Famoso per i suoi scenari post-apocalittici, il suo miscuglio di elementi del mondo reale e dell’occulto e dei mai velati riferimenti religiosi, il franchise di Megami Tensei ha ricevuto, nei suoi 30 anni di esistenza, numerosi spin-off, il più popolare dei quali è sicuramente la saga di Persona.
Nata come serie di nicchia, che riproponeva il fascino dell’occulto di Shin Megami Tensei ma in un’ambientazione scolastica, la serie di Persona ha iniziato ad ottenere una forte popolarità in patria e all’estero grazie a Persona 3. Nonostante la colossale fama di Persona 4 e dei suoi numerosi spin-off, il vero successo mainstream della saga è giunto però con il capolavoro del 2017 Persona 5, un titolo che è riuscito a rivitalizzare il morente mondo dei JRPG a turni con il suo stile unico, inanellando nel frattempo più di due milioni di copie vendute.
Per celebrare il recente annuncio del misterioso Persona 5 The Royal e l’imminente annuncio di Persona 5 S, probabile porting per la console ibrida di Nintendo del titolo, abbiamo deciso di riesaminare la serie, analizzandone un elemento non sempre abbastanza approfondito.
Gli estimatori di Persona hanno infatti passato anni a tessere le lodi dei personaggi di ciascun titolo, del ricco pantheon di ispirazioni a diverse mitologie o delle importanti influenze che la serie ha tratto dalle opere dello psicologo svizzero Carl Gustav Jung, ma non sono molti ad aver trattato l’interessante visione della società giapponese che i titoli della serie tratteggiano.
Il Grande Spartiacque: l’avvento di Persona 3
Va detto che i primi titoli di Persona, scritti da Tadashi Satomi non hanno mai avuto un grande focus sulla società nel suo insieme, concentrandosi più che altro su trame legate all’occulto e dunque più simili a quelle riscontrabili nei precedenti Shin Megami Tensei.
La grande rivoluzione dei Persona è avventura con il terzo capitolo della serie, il vero punto di rottura tra i Persona ancora legati alle tradizioni della cosiddetta “Mainline” degli Shin Megami Tensei, e i titoli successivi, che hanno pian piano affrancato il brand fino a fargli ottenere un’identità propria, sancita proprio con la perdita del monicker Shin Megami Tensei: Persona avvenuta con il Porting del quarto titolo su PSVita.
Oltre all’introduzione degli elementi da Social Simulator, come la divisione del titolo secondo un calendario scolastico e l’avvento dei Social Links, i titoli successivi alla duologia di Persona 2 hanno visto l’arrivo alla sceneggiatura della coppia composta da Yuichiro Tanaka e Katsura Hashino (quest’ultimo anche director dei tre titoli in questione).
Sin dai sui primi minuti di gioco, Persona 3 non ha mai fatto mistero della sua natura piuttosto tetra e deprimente, rivelandosi un titolo talvolta amaro, interamente incentrato sul concetto di Memento Mori e dell’inevitabilità della morte.
Al di là di come questi temi riescano ad influenzare la vita dei sui giovani protagonisti, Persona 3 offre una visione della società umana piuttosto tetra e pessimista.
Sin dalle sue origini Persona ha avuto come elemento centrale il concetto di “Inconscio Collettivo” coniato da Jung, vale a dire quella parte dell’inconscio che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani e rappresenta la struttura della psiche dell’intera umanità. Secondo Persona 3 l’inconscio collettivo della razza umana desidera ardentemente la propria autodistruzione.
Riflettendo in un certo senso alcune delle tematiche centrali della seminale serie di Hideaki Anno, Neon Genesis Evangelion, Persona 3 tratteggia la razza umana come una specie che ha ormai raggiunto un vicolo cieco nella propria evoluzione e, incapace di andare avanti, ha cominciato a desiderare la propria fine, desiderio che in Persona 3 si incarna nell’inevitabile attuazione della “Caduta“, vale a dire l’evocazione della divinità della morte incarnata Nyx e la successiva estinzione della vita umana sulla Terra.
La visione pessimistica della società umana di Hashino si ripropone in Persona 4, un titolo in apparenza allegro e dalle atmosfere scanzonate ma che nuovamente ritrae la comunità in maniera negativa, utilizzando la metafora della nebbia per tratteggiare una collettività che preferisce vivere in una rete di menzogne e illusioni, in gran parte creata grazie alla TV e all’industria dell’intrattenimento in generale, piuttosto che affrontare la realtà.
La difficoltà di accettare se stessi ed il desiderio di apparire come persone diverse da quelle che si realmente sono alcuni dei temi principali del titolo, che Persona 4 esemplifica in maniera interessante nelle vicende personali di Rise Kujikawa, Naoto Shirogane e soprattutto sulla vicenda di Kanji Tatusmi, che tra tutte apre una suggestiva finestra sull’accettazione dell’omosessualità in una società rigida e tradizionalista come quella nipponica.
