In che misura la narrativa di fantascienza ha influenzato la corsa allo Spazio, anticipando e sostenendo il progresso necessario per raggiungere la Luna?
Sono passati cinquanta anni da quando siamo atterrati sulla Luna per la prima volta. L’allunaggio dell’Apollo 11 e il “piccolo passo” più famoso della storia sono la culminazione di un periodo di rapido avanzamento tecnologico e sociale che hanno portato l’umanità a risultati inimmaginabili nello spazio di pochi decenni: basta considerare che il primo volo dei fratelli Wright risale al 1903, e solo sessantasei anni dopo siamo stati capaci di raggiungere il nostro satellite.
Ma questo progresso era davvero inimmaginabile? Oppure è proprio l’immaginazione ad aver reso possibile il raggiungimento di un simile traguardo in così poco tempo? Il sogno di volare, di raggiungere il cielo e poi spingersi oltre, verso la Luna e le stelle, accompagna da sempre l’umanità. Ma forse è stato proprio in quegli anni, con l’affermarsi della narrativa di fantascienza, che questi sogni hanno iniziato ad assumere concretezza fino a diventare realtà.
Quando si parla dell’allunaggio si pensa subito a Neil Armstrong e Buzz Aldrin, ma oltre a loro e agli scienziati che hanno reso tecnicamente possibile arrivare sulla Luna, forse dovremmo ricordare anche i nomi di quelli che con i loro libri e le loro storie ci hanno fatto immaginare di poterla davvero raggiungere.
La Luna nei libri di fantascienza
La Luna è il corpo celeste più vicino e quello di cui sappiamo di più fin dall’antichità, è normale quindi che sia stato uno dei più toccati dalla fantasia degli autori di ogni epoca. Raggiungere la Luna costituiva in prima battuta un’allegoria, e forse il primo testo in cui il viaggio verso di essa viene trattato come una possibilità materiale è, manco a dirlo, Dalla Terra alla Luna di Jules Verne. Con la genuina inventiva dell’epoca, a Verne bastava immaginare un cannone che sparasse un proiettile con abbastanza potenza da farlo sfuggire alla gravità. E in fin dei conti il principio era giusto, serviva solo qualche messa a punto dell’aspetto ingegneristico della questione.
Ma un passo in avanti verso la vera conquista letteraria della Luna è arrivato quando è iniziato a emergere un genere di narrativa basato proprio sulla trasposizione di concetti scientificamente plausibili, ma non ancora realizzabili. La Golden Age della fantascienza, quel periodo che va dalla metà degli anni ’30 alla fine dei ’50, composta soprattutto di storie avventurose, per certi versi adattamenti modernizzati delle epopee di frontiera, ha spesso interpretato la Luna come il nuovo mondo da scoprire. Se si considera che lo Sputnik è stato lanciato nel 1957 e Gagarin ha raggiunto l’orbita nel 1961, ci si rende conto di come queste storie stessero davvero anticipando i tempi, e forse tracciando una vera e propria strada per lo Spazio.
Tra gli autori che hanno cercato di raccontare come avremmo potuto davvero arrivare sul nostro satellite ce ne sono molti di quelli che sarebbero diventati vere e proprie icone della fantascienza. Arthur C. Clarke nel 1951 in Preludio allo Spazio descrive con il suo solito rigore un veicolo in due stadi capace di raggiungere l’orbita e da qui la Luna. In questa storia Clarke datava al 1978 il primo all’allunaggio, col senno di poi una stima fin troppo cauta del tempo necessario. Anche Destinazione Luna di Lester Del Rey racconta degli sforzi compiuti dagli USA per raggiungere la Luna, e al tempo stesso di come un’altra superpotenza mondiale stia cercando di batterli… come di fatto è davvero avvenuto.
Altre storie invece si occupano di risolvere i problemi degli astronauti una volta che sulla Luna ci sono già, come Martirio lunare di John W. Campbell jr. oppure Luna chiama Terra di Charles Eric Maine: era chiaro che un viaggio del genere non sarebbe stato privo di rischi, e anche che al di là dei mezzi tecnologici la corsa verso la Luna sarebbe stato anche una questione di natura sociale e politica.
Nel continuo gioco di potere tra Stati Uniti e Unione Sovietica di quegli anni, la prospettiva di conquistare la Luna, magari per stabilirci sopra una bella base militare inattaccabile, venne presa seriamente in considerazione. Nel 1958 il generale di brigata dell’aeronautica americana Homer Boushey tenne un discorso in cui sosteneva la necessità per gli USA di raggiungere la Luna prima dei russi, usando la celebre frase “chi controlla la Luna controlla il mondo”.
