La nera allegoria dell’animo umano
Le note hip hop di Lucci e Coez aprono e ci accompagnano nella seconda stagione di Suburra, tanto attesa dagli utenti Netflix e finalmente sulla piattaforma di streaming dal 22 febbraio.
La prima, tra pregi e difetti, ci aveva consegnato uno show comunque altamente godibile che, figlio di un romanzo e di un film (ambientato in realtà dopo la serie), aveva l’arduo compito di condensare tempi ed eventi del libro e dilatare quelli del lungometraggio, facendoli comunque propri e riadattandoli.
Il tutto convivendo con lo spettro di Gomorra, e quell’inevitabile e costante confronto dal quale non è facile uscire incolumi.
Se “Suburra 1” ci aveva già abituato a tinte dark, queste assumono sfumature ancora più scure nelle nuove puntate, lasciandoci intravedere molto poco della città in cui sono ambietati i fatti, ponendo un velo nero su Roma, donandoci prevalentemente ambientazioni notturne o stanze buie, dove rare cromie più accese arrivano soltanto dall’oro e dallo sfarzo degli Anacleti.
Il nero dello sfondo della Suburra è lo stesso dell’animo di chi la vive, col sottobosco criminale che in questa stagione diventa ancora di più il pretesto per raccontare i suoi personaggi in tutte le loro sfaccettature, scandagliare le loro personalità e far emergere le fragilità, ma anche i punti di forza dei protagonisti e non solo.
Ognuno ha una doppia anima, dal più spietato dei criminali a chi solo a prima vista può sembrare un puro ma, dopo una vita passata a combattere contro i mulini a vento, fa di tutto per passare dalla parte dei giganti. In questo senso Suburra è una immensa allegoria, quella delle grandi istituzioni infettate ormai da un male che pare incurabile e che sviluppa metastasi in ogni dove contagiando tutto e tutti, perché se non ti fai avvolgere dal male nero, paradossalmente resti fuori dai giochi e la vita diventa morte e viceversa.
È anche per questo, per l’enorme metafora a cui Suburra ambisce a diventare che lo spettatore deve chiudere un occhio, quando possibile, di fronte a situazioni portate all’estremo e circostanze e personaggi non sempre credibili.
Di certo uno degli anelli deboli della catena resta il solito Gabriele Marchini (Eduardo Valdarnini), ora ispettore di polizia in tempi record, la cui improbabile figura condanna parte della plausibilità della show, a maggior ragione per il fatto che un personaggio così ambivalente avrebbe potuto dare tanto in termini simbolici. Restano poi i membri chiave della prima stagione, a partire da Spadino (Giacomo Ferrara) che perde inevitabilmente un po’ di quella verve che ce l’aveva fatto tanto apprezzare, diventa meno ciondolante e più concreto ed è un bene, perché non incappa nel rischio di trasformarsi in macchietta.
Ed ovviamente Aureliano Adami (Alessandro Borghi), vera anima di questa serie televisiva. Impara “ad usare la testa”, è meno istintivo e sempre più boss, come il suo look più maturo vuole immediatamente farci intuire, ed il suo personaggio è sempre più trascinante.
Ma ci sono soprattutto le donne, quelle nuove, quelle che tornano e quelle che acquistano potere.
Livia Adami (Barbara Chichiarelli) è di nuovo a Roma per cercare il perdono dal fratello Aureliano, mentre Angelica (Carlotta Antonelli), moglie di Spadino, fa di tutto per farsi strada nella famiglia Anacleti ed avere un posto di comando insieme a suo marito; e poi facciamo la conoscenza di Cristiana (Cristina Pelliccia), poliziotta collega di Lele Marchilli, che inizia a sospettare dell’ispettore e indaga su di lui, per poi dubitare lei stessa della bontà e del valore dell’integrità morale.
Chi ci stupisce positivamente e ci incanta come una sirena è invece il nuovo innesto Nadia (Federica Sabatini), che col suo look giovane e underground ma ammaliante si prende pian piano uno spazio sempre più grande, puntata dopo puntata ed entra nel cuore degli spettatori, anche grazie al modo eccellente in cui gli sceneggiatori hanno previsto questa sua ascesa.
Il ritmo inevitabilmente più lento e compassato rispetto alla prima stagione è dettato dal contesto in cui si svolgono stavolta le vicende. Sono i giorni che precedono le elezioni per il sindaco di Roma ed il plot si trasforma in un gioco a scacchi in cui ogni situazione e ogni personaggio cerca di far cadere il re ed impossessarsi della corona. Ma a comandare la città capitolina voglio essere tutti e spesso non bastano abili mosse, così alfieri e torri devono guardarsi le spalle dai pedoni, perché unendo le forze si può diventare grandi.
È così che Barbara Petronio & co. possono inserire anche tematiche complesse, come quella dei migranti e lo sfruttamento della vicenda da parte delle forze politiche, che covano il malcontento sociale per ottenere il proprio tornaconto, ovvero i voti.
In questo quadro articolato c’è comunque spazio per il core del crime, ovvero il colpo di scena, ed infatti i plot twist ci sono ed arrivano sempre al momento giusto, attizzando il fuoco quando lo show dà la vaga impressione che stia per spegnersi.
Per Suburra non è ancora il momento per diventare cenere, ed anzi arde in noi sempre più la voglia di una terza stagione.