Persona 5: autoanalisi della società giapponese post-Fukushima
Se i Persona precedenti hanno tratteggiato una visione amara della società nel suo insieme, ma senza andare troppo nello specifico, Persona 5 ha dimostrato una forte svolta verso temi più concreti e radicati nel Giappone contemporaneo.
Originariamente Persona 5 doveva essere un titolo molto diverso da quello uscito: in principio Hashino aveva infatti tratteggiato un’avventura dai toni molto leggeri, focalizzata su un viaggio di auto-scoperta di un gruppo di giovani studenti giapponesi impegnati in un’avventura on the road in diversi paesi del mondo. Ciò che ha provocato un radicale cambiamento nella visione dell’autore è stata la più grande tragedia che ha colpito il Giappone Contemporaneo: il devastante terremoto del Tōhoku del 2011 e la successiva tragedia di Fukushima.
Il trauma della catastrofe, l’inefficienza del governo e della burocrazia di fronte all’emergenza e gli scandali legati alla mancata diffusione delle verità sull’incidente hanno lasciato una fortissima impronta nella coscienza collettiva giapponese, impronta che ha influenzato moltissimi artisti attivi all’epoca. Basti pensare al già citato Hideaki Anno che ha tradotto la sua angoscia e la sua rabbia modificando radicalmente il progetto del futuro film Evangelion 3.33 e portando alla forte critica alla disfunzionale burocrazia nipponica mostrata nel colossale Shin Gojira.
A causa di questa profonda presa di coscienza a livello nazionale dei limiti e dei difetti del Giappone Moderno, Hasino decise di modificare totalmente la rotta di Persona 5, trasformandolo in un titolo di profonda denuncia e di autocritica sulla società giapponese, scritto interamente con in mente l’ottica dell’audience nipponico.
Il sogno proibito di Persona 5: Una società da riformare
Secondo Hashino, tradizionalmente il genere fantastico in Giappone tende sempre a narrare le gesta di eroi intenti a combattere forze malvagie esterne alla società: quello che il director voleva proporre era invece una storia nella quale la società nipponiche stessa, o meglio le persone deviate nate dalle sue contraddizioni interne, fosse il nemico principale e dove un gruppo di giovani, reietti agli occhi della società attuale, incarnasse la speranza di un futuro migliore, combattendo per sconfiggere la corruzione e creare nuove prospettive, guidati da una nuova ed illuminata generazione.
In particolare gli avversari dei Phantom Thieves sono tutti personaggi assolutamente verosimili, con i quali il popolo giapponese ha avuto a che fare in un modo o nell’altro, che sia tramite l’esperienza diretta o tramite le lenti dei Mass Media. Ciascuno di essi infatti incarna gravi problemi realmente possibili nella contraddittoria società giapponese che, grazie alle sue complesse dinamiche sociali, ha portato alla nascita all’interno della vita scolastica e della cultura del lavoro diversi fenomeni di oppressione sociale e psicologica.
Come una distorta piramide, Persona 5 vede in questi elementi le basi della corruzione della società giapponese contemporanea, responsabili di un’escalation di nefandezze tutt’altro che immaginarie: insegnanti che abusano della propria posizione, membri della Yakuza che avvolgono i propri tentacoli sulla vita civile, Direttori di Aziende che sfruttano i lavoratori, Polizia corrotta ed infine anche ufficiali del governo che portano avanti pericolose politiche nazionaliste ed edoniste.
Il protagonista del titolo Akira/Joker è un reietto sociale, trattato da adulti e suoi coetanei con disgusto e perseguitato dalle malelingue per via della sua fedina penale sporca. A nessuno importa che i suoi precedenti con la polizia siano nati da un tentativo di salvare una ragazza molestata: nella perfetta società giapponese la posizione sociale è tutto e sacrificarla per aiutare gli altri è una follia totale.
Questo concetto di status sociale da difendere a tutti i costi è visto in Persona 5 come la fonte di tutti i mali: i rigidi dettami della società nipponica e la sua estrema competitività creano un terreno fertile per un tipo di bullismo molto diverso da quello tradizionale dei media occidentali, un bullismo psicologico fatto di pressioni sociali e di atteggiamenti aggressivo-passivi alimentati da un forte senso di omertà e silenzio sociale.
