Abbiamo visto in anteprima il nuovo thriller/horror The Prodigy – Il figlio del male
In Italia arriverà il 28 marzo The Prodigy, film uscito in suolo statunitense lo scorso febbraio, del regista Nicholas McCarthy, già autore di un paio di horror movie piuttosto modesti, The Pact e Oltre il male, il primo dei quali, visto il discreto successo di pubblico, ha dato fiducia alle produzioni per affidare al cineasta altri progetti legati allo stesso filo conduttore.
In The Prodigy la storia si concentra sul rapporto tra una madre, intepretata da Taylor Schilling, (famosa soprattutto per il suo ruolo in Orange is the new black) e il figlio di 8 anni Miles, interpretato dal giovanissimo attore Jackson Robert Scott (il piccolo Georgie del remake di IT di Muschietti). Ancora una volta, si percorrono strade già battute più volte, e nello specifico andando a trattare di possessioni, cercando però di portare anche in questo caso, qualche elemento di novità nel soggetto che rimescoli un po’ le carte per diversificarsi all’interno di macro categorie legate al genere. Abbiamo visto questi tentativi in film come La casa delle bambole, Escape Room, o il recente L’esorcismo di Hannah Grace. Non sempre le cose vanno come dovrebbero però, e ne sono un esempio proprio questi tre film, riuscitissimo il primo, sufficiente il secondo e piuttosto scialbo il terzo. Ahimé, togliamoci il sassolino, The Prodigy rientra in questa terza categoria.
La premessa del film è la causa di buona parte del problema. Nessuno spoiler, parliamo letteralmente dei primi istanti del film: un maniaco assassino con il bel vizietto di tagliare le mani delle proprie vittime e poi trucidarle, viene scoperto e ucciso dalla polizia, nei suoi ultimi istanti di vita però, per qualche motivo, la sua anima si trasferisce nel corpo dell’appena nato Miles.
In The Prodigy quindi, l’elemento paranormale, viene ridotto al concetto di reincarnazione più blando, parliamo quindi di una semplice “doppia personalità” perdendo le suggestioni su cui solitamente giocano prodotti analoghi. Un problema quindi non tanto del soggetto ma di come viene trattato. Non per forza lo spirito maligno deve avere una natura ultraterrena per funzionare, qualcosa di simile accadeva per esempio in “Il caso Enfield” di James Wan, ma si sviluppava in maniera estremamente più sofisticata e coinvolgente.
Non è un caso infatti che il film diventi più interessante a carte scoperte, quando la natura del problema del piccolo Miles diventa evidente a chi gli sta intorno, rivelando quello che di fatto è quasi un thriller psicologico di matrice “spirituale”, e la trama comincia a giocare su un intreccio di inganni tra le parti, finalizzato a smascherare l’inquietante intruso nel corpo del piccolo protagonista. Tutta la prima parte del film, quella che cerca di utilizzare il semplicistico spunto di partenza per creare situazioni più legate al genere horror infatti funzionano poco. Colpa della messa in scena per nulla brillante ma anche di una scontata progressione degli eventi troppo lineare e prevedibile.
Purtroppo anche quando sembra ingranare, il film non riesce ad acchiappare troppo e si risolve in maniera estremamente anticlimatica, mostrando una verve cinica e pessimista che nonostante cerchi forse di emanciparsi dalle aspettative dello spettatore, finisce semplicemente per ricadere nuovamente in quel circolo vizioso di cliché dal quale il film non riesce a distaccarsi dall’inizio fino alla fine.
Buone le interpretazioni degli attori, con una Taylor Schilling che spicca anche sulla comunque notevole prova del giovanissimo Jackson Robert Scott, il quale chiamato a ricoprire il ruolo non semplice di “serial killer in miniatura” riesce a lavorare dignitosamente con gli strumenti in suo possesso, e anche se talvolta l’espressività corrucciata dell’attore risulta quasi parodistica, visti gli svariati scambi di personalità che deve simulare, non ci si poteva aspettare molto di più considerata anche la giovane età e inesperienza.
Scorrevole ma dimenticabile.