Dai Game & Watch a Kingdom Hearts III, passando per Kinect ed esclusive Nintendo Wii: ripercorriamo la storia dei classici Disney nel mondo dei videogiochi!
Oggigiorno pensando a Disney non possiamo fare a meno di andare col pensiero a tutti i film di animazione che hanno accompagnato la nostra infanzia, e sebbene il mito della casa di produzione americana abbia ormai abbracciato in modo trasversale il mondo dell’intrattenimento, fagocitando giganti come Marvel, Fox e Star Wars, uno degli aspetti più sottovalutati della sua produzione è quello dedicato all’universo videoludico. Per anni infatti Disney collaborò con colossi dell’intrattenimento nipponico come Capcom e SEGA portando negli anni ’90 sulle console di tutti i giovani appassionati un ricco compendio di titoli ispirati proprio alle pellicole più apprezzate dal grande pubblico. Niente di eccezionale a dire il vero: il fronte artistico giapponese è da sempre impegnato nella realizzazione di tie-in di proprietà intellettuali occidentali, ma quello che questo articolo vorrebbe far notare è come l’influenza del topo multiforma del marchio statunitense sia riuscita a farsi valere ben prima di successi cross-platform come la saga di Kingdom Hearts o la rivoluzione di miniature NFC come quelle di Disney Infinity, mercato che è stato poi conquistato, con grande astuzia, da Nintendo e il suo marchio Amiibo.
D’altra parte, sebbene questi titoli fossero realizzati su licenza tenendo bene in mente le esigenze del mercato statunitense, è anche vero che il Giappone si è sempre dimostrato più che ricettivo alla produzione disneyana, addirittura molto più che all’enorme produzione interna di serie e film d’animazione animati. Frozen, film d’animazione del 2014, è stato in grado di registrare il miglior successo al botteghino nel paese del Sol levante dal 2001, con 25,48 miliardi di yen di incasso (circa 204 milioni di Euro al cambio odierno), superando i risultati di orgogli nazionali come La Principessa Mononoke di Studio Ghibli e veri e proprio kolossal planetari, come Avatar di James Cameron, E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg e Star Wars di George Lucas; sempre secondo i rilevamenti di ORICON, organo che monitor le vendite del mercato home-video nipponico, il classico 3D Disney è riuscito a registrare il record più alto mai visto per un prodotto in DVD e Blu-ray disc, con oltre 2,2 milioni di copie vendute fra i due supporti. Il precedente record detenuto in patria era stato registrato solamente da La Città Incantata di Hayao Miyazaki, capace nel 2002 di raccogliere un risultato appena inferiore di sole 200.000 unità. Non stupisce quindi che in Kingdom Hearts III sia presente addirittura un’intera sequenza che ricrea uno dei passaggi più importanti del film originale.
Il sovrapporsi del mondo dei videogiochi e quello della produzione animata Disney ha radici ben salde fin dai primi anni ’80, con veri e propri dispositivi Game & Watch di Nintendo dedicati alle avventure di Topolino, fino alla creazione di veri e propri marchi come quello di Crazy Castle, saga itinerante nel mondo dell’animazione occidentale sviluppata dalla giapponese Kemco che proponeva su NES non solo personaggi iconici dell’universo disneyano, ma anche incursioni degli animali antropomorfi di Warner Bros., i sempre apprezzati Looney Tunes. Negli anni ’90 si chiude tuttavia un accordo di esclusività fra Walt Disney e Capcom che sancisce un periodo di esclusività per la creazione di videogiochi su licenza per la console Nintendo; un viaggio itinerante proposto per percorre velocemente un cammino che va dai primi anni ’90 fino ai giorni nostri.
Il titolo NES arrivato in Occidente col nome di Kid Klown in Night Mayor World altro non era che un titolo Disney noto in Giappone col titolo di Mickey Mouse III: Yume Fuusen (Sogno di palloncini); la trasformazione del videogioco è dovuta all’accordo di esclusività che venne sottoscritto da Walt Disney e Capcom all’epoca.
Giappone e Disney: cosa può andare storto?
Il primo videogioco che vide il nome di Disney e Capcom comparire assieme sullo stesso packaging fu Mickey Mousecapade nel 1988, arrivato su NES per il solo mercato Nord Americano; il videogioco era sviluppato in realtà da Hudson Soft, ma riproposto ad anno di distanza dalla pubblicazione giapponese in America sotto il marchio di Capcom dopo pesanti modifiche che andavano a trasformare la rappresentazione di specifici personaggi: il titolo nella sua versione originale prevedeva l’inclusione di nemici prettamente trattati dal film d’animazione Alice nel Paese delle Meraviglie, mentre nella versione Occidentale proponeva un cast più variegato, in un cross-over che includeva volti tratti da classici d’animazione come Il Libro della Giungla, La Bella Addormentata e addirittura Biancaneve e i Sette Nani. In poche parole, seppur il videogioco si configurasse come un platform tutto sommato dimenticabile, proprio per la sua natura celebrativa si può quasi considerare come il vero e unico precursore del già citato Kingdom Hearts di Square Enix.