Persona 5 incarna questi concetti attraverso le sue diverse trame e sottotrame, alcune delle quali dotate di una rilevanza mediatica non indifferente. Stiamo parlando in particolare del primo arco narrativo del titolo, che non ha paura di introdurre temi scottanti come lo stalking, molestie, violenze sessuali sui minori ed addirittura istigazione al suicidio. La parte più terrificante di questo arco è che tutti questi atti, compiuti da un viscido professore, sono sotto gli occhi di tutti, tanto degli studenti quanto degli altri insegnanti, ma nessuno fa nulla per via della posizione di potere e di prestigio posseduta dal professore stesso.
Persona ed il Karoshi: Morire per il proprio lavoro
Il mondo studentesco non è però l’unico focus delle critiche alla società di Persona 5 e in particolare l’arco narrativo di Haru è riuscito a dipingere in maniera piuttosto cruda la terrificante realtà lavorativa Giapponese.
Ad alcuni potrebbe sembrare esagerato il design dell’avversario di questo arco narrativo, ritratto come un potente Presidente di una colossale azienda che vede i propri lavoratori come nient’altro che schiavi e carne da macello da eliminare quando divenuta inutile, eppure tutto ciò è tristemente reale.
Il mondo lavorativo giapponese è infatti infestato dalla piaga dello sfruttamento dei lavoratori, quasi una tratta legalizzata di esseri umani che, non appena usciti da scuole ed università, si tramutano in schiavi aziendali, sfruttati per più di 12 ore al giorno, con straordinari non pagati, paghe minime e costantemente messi uno contro l’altro nel tentativo di ottenere una posizione di prestigio nella rigida struttura aziendale.
Questa realtà diventa anche più tragica quando si pensa che in Giappone è possibile trovare sui certificate di morte ufficiali la dicitura di “Morte per Karoshi”, termine che indica un decesso provocato principalmente dal troppo lavoro, sia esso una dipartita per per stress, infarto o addirittura suicidio.
In una cultura del lavoro che vede la lealtà e lo spirito di sacrificio nei confronti della propria azienda come uno dei massimi precetti a cui un uomo deve obbedire, l’idea che più del 20% della forza lavoro giapponese sia in pericolo di Karoshi è un dato che fa ampiamente riflettere.
La luce di Persona: La speranza di Hashino
Persona 5 propone anche archi narrativi più legati ad elementi più “comprensibili” per noi utenti occidentali, come l’intrusione della malavita nelle strutture civili e di poteri e la tristemente familiare salita al potere di Leader politici populisti, che tra menzogne e falsità al popolo cercano di raggiungere il potere massimo per fini totalmente edonistici e disinteressati al benessere della propria comunità.
Nonostante l’imperante pessimismo, Hasino sin dal terzo capitolo ha dimostrato, tramite la propria scrittura, che secondo la sua visione esiste una speranza per l’eliminazione dei mali di questa società, ovvero la nuova generazione di giovani Giapponesi.
In particolare le gesta di ribellione dei Phantom Thieves di Persona 5, un gruppo di ribelli e di reietti della società, guidati dal potere dei social media nella loro guerra per portare ad un cambiamento nella società nipponica, sono ispirate a movimenti giovanili nati in Giappone in seguito ai tragici eventi del 2011.
Alcuni dei movimenti che secondo lo stesso autore hanno ispirato le ideologie dei Phantom Thieves sono ad esempio il SEALDS, nato in seguito al disastro di Fukushima per opporsi allo sfruttamento dell’energia nucleare oppure la forte opposizione al State Secrecy Law Act del 2013, un controversa legge che ha permesso al governo Giapponese di poter dichiarare segrete e dunque non diffondere al pubblico informazioni sensibili riguardanti scandali politici e corruzione, minacciando di prigionia giornali investigativi decisi e dunque effettivamente limitando la libertà di stampa.
La paura che questi movimenti possano però essere pilotati, tramite il potere della rete, da forze occulte per i propri interessi è però presente nella trama di Persona 5, rendendo il potere dei Social Network, l’unica arma effettiva della nuova generazione per riuscire ad organizzarsi per combattere la società, una pericolosa lama a doppio taglio, tanto vantaggiosa quanto pericolosa.
Perché la società giapponese è così rigida? Sarà possibile per la nuova generazione giapponese riuscire ad emanciparsi da questa società e a riformarla dalle basi?
La poetica di Katsura Hashino non riesce a dare sempre una risposta alle domande che pone e talvolta non riesce a trovare il coraggio di esporre al 100% i temi che vuole trattare, per via di una scelta di terminologie non sempre corrette e con soluzioni narrative non sempre coerenti.
Riusciranno i progetti Persona 5 The Royal e Persona 5 S a correggere il tiro del precedente titolo, espandendone i dialoghi, approfondendo certi personaggi (il personaggio di Shiho in particolare merita tutto questo) e perché no proponendo nuove risoluzioni ad eventi già narrati e proponendone altri altrettanto validi?
I prossimi mesi ci sapranno dare la risposta.