L’autore di Made in Abyss, Akihito Tsukushi, è ospite al Comicon di Napoli, a conferma del successo di uno dei migliori manga fantasy degli ultimi tempi
Il Giappone ormai straborda di manga di ogni genere su qualsiasi tematica e per questo è davvero difficile emergere e distinguersi con qualcosa di originale. Fortunatamente, Made in Abyss di Akihito Tsukushi ci riesce, anche qui in Italia tramite Jpop e Dynit, grazie a diversi espedienti sfruttati con maestria dal suo autore, conquistandosi la curiosità di lettori e spettatori. Tsukushi non si è lasciato condizionare dai cliché tipici del genere da lui scelto, il seinen, e ci ha proposto una storia in cui la metafora dell’esplorazione di un ambiente sconosciuto e ostile serve a rappresentare la ricerca e la conoscenza del proprio io, un percorso che prima o poi tutti dobbiamo affrontare e non sempre riusciamo a concludere.
Nonostante lo stile molto kawaii che farebbe presagire una storia dai toni più spensierati, Made in Abyss nasconde un lato molto più oscuro e inquietante che conferisce il giusto twist al character design già ben studiato e alla trama, in maniera un po’ inaspettata alla Madoka Magica. I personaggi però non sarebbero niente senza il vero filo conduttore della trama, ovvero un’ambientazione del tutto nuova che ribalta il concetto di esplorazione, di solito effettuata sempre sul nostro stesso piano esistenziale o rivolto verso qualcosa di più alto, fisicamente o spiritualmente. Su qualsiasi piano ciò avvenga, il mondo in cui si muovono i protagonisti di Made in Abyss riesce ad agire lasciando che l’uomo stesso crei e disfi il proprio destino.
Il vero protagonista: l’Abisso
Come si può evincere fin dalla prima pagina e dal primo episodio, l’Abisso ricopre un ruolo centrale, quasi fosse un vero e proprio personaggio. Ci vengono subito fornite le informazioni raccolte su questa voragine comparsa 1900 anni prima dell’avventura dei protagonisti: non si sa quanto sia profondo e se abbia effettivamente una fine, ogni suo strato possiede fauna e flora unici e nasconde manufatti e tesori e, infine, vi aleggia una maledizione che altera qualunque corpo estraneo all’Abisso stesso.
Questa è, essenzialmente, la ragione per cui non si conosce molto altro su di esso, poiché più si va in profondità meno possibilità si hanno di tornare in superficie, a causa dei sintomi che provoca tale maledizione: giramenti di testa e vomito se si risale da uno dei primi strati, allucinazioni e perdita del senno e della propria umanità fino al sesto strato, morte certa dal confine conosciuto e oltre. Praticamente un suicidio.
Per questi motivi, in molti finiscono per paragonare l’Abisso all’Inferno dantesco, nel quale si trovano sofferenze e luoghi tremendi per qualsiasi essere umano. All’interno dell’Abisso, però, non si trovano guide a spiegare come si possa sopravvivere e non vi si trovano altri demoni se non quelli interiori. Chi vi si immerge non riesce ad uscirne o ne esce cambiato per sempre e, paradossalmente, questo non fa che creare maggior curiosità e al contempo timore negli esploratori, che continuano a tuffarvisi sperando di ottenere gloria e riconoscimenti una volta tornati.
Tuttavia, l’Abisso è simile all’Inferno per due motivi: si può solo andare avanti una volta entrati e il viaggio attraverso di esso non può che cambiarti per sempre, come è giusto che sia quando si affronta l’ignoto. Personaggi come Nanachi e Mitty o Ozen l’Inamovibile sono esempi lampanti di tali conseguenze, automatiche e imprescindibili quando si tratta dell’animo umano. Ma quanto si può resistere prima di non riuscire più a sopportare le durissime sfide a cui ci sottopone la ricerca di noi stessi e della verità? L’Abisso non sembra voler offrire tali risposte, per il momento, e per questo continua a mettere alla prova gli avventurieri e anche i nostri protagonisti.