Nel 1989 Capcom e il suo producer Tokuro Fujiwara, già impegnato nella realizzazione di Mega Man 2, lanciano Ducktales su NES, andando a creare un vero e proprio punto di riferimento per i tie-in videoludici legati a doppio nodo al mondo dell’animazione. Il titolo non solo presentava un gameplay divertente, accessibile e con una progressione non lineare, ma era anche baciato da una presentazione pregevole e da un comparto musicale chiptune talmente iconico da essere ancora oggi celebrato da migliaia di fan con riarrangiamenti e cover pubblicate in rete. In tempi recenti anche il reboot animato dedicato alla saga di DuckTales ha ripreso uno dei più apprezzati brani presenti nel gioco, di fatto canonizzandolo ufficialmente nella continuità dell’universo disneyano. Questo videogioco è stato anche recentemente riproposto in una collection intitolata The Disney Afternoon Collection sviluppata da Digital Eclipse e pubblicata da Capcom nel 2017 per PC, PS4 e Xbox One. Nella collection è incluso anche il delizioso Chip and Dale: Rescue Rangers per NES, giusto per completezza. Per i più schizzinosi in fatto di impatto visivo, è anche possibile poter godere di una pregevole riedizione di DuckTales in alta risoluzione e completamente animata a mano da WayForward Technologies acquistabile su PC, Xbox 360, PlayStation 3 e Wii U.
Si dovette attendere fino al 1990 per veder spuntare dalla prolifica collaborazione fra Disney e altre case di produzione giapponesi uno dei platform bidimensionali più apprezzati di quel decennio: Castle of Illusion Starring Mickey Mouse per Sega Mega Drive. Il titolo venne accolto calorosamente dalla stampa specializzata che ne apprezzò soprattutto la presentazione estetica e il gameplay, considerato classico, ma caratterizzato da un’ottima curva di apprendimento. Questo classico SEGA aiutò la console della casa nipponica a consolidare la propria fama e precedette addirittura il debutto di Sonic the Hedgehog, divenendone per un breve periodo una delle icone più rappresentative. Un omonimo remake venne lanciato nel 2013 su console e PC, proponendo un comparto grafico tridimensionale, ma mantenendo un modello esplorativo bidimensionale tale da definirlo un platform 2,5D sulla falsariga di titoli come Klonoa di Bandai Namco e Pandemonium di Toys for Bob. Nel 2012 fu anche realizzato un videogioco intitolato Epic Mickey: Power of Illusion per Nintendo 3DS appartenente all’IP di Epic Mickey che riprendeva le atmosfere del classico SEGA e che nelle intenzioni dello sviluppatore DreamRift ne rappresenterebbe una sorta di sequel spirituale, sebbene la tiepida ricezione da parte di critica e pubblico non sembra aver recepito il messaggio.
Mentre su console SEGA la saga di platform intitolata Illusion continuava a proporre avventure sempre nuove per Topolino e Paperino, sulle console Nintendo Capcom dava il meglio di sé con titoli come Darkwing Duck, platform basato sul engine di Mega Man 5, ispirato alle avventure dell’omonimo eroe mascherato raccontate nella serie animata del 1991. La casa giapponese, insomma, continuava a macinare successi degni di nota sia su NES che su Game Boy, dove riproponeva versioni portatili dei titoli home console con compromessi tecnici piuttosto esigui; il suo impegno è tuttavia riconoscibile anche nella creazione di videogiochi che rompevano gli schemi dell’epoca con soluzioni innovative, aperte alla sperimentazione: è il caso di Goof Troop di Shinji Mikami, ricordato su Super Nintendo per non essere “un platform come tanti altri”, ma vedendo invece i giocatori lanciati in un’action adventure con elementi puzzle che potevano anche essere risolti in cooperativa multiplayer. D’altra parte SEGA poteva contare sul prolifico lavoro di Emiko Yamamoto che, dopo aver firmato Castle of Illusion, si vide impegnata nella realizzazione di altrettanti titoli degni di menzione, come QuackShot Starring Donald Duck, un’avventura inedita di Paperino, Qui, Quo e Qua nei panni di cacciatori di tesori in atmosfere che non si distaccavano poi troppo dalle atmosfere di classici cinematografici d’azione come Indiana Jones.
Nel 1993 torna tuttavia a ruggire SEGA con un titolo sviluppato da Virgin Games e Disney Software: Disney’s Aladdin. Ironicamente, allo stesso tempo, Capcom pubblicò in esclusiva per Super Nintendo un platform dallo stesso nome su cui lavorò un veterano della scena creativa nipponica Shinji Mikami. Il risultato?