L’idea del valore strategico della Luna e la possibilità che in un futuro non troppo lontano sarebbe stata abitata si fece strada presto tra gli autori di fantascienza, che iniziarono a creare le proprie società lunari, come quelle di La Luna è una severa maestra di Robert Heinlein oppure Neanche gli dèi di Isaac Asimov.
La fantascienza a sostegno della corsa allo Spazio
Spesso la fantascienza viene valutata sulla base della sua capacità predittiva del futuro, cioè una storia è buona se riesce ad anticipare con successo una tecnologia futura. Sulla base di questo criterio l’unica fantascienza valida è la hard sci-fi, cioè quella più saldamente fondata sulle conoscenze scientifiche disponibili o almeno inferibili.
Ma questo prospettiva è piuttosto superficiale nei confronti delle potenzialità del genere, prima di tutto come forma di narrativa ma anche come modello di pensiero. Già all’inizio di quella Golden Age fatta di planetary romance, avventure spaziali e mostri alieni, non era tanto la plausibilità delle storie a dettarne il valore, ma proprio il loro potere immaginifico, che a volte scoppiava di ingenuità e altre brillava di rigore accademico.
Storie di autori come Edgar Rice Burroughs, E. E. Smith, Jack Vance, Hal Clement, Alfred E. Van Vogt, per quanto altalenanti in qualità e originalità, hanno tutte contribuito a far affermare un certo paradigma, quello dell’eroe che si affida alle proprie capacità per risolvere i problemi. In un mondo emerso da decenni di guerre di portata mai vista prima, che iniziava ad avviarsi verso un sistema economico globale e in cui la minaccia di reciproco annientamento era tangibile, si sono susseguite un paio di generazioni di fisici, astronomi e ingegneri cresciuti con questo modello positivista derivato (anche) dalla fantascienza classica. E il risultato è stata la corsa allo Spazio che ci ha fatto mettere piede proprio sulla Luna.
Secondo Ron Miller, autore e illustratore, esperto della rappresentazione dello Spazio e delle astronavi vere e immaginate a cui ha dedicato diversi libri (ad esempio The Art of Space), l’astronautica è forse l’unica scienza radicata nell’arte: una disciplina che si fonda interamente sull’immaginazione, sulla possibilità di ragionare su qualcosa di apparentemente inconcepibile. A suo avviso, senza le opere di Jules Verne molti degli scienziati che hanno contribuito a creare i primi razzi si sarebbero limitati a fare i venditori di scarpe.
Questo processo è continuato negli anni ’50 e ’60, e i manifesti della propaganda pro-Spazio americani e sovietici sono molto eloquenti in tal senso, così come le copertine di libri e fumetti e le locandine dei film. L’intero immaginario fantascientifico si era radicato in quegli anni nella vita quotidiana, di pari passi con la massificazione dei media, così che i lanci dei razzi verso l’orbita erano dei veri e propri spettacoli seguiti da milioni di persone, tutte unite dalla fiducia incondizionata nel progresso tecnologico.
Il culmine di questa infatuazione di massa nei confronti dello Spazio si può forse individuare con 2001: Odissea nello Spazio. Il kolossal di Stanley Kubrick uscito nel 1968 aveva proprio l’obiettivo di esprimere l’immensa fascinazione nei confronti dei misteri del cosmo. Kubrick si rivolse proprio ad Arthur C. Clarke in cerca di una storia di fantascienza da portare sullo schermo, e lo spunto iniziale fu quello del racconto La sentinella, che parte proprio dall’idea del monolito sepolto sulla Luna. Appena un anno dopo, sulla Luna ci saremmo arrivati davvero, per scoprire che non c’era nessun monolito ad aspettarci.
La luna nella fantascienza di oggi
Forse senza che nessuno lo dichiarasse la Luna era il traguardo implicito della corsa allo Spazio, visto che come sappiamo i programmi spaziali di USA e URSS persero rapidamente impeto negli anni seguenti. Oggi le cose sono molto diverse da allora, soprattutto per il modo in cui il pubblico percepisce i programmi spaziali, vedi i commenti del tipo “con tutti quei soldi si potrebbe risolvere la fame nel mondo”. Negli anni ’60 l’idea che nel futuro avremmo vissuto in case interamente automatizzate e mangiato solo pillole nutritive era vista con entusiasmo, oggi la stessa idea assume i toni della distopia: la differenza sta quindi nella prospettiva, nel modo in cui la saturazione tecnologica ha portato a una generale sfiducia nei confronti del progresso.
