fra le varie sezioni e i frequenti crash di sistema che costellano l’intera esperienza su console, ma nel caso si fosse in vena di scontri in stile manga, si è sempre in tempo per tornare a mettere le mani su Jump Ultimate Stars per Nintendo DS, titolo sviluppato da Ganbarion e pubblicato in Giappone nel 2006 (qui la patch traduttiva), che riusciva su una console portatile a compiere il suo sporco lavoro senza scontentare nessuno. E l’online era pure gratuito.