Beh, la versione Sega Genesis non solo poteva vantare una grafica distintamente superiore, soprattutto considerando il fatto che gran parte degli elementi bidimensionali erano stati realizzati a mano dagli stessi animatori impegnati nella lavorazione del lungometraggio, ma proponeva elementi del tutto assenti nell’edizione Nintendo, probabilmente “edulcorata” per evitare polemiche con gli organi che monitoravano i prodotti d’intrattenimento dell’epoca. Non che il titolo SNES fosse da meno, seppur la presentazione fosse decisamente meno impattante: il platform Capcom venne all’epoca considerato dalla stampa statunitense come uno dei migliori disponibili su Super Nintendo, ma l’enorme divario in termini di vendite (1,8 milioni per il titolo SNES contro 4 milioni per il videogioco SEGA) e la stessa ammissione di inferiorità del prodotto giapponese da parte di Shinji Mikami sembrano aver finalmente chiarificato in modo definitivo l’annosa questione che per anni è rimbalzata sulle bocche dei giocatori più attempati.
Nel 1994 Westwood Studios, prima che raggiungesse il successo con Command & Conquer, lanciò sul mercato Disney’s The Lion King, uno dei platform console più impegnativi che io abbia modo di ricordare. Ricordato soprattutto per il suo alto livello di sfida e per un comparto tecnico degno di nota (da ricordare soprattutto il livello in cui si deve fuggire da degli gnu imbizzarriti), ancora una volta frutto degli sforzi di animatori Disney in-house, il titolo sfoggiava animazioni in pixel art ed effettistiche piuttosto pregevoli su Sega Megadrive e su Super Nintendo una colonna sonora impreziosita da effetti sonori aggiuntivi.
Una rinascita?
Arrivati a cavallo degli anni ’90 la produzione di titoli Disney cominciò un lento, ma percepibile declino: le collaborazioni con team esperti provenienti dal Sol levante vennero ridotte drasticamente e dovemmo attendere diversi anni prima di rivedere titoli degni di nota riaffacciarsi sul panorama videoludico. E no, quel Disney’s Hercules che ricordate con tanta nostalgia poiché presente nella Demo One di PlayStation non era niente di che, suvvia!
Sicuramente fra i più interessanti esempi di produzioni atipiche e capaci di ritagliare attorno a sé un certo fascino troviamo Epic Mickey, titolo sviluppato in esclusiva per Nintendo Wii sviluppato da Junction Point Studios nel 2010. Diretto da nientepopodimeno che Warren Spector, creatore della serie Deus Ex e volto di riferimento dietro a sage popolarissime come Ultima Underworld, System Shock e Thief, l’action adventure in esclusiva per console Nintendo, pur non eccellendo, riuscì a far parlare di sé per le atmosfere a tinte dark che permeavano l’avventura di Topolino e Oswald il coniglio fortunato, precursore dello stesso Mickey Mouse che debuttò nelle opere del giovane Walt Disney nel 1927. Il titolo non solo proponeva un’ossatura da platform tridimensionale, ma includeva anche missioni secondarie ed un karma system non dissimile da quello visto in titoli come Fable di Lionhead Studios o Infamous di Sucker Punch Productions.
Meno noto è invece Guilty Party, altro prodotto sviluppato nel 2010 in esclusiva per Nintendo Wii da Wideload Games che porta su console il classico gioco da tavolo Cluedo, innestando il tutto in punta e clicca investigativo a tinte mystery. Un party game giocabile anche in single player caratterizzato da un’estetica cartoon indovinatissima e da una scrittura irriverente e sopra le righe ingiustamente dimenticato. Infine mi sembra giusto citare Fantasia: Music Evolved di Harmonix fra i videogiochi più interessanti legati al marchio Disney. In questo caso il titolo in questione, pubblicato in esclusiva per Xbox One nel 2014, è addirittura legato all’utilizzo obbligatorio di Kinect 2.0, periferica dimenticata da Microsoft stessa. Basato sul film d’animazione Fantasia e legato indissolubilmente all’utilizzo di motion control, il rhythm game sviluppato dai papà della serie Guitar Hero è una vera gioia per gli occhi e le orecchie, proponendo oltre trenta brani che vanno dal ritmo martellante dei singoli di Lady Gaga fino a classici della musica moderna come “Message in a Bottle” dei The Police per mischiarli ad opere classiche come Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi.
Con la chiusura del progetto Disney Infinity e la perdita di oltre 200 milioni di dollari fra il 2008 e il 2012 da parte di Disney Interactive Studios, è ormai poco credibile che il gigante statunitense possa pensare di tornare a sviluppare internamente nuovi titoli basati sui propri marchi. Gli appassionati dediti al romhacking hanno già iniziato a recuperare perle del passato pubblicate in esclusiva per il mercato giapponese come Disney’s Magical Quest 3 Starring Mickey & Donald per Super Nintendo e Game Boy Advance, baciato da una fan-translation che in qualche modo rappresenta un certo interesse da parte del pubblico per i vecchi platform classici dell’era Capcom a tinte disneyane; in ogni caso il grande successo di Kingdom Hearts III in termine di vendite sembrerebbe poter far dormire sonni tranquilli agli appassionati di Topolino e company: non importa in quale prodotto cross-mediale, sicuramente gli animali antropomorfi di Walt continueranno a far capolino nel mondo dei videogiochi. E chissà che dietro l’angolo non vi siano nuove fortunate collaborazioni con altri big della scena artistica giapponese…