Verso la nuova fase…
Una serie di misteri circondava il film già prima della sua uscita.
I trailer ci avevano mostrato Carol Denvers schiantarsi sulla Terra nel bel mezzo della notte e finire in un Blockbuster, con il duplice intento di solleticare la nostra nostalgia e attribuire una possibile data ai fatti narrati, riportandoci agli anni ’90. L’avevamo vista poi combattere in pieno giorno contro gli Skrull, indossando l’uniforme Kree, ma soprattutto i nostri occhi curiosi si erano posati su quelli di Nick Fury, entrambi funzionanti e privi di benda, facendoci porre la domanda: sarà questo il film in grado di spiegarci come l’agente dello S.H.I.E.L.D. abbia perso l’occhio sinistro?
E poi ancora, la curiosità più grande: Avengers Infinity War si era chiuso con lo stesso Fury intento a chiamare Carol, e noi attendiamo di sapere da circa un anno dove (o quando?) fosse Captain Marvel mentre Thanos si divertiva a dimezzare l’umanità. Che la supereroina fosse fuori dai confini dello Spazio? Di certo questo giustificherebbe l’assenza di Carol dal nostro pianeta, perché in fondo quando hai poteri così grandi, cosa ci resti a fare sulla Terra?
Con queste e parecchie altre domande, ci siamo accinti quindi curiosi alla visione del film (dal 6 marzo nelle sale) che – ve lo diciamo subito – risponde a molte questioni sospese.
E infatti c’è tanto da raccontare di Captain Marvel. Alla regia abbiamo Anne Boden insieme al solito compagno d’avventure Ryan Fleck; per loro si tratta del quinto lungometraggio insieme (ricordiamo con piacere Half Nelson e 5 giorni fuori), mentre per il MCU del primo film diretto – seppur non in solitaria – da una regista donna, circostanza che si ripeterà a breve con Black Widow, affidato alle cure di Cate Shortland. Due registe donne, quindi, per due film che hanno come protagoniste altrettante supereroine, per un girl power finalmente sempre più imperante nel mondo del cinema, e giunto ora anche nel Marvel Cinematic Universe.
Proprio questo è uno dei punti su cui calca la mano l’opera di Boden e Fleck, perché tutto il film si tramuta nell’evoluzione e nella presa di coscienza di Carol Denvers, della sua identità di cui non ricorda inizialmente nulla e della quale – con l’aiuto prevalentemente di altre donne – inizia ad avere reminiscenze sempre più concrete, ma soprattutto dei propri poteri, colpendo a suon di pugni fotonici chi l’ha tolta di peso dal suo mondo, in un gioco di simbolismi che prende vita col passare dei minuti e ci fa rendere conto sempre più dell’importanza di Captain Marvel nel MCU e di come vada a mutare tutti gli standard a cui eravamo abituati.
Ciò che muta è anche il percorso del film, poiché nulla si svolge come l’incipit sembra volerci indicare, e a cambiare forma non sono solo gli Skrull ma anche molti altri personaggi, seppur a livello umano e non estetico. Nulla è quello che sembra ed è un semplice plot twist a scombinare le carte in tavola, azionando peraltro un ritmo che andava un po’ calando nella fase centrale del film e che ci regala invece un finale frizzante e pieno di azione (finalmente!).
Qui si inseriscono ovviamente degli effetti speciali pazzeschi, probabilmente tra i migliori del MCU, per un comparto visivo da spavento a cui contribuisce l’ottima fotografia di Ben Davis, abile maestro di desaturazione, che in casa Marvel avevamo già visto in Age of Ultron, tra i più scuri soprattutto per ambientazioni e proprio per questo adatto alla direzione fotografica di Davis, che qui sa bene come giocare alacremente con luci e colori (come fece anche in Doctor Strange) ma anche come catapultarci nel 1996, coadiuvato da un altrettanto valido compagno, ovvero lo scenografo Andy Nicholson. Senza parlare poi, restando in questo comparto, di un Samuel L. Jackson ringiovanito e tirato a lucido dalla Computer Grafica.
Proprio i riferimenti agli anni ’90 sono un altro degli elementi su cui la regia pone l’accento, scandendo la narrazione con continui e numerosi accenni, dalla maglia dei Nine Inch Nails della Denvers, a Happy Days fino a Willy, il principe di Bel-Air, a volte circostanziali al racconto ed altre volte inseriti per il mero gusto di farci sorridere. Dove invece pecca un po’ questo back to ’90s è nella componente musicale, che ammicca al riuscitissimo – in tal senso, ma non solo – Guardian of Galaxy, con un risultato però piuttosto goffo che ci regala un’accozzaglia di belle tracce male assortite (non ai livelli della Distinta Concorrenza con Suicide Squad, state tranquilli), riprendendosi tuttavia in un finale meglio orchestrato anche da questo punto di vista, in cui troneggiano le note di Come as you are dei Nirvana.
La corona comunque spetta alla protagonista Brie Larson: incantevole, credibile e perfetta nei panni di una supereroina risoluta e in grado di far trasparire la sua doppia natura a tratti un po’ rude e a tratti affascinante.
In sostanza, quello che credevamo, ovvero che il futuro del Marvel Cinematic Universe sarà da ora completamente diverso rispetto a ciò che avevamo visto nelle prime tre fasi, era una previsione piuttosto indovinata. Lo stesso Kevin Feige aveva continuamente posto l’accento sulla diversità creativa di questo nuovo corso e aveva parlato in maniera esplicita di nuovi mondi e nuove ambientazioni temporali, oltre ovviamente alla possibilità di godere di una rosa sconfinata di nuovi personaggi.
Se il pericolo più grande era il fatto che Captain Marvel, per via di questi considerazioni, potesse tramutarsi in un film di spiegoni, vi annunciamo in anteprima che il pericolo è scongiurato. Certo, soprattutto nella parte centrale questi non mancano, poiché era necessario dare al pubblico una buona dose di informazioni, ma il duo Boden-Fleck ha compreso fosse il caso di non bombardarci e di offrirci un racconto non solo storico ma divertente e coinvolgente, facendoci innamorare di tutti i suoi personaggi, a partire dal “tenero” gattino Goose.