In questo contesto, viene quasi automatico pensare che la Luna sia stata dimenticata, visto che ormai le bandiere sono già state piantate e non c’è niente lassù che valga la pena e la spesa del viaggio. Eppure nonostante questo, di quando in quando la Luna torna a essere protagonista nei libri di fantascienza, certo non più in storie che raccontano come raggiungerla, ma piuttosto come essa possa influenzare il mondo accanto, quello su cui viviamo noi.
Il primo esempio in questo senso è sicuramente Ian McDonald che con Luna Nuova descrive al meglio delle nozioni attuali la possibilità di una colonizzazione lunare sostenuta da imprese familiari, vere e proprie dinastie dedite all’estrazione di materiali come elio e carbonio. Neal Stephenson invece si diverte in Seveneves a far esplodere la Luna da un momento all’altro, e poi seguire la catastrofe che ne deriva, capace di portare l’umanità sull’orlo dell’estinzione.
Andy Weir, l’autore di L’uomo di marte, ha ambientato il suo secondo romanzo Artemis: la prima città sulla Luna, una storia di avventura e spionaggio industriale tra la prima città lunare e il sito di atterraggio dell’Apollo 11. Anche Kim Stanley Robinson in Luna Rossa racconta di complotti e rivoluzioni che si intrecciano tra la Terra e il suo satellite. In sostanza, pare che oggi la Luna sia soprattutto un posto in cui combinare affari, come d’altra parte era già arrivato a ipotizzare Robert Heinlein con L’uomo che vendette la Luna.
Forse il fascino misterioso che la Luna poteva evocare prima che la scoprissimo davvero ormai è perduto, e abbiamo bisogno di un nuovo territorio inesplorato da scoprire per far viaggiare l’immaginazione a pieno regime.
Marte è la nuova Luna?
Per ritrovare quel senso perduto del mistero basta rivolgersi al nostro vicino di casa, il Pianeta Rosso che al pari della Luna è sempre stato oggetto di avventure e fantasticherie. Ma se da una parte la Luna ormai ha rivelato tutti i segreti, c’è ancora molto che non sappiamo di Marte, e alcuni indizi che portano a sospettare che la sua esplorazione potrebbe riservare ancora diverse sorprese.
Naturalmente in quanto fratello minore della Terra, Marte è ben presente nelle storie di fantascienza fin dall’inizio, con capisaldi del planetary romance come Un’odissea marziana di Stanley G. Weinbaum e tutto il ciclo di John Carter di Edgar Rice Burroughs, ma anche con classici del calibro delle Cronache Marziane di Ray Bradbury e l’utopia socialista Stella Rossa di Aleksandr Bogdanov. Tra gli autori contemporanei che hanno ambientato qui le loro storie troviamo di nuovo Ian McDonald, con Desolation Road e il suo prequel/spin-off Ares Express, e Kim Stanley Robinson, con la trilogia composta da Il rosso di Marte, Il verde di Marte e Il blu di Marte, in cui disegna un complesso affresco dei mutamenti sociali e politici collegati alla graduale colonizzazione del pianeta.
Ma in tempi recenti l’attenzione per il Pianeta Rosso sembra essere aumentata, forse proprio perché adesso è lui a rappresentare la prossima frontiera. In questo rivestono grande importanza gli annunci pubblici della NASA per ogni minima scoperta, la commovente ultima frase del rover Opportunity prima di spegnersi per sempre, i proclami di Elon Musk per il suo programma spaziale SpaceX: sembra che l’attenzione mediatica sia una componente fondamentale per poter sostenere un progetto del genere, come appunto è avvenuto durante la prima era spaziale che ha portato all’allunaggio.
D’altra parte è la lezione che emerge anche da Sopravvissuto – The Martian scritto da Andy Weir e portato sullo schermo da Ridley Scott, in cui la chiave per salvare l’astronauta disperso sul pianeta disabitato è quella di coinvolgere tutto il pubblico nella missione di salvataggio. Alessandro Vietti si spinge ancora oltre, ipotizzando in Real Mars che il modo più conveniente per realizzare il primo ammartaggio sia quella di trasformare la missione in un reality che segue gli astronauti.
Insomma, pare evidente che la corsa allo Spazio, che sia rivolta verso il nostro satellite, il pianeta più vicino, o in futuro chissà, forse un’altra stella, non sia una questione soltanto di mezzi tecnologici e finanziari, ma di coinvolgere tutti in un unico, grande sogno condiviso. Perché in fondo l’astronautica è l’unica scienza che ha bisogno dell’arte per progredire.