If I stay with you, if I’m choosing wrong, I don’t care at all
La Casa di Carta 3 inizia con centinaia di migliaia di persone in piazza ad osannare i truffatori con la maschera di Dalì, come fossero dei beniamini. Un’allegoria perfetta di ciò che significa questa serie TV per la gente, per il pubblico: nonostante le critiche, i difetti più o meno marchiani, non possiamo fare a meno di guardarla.
Ed è così che nonostante uno script un po’ confusionario, con troppi buchi e che strizza l’occhio alle soap, La Casa di Carta coinvolge e spinge ad un binge watching frenetico come pochi prodotti sanno fare. Ne è la prova il feedback popolare (non populista, come dicono in molti), che ha reso lo show uno dei più apprezzati di sempre, tra i più visti su Netflix e sicuramente la serie TV europea più amata dal pubblico.
Dati alla mano, la critica conta poco, in casi come questo.
Dal 19 luglio è disponibile alla visione su Netflix la tanto attesa terza stagione (con 8 nuovi episodi), che molti hanno già divorato.
Quello che ha reso La Casa de Papel un prodotto vincente è senza alcun dubbio l’idea di base. Il fascino del caper movie abbinato ad una sapiente scelta del cast, con personaggi assolutamente funzionali al progetto, insieme all’utilizzo di un simbolo riconoscibile, la maschera di Dalì, che come quella di Guy Fawkes diventa il simbolo dell’indipendenza dai poteri forti. Trasforma i truffatori e i terroristi in dei Robin Hood del nuovo millennio, in grado di conquistare molto presto l’affetto della gente, rinfrancato da gesti simbolici e al contempo congeniali ai loro piani, come all’inizio de La Casa di Carta 3, quando dei dirigibili con il logo della maschera volano sopra Madrid, sganciando oltre 100 milioni di euro sulla folla.
“Noi” siamo simbolicamente la gente lì sotto, accecata dai soldi, e che mette tutto il resto in secondo piano.
È quello che in fondo bisogna fare per apprezzare appieno La Casa di Carta; evitare di fossilizzarsi sulle varie incongruenze e lasciarsi ammaliare dall’atteggiamento esagerato e pomposo dello show, che trova la summa nella sua terza stagione e ancor di più nelle sue battute finali (tranquilli, non spoilereremo nulla).
In caso contrario, probabilmente vi sarete bloccati nella visione molte puntate fa, per cui l’analisi che segue poco vi interessa.
If I’m loosing now, but I’m winning late. That’s all I want (all I want)
La Casa di Carta 3 inizia fuori dagli ambienti cupi e grigi delle prime due e ci porta invece in luoghi magnifici, in spiagge paradisiache e mare cristallino, svelando un budget senza dubbio rimpolpato grazie al successo ottenuto. L’impressione che ci dà è quella che possa cambiare registro, dirigersi verso altri lidi, ma è una sensazione che dura il tempo di una birra ghiacciata bevuta sull’amaca, di un’imprevisto, di un semplice ma fatale errore, e già sul finire del primo episodio tutto rientra nei ranghi e l’atmosfera torna ad essere quella sopra le righe e dal ritmo adrenalinico delle prime due stagioni.
Le schermaglie tra la banda e la polizia si fanno via via più aspre, trasformandosi in una vera e propria guerra in cui le forze dello Stato sembrano perdere la pazienza e diventano il nemico numero 1, odiato da tutti e reso inviso dai nuovi innesti che di certo non portano in dote quell’alone di professionalità e purezza che aveva l’allora Ispettore Raquel Murillo (Itziar Ituno), adesso Lisbona. Sono invece spietati e negli occhi vedono rosso come i tori, ma non siamo alla corrida, siamo alla Banca di Spagna a Madrid, e quello che riescono a mettere a fuoco è soltanto il colore delle tute della banda criminale.
Costoro rispondono al nome del Colonnello Tamayo (Fernando Cayo), irreprensibile e deciso a fermare la banda a tutti i costi, e la glaciale e subdola poliziotta Alicia Sierra (Najwa Nimri), che si dimostra come uno dei migliori villain degli ultimi anni, quantomeno restringendo il tutto alle serie Netflix. Un personaggio amorale, che mangia lecca lecca con il sopracciglio alzato, lo sguardo di sfida e un sorriso infido, che palesa la follia senza nasconderla nemmeno, dal momento che agisce senza remore pur essendo incinta di 8 mesi. Chi adora i villain amerà profondamente questa antagonista; chi li odia la detesterà con tutto se stesso. Ma quel che è certo è che si tratta di un personaggio chiave in questa terza stagione, che acuisce ancora di più l’empatia della gente (e degli spettatori) verso la banda e alimenta l’astio nei confronti dello Stato e delle Forze Armate.
Passando dall’altro lato della barricata le new entry provano a non esser da meno. Tra tutti spicca senza dubbio Palermo (Rodrigo de la Sierra), che prova a prendersi la leadership ereditandola dal compianto Berlino, cercando di emularne il carisma. Non può essere la medesima cosa e scoprirete in corso d’opera anche il perché, ma di certo è un personaggio intrigante e che si inserisce piuttosto bene in un gruppo così rodato. Apprezziamo poi Bogotà (Hovik Keuchkeriane), che in un certo senso sostituisce Mosca e il bislacco Marsiglia (Luka Peros), sebbene quest’ultimo risulti più marginale.
È la solita vecchia banda però a conquistare nuovamente la scena, con personaggi che crescono e portano addosso i segni della battaglia nella Zecca e tutti i postumi che ne sono scaturiti, con la propria psicologia approfondita in parte da flashback che nelle varie puntate ci donano un’idea più chiara delle loro vite, e dei loro drammi.
La Casa di Carta 3: Questa è una guerra
Dietro quella maschera di Dalì, dietro l’anima soap di una serie in cui imperversano intrighi e crisi amorose in una fortezza invalicabile che diventa una sorta di Grande Fratello senza telecamere all’esterno, si cela il messaggio che con ancor più veemenza batte sulle nostre televisioni e con la stessa forza sarà respinto da chi per tutto il tempo ha etichettato La Casa di Carta come la scatola di Pandora del populismo. Comunque la pensiate, quella scatola ormai è aperta e quei mali che vengono tirati fuori dalla banda mascherata – che adesso in realtà può anche fare a meno di Dalì – in questa terza stagione portano ancor più nitidamente il vessillo delle forze che governano il mondo: le banche, lo Stato, i “potenti”.
Questo continua ad essere il messaggio di fondo della serie e, che vi piaccia o meno, sarà con ogni probabilità ancor più netto ne La Casa di Carta di 4. Perché è in arrivo una vera e propria guerra.