Una discesa per risalire alle origini di tutto
Conoscendo le conseguenze, è chiaro che poche persone possano esplorare l’Abisso e ancora meno riescano a tornare indietro indenni. I cosiddetti fischietti sono addestrati appositamente per discendere nell’Abisso e cercare nuove informazioni e oggetti da portare in superficie. La piccola protagonista di questa storia, Riko, è un fischietto rosso, il rango più basso tra i fischietti, che permette di esplorare solo i primi strati dell’Abisso. Tuttavia, Riko è ambiziosa e sogna di diventare un fischietto bianco come la madre, esploratrice quasi leggendaria per il prezioso contributo che ha continuato a dare dalle viscere dell’Abisso. Nella sua ultima esplorazione degli strati più superficiali, Riko trova Reg, all’apparenza un ragazzino come lei che in realtà si rivela subito essere una specie di robot ultratecnologico, poiché riesce addirittura a simulare emozioni e bisogni fisiologici. Insieme, i due amici cominceranno un magnifico viaggio di formazione e avventura, con lo scopo di ritrovare la madre di Riko e scoprire le origini dei due ragazzini, entrambi legati nel destino dall’Abisso.
Fin da subito si può notare che Riko e Reg hanno diverse cose in comune, in primis il fatto che nessuno dei due conosca le proprie origini con certezza, oltre al loro carattere curioso e determinato. Ciò che stupisce di più, quando ci si approccia a Made in Abyss per la prima volta, è proprio il fatto che i protagonisti siano poco più che bambini: sono assolutamente decisi a scoprire la verità sull’Abisso e su sé stessi e per questo si preparano ad ogni evenienza, studiano e decidono insieme il prossimo passo da fare e si aiutano a vicenda, dimostrando quindi una grande maturità, molto più degli adulti con cui avranno a che fare, ormai corrotti dall’Abisso e da ciò che comporta viverci dentro.
D’altronde, non potevano che essere dei bambini gli avventurieri ideali: innocenza, intraprendenza ed entusiasmo sono, per loro, probabilmente le caratteristiche più utili e importanti, quelle che permetteranno loro di sopravvivere nonostante gli orrori che dovranno affrontare. Nessuno dei due è superiore all’altro in quanto a conoscenze e anzi si crea tra loro un’interdipendenza che, insieme a tutto il resto, diventa la loro forza.
Serve toccare il fondo per capire cosa è davvero importante
Appare dunque incredibile il fatto che siano i fischietti bianchi, figure circondate da un’aura di forza e mistero, a subire maggiormente gli influssi dell’Abisso. Sono i più preparati, i più forti, eppure, anche a causa della loro solitudine nell’affrontare i pericoli dell’Abisso, più si trovano in profondità, più perdono la ragione e diventano inquietanti. La succitata Ozen è un perfetto esempio di come l’Abisso sia in grado di distorcere l’animo di una persona, tanto da renderla lugubre e minacciosa.
Se la maledizione dell’Abisso è in grado di togliere quasi del tutto l’umanità ad un adulto capace, cosa potrebbe mai succedere a dei bambini? Anche in questo caso, Riko, Reg e i loro amici si distinguono da chi li ha preceduti. Il loro cuore è puro e guidato da un interesse che, per quanto li riguardi da vicino, non è egoista come quello di chi finora si è avventurato nella voragine. Anzi, ripetono spesso il fatto di voler vivere un’avventura, invece di ribadire costantemente il loro vero obiettivo, cosa che permette loro di sollevare importanti domande esistenziali che alla loro età, altrimenti, non si porrebbero: cosa sono disposto a sacrificare per raggiungere i miei scopi? Inoltre, il fine giustifica i mezzi? È meglio vivere una vita di sofferenze o tentare il tutto per tutto in maniera dignitosa? Chi sono e da dove provengo? Possiedo le forze per rendere il mondo che mi circonda un luogo migliore?
Come dicevamo, gli adulti di questa storia sembrano aver perso anche la capacità di porsi queste domande, tant’è che non pensano minimamente di cambiare la loro condizione e cercano di impedire a Riko e Reg di proseguire in uno sforzo che nemmeno loro sono stati in grado di compiere, quasi se ne vergognassero. In effetti, le scene più crude di questo manga ci faranno chiedere se tutto ciò varrà la pena per i due ragazzini ma, dopo 7 volumi e una stagione anime, Riko e Reg ancora rimangono convinti del viaggio intrapreso e non perdono la speranza, permettendo anche a noi di continuare a nutrircene, anche se la verità che cerchiamo non dovessimo trovarla mai.