Abbiamo visto in anteprima il film che reinterpreta Hellboy, celebre antieroe nato dalla penna di Mike Mignola.
A distanza di 15 anni dal primo lungometraggio di del Toro, Hellboy torna con un film ad opera di Neil Marshall. Il regista inglese ha le idee molto chiare: creare un action-fantasy-horror che non sacrifichi il black humor dell’opera originale di Mike Mignola, ma che inserisca anche il suo linguaggio esplicito e maturo.
Marshall in tal senso sembra l’uomo adatto: un regista che se la cava discretamente con il genere action (discreto il suo Doomday- Il giorno del giudizio) ma che trova nel genere horror il suo cavallo di battaglia. L’horror più viscerale, carnale, concreto e sanguinolento, (come quello del suo The Descent,) viene preso di peso, svincolato dall’esigenza di spaventare, messo al servizio del puro gusto macabro dello splatter, e trasportato in questo reboot dedicato al personaggio, interpretato per l’occasione con grande personalità da David Harbour (conosciuto soprattutto come capo della polizia Jim Hopper in Stranger Things), che dimostra di avere la fisicità e l’indole adatta al ruolo.
Il demone rosso è un detective cinico, irriverente, disilluso e particolarmente propenso alla facile ironia. Lavora per BPRD, un’agenzia che si occupa di casi legati al sovrannaturale e difende la Terra da ogni genere di mostruosità che la minaccia. La trama del film ci racconta di come Hellboy tenta di evitare la rinascita di una malvagia strega antica, Nimue, interpretata dalla bella Mila Jovovich, desiderosa di vendicarsi della razza umana che secoli prima l’ha annientata e ha nascosto le varie parti del suo corpo in diverse zone del suolo inglese.
Al fianco di Hellboy si accompagneranno tutta una serie di estroverse personalità appartenenti all’universo fumettistico del personaggio, ma che non sempre trovano il giusto spazio nella pellicola e che vengono presentate un po’ sbrigativamente, dando l’impressione di non riuscire a gestire totalmente il ricco materiale fumettistico che Mignola ha composto in diversi anni di pubblicazioni.
Marshall fa comunque di tutto per contestualizzare, talvolta in maniera un po’ didascalica, ogni elemento che mette a schermo, cercando di concentrare lo sguardo dello spettatore soprattutto sugli eventi che riguardano Hellboy e la sua nemesi, ma lasciando intendere che il trascorso del protagonista e il background di questo universo che mescola realtà, folklore e creature ultraterrene, sia molto più vasto di quanto sia esplorabile in una singola occasione. Il racconto non delude comunque per ritmo, verve e spettacolo, anche se, al netto di qualche momento genuinamente entusiasmante, forse risulta fin troppo lineare, prevedibile e purtroppo, anche leggermente “spento” e rinunciatario dal punto di vista della spettacolarità, verso l’epilogo.
Un film con la firma di Marshall scritta a caratteri cubitali e totalmente rosso sangue
Dal punto di vista stilistico Hellboy di Marshall, rispetto alla visione di del Toro, è un film molto più “rustico”, cupo e proiettato nel restituire la dimensione più grottesca dell’immaginario creato da Mignola. Le ambientazioni del film, che lasciano poco spazio a scorci urbani, sono molto statiche, realistiche, terrene. I colori desaturati, tranne quando si tratti di caricare il rosso del sangue per esaltare la violenza dell’azione. In tal contesto mostri, spiriti e creature sovrannaturali si inseriscono con grande potenza scenica, mettendo ancora più in evidenza la loro natura deforme e mostruosa, frutto di uno studio nel look di queste creature, davvero convincente e di impatto, ma talvolta leggermente svilito da effetti speciali non sempre realizzati benissimo.
A livello registico, Marshall si comporta egregiamente senza però osare mai realmente. Si distingue particolarmente in tal senso solo una sequenza di combattimento tra Hellboy e dei troll giganti. Qui la telecamera si diletta in piani sequenza che rendono estremamente dinamica e coinvolgente l’azione, la cui attrattiva principale, rimane sempre la ruvida violenza messa in primo piano.
Una violenza che rimane solo ancorata al piano estetico del film, e che non viene mai utilizzata per veicolare una reale drammaticità. Hellboy infatti tende, nonostante tutto, a non prendersi esageratamente sul serio, rimanendo quindi sempre nella sfera del film d’azione le cui dinamiche e caratteri, sono spesso in qualche misura sopra le righe. Un film pieno di sangue, smembramenti e personaggi grotteschi, messi in scena per puro spettacolo. Non c’è quindi alcuno reale step in avanti rispetto alla interpretazione di del Toro, nell’ottica di un inquadramento cinematografico per genere, ma semplicemente una riproposizione dell’immaginario creato da Mignola in chiave più dark e “cattiva”.
Ciò non toglie il fatto che mettendo da parte paragoni scomodi e difetti del film, tirando le somme ci troviamo di fronte ad un convincente rilancio del personaggio di Hellboy, che pur mantenendo l’etichetta dell’action fantasy senza pretese, si distanzia notevolmente dai precedenti film, non solo per il taglio stilistico, ma anche per quel che riguarda gli eventi narrati.
Insomma, anche se preferite quell’autoriale tocco di del Toro che innegabilmente a Marshall manca, difficilmente non troverete comunque un certo fascino per la sua verace versione di Hellboy. Forse un’occasione un po’ mancata per chi sperava in un film più maturo a tutto tondo, e non solo nel restituire una certa estremizzazione estetica. Ma valutandolo per quello che è, e non quello che poteva essere, nei fatti Hellboy è l’incontro riuscito tra cinecomic e cinema horror. Per certi versi un incontro piuttosto unico e non privo di potenzialità, le quali presumibilmente andranno ulteriormente esplorate nei prevedibili seguiti.
Il resto, è solo una questione di aspettative.