La Lega degli Straordinari Gentlemen: i “diversi” diventano eroi
Parlare della Lega degli Straordinari Gentlemen in questo periodo storico, nel bel mezzo di un evento di rilevanza mondiale come la Brexit, sembra una strana coincidenza.
Che BAO Publishing ci riproponga il fumetto di Alan Moore proprio in questo momento ha un certo fascino, forse perché ci rievoca un momento che noi lettori di fumetti abbiamo già vissuto a modo nostro. Un Impero sull’orlo del collasso pronto a cadere a pezzi, capace tuttavia di salvarsi trovando forza nei propri elementi migliori. Oppure nei peggiori. Una questione di prospettive.
Era il 1999 quando il Bardo di Northhampton, con l’aiuto dei disegni di Kevin O’Neill, mise in scena per la prima volta il racconto del gruppo di eroi di età vittoriana guidato da Mina Murray. Forse neppure il suo autore era consapevole del fatto che, vent’anni dopo, quella storia avrebbe avuto un’attualità e una forza senza precedenti.
Del resto Moore ha sempre mostrato un’abilità impareggiabile nel cogliere lo spirito del tempo e farne carta e inchiostro, esattamente ciò che i più grandi autori di fumetti sono sempre stati in grado di fare. Ma, oggi più che mai, la Lega degli Straordinari Gentlemen ci appare un elegante spaccato di rara attualità.
Perché Moore, prendendo a piene mani dalla letteratura inglese, riesce a proporci una visione del tutto nuova degli eroi che hanno appassionato le sue (e le nostre) letture. Mette in scena un mondo dove non è l’autorità politica a risolvere i problemi, fedele com’è ai suoi principi anarchici. Non sono i soldati e i primi ministri a salvare l’Impero. Ma sono quelle persone che la Gran Bretagna ha rifiutato: gli emarginati, i ribelli, i disadattati.
I diversi insomma, perfettamente incarnati dai membri della Lega, spirito ed essenza di una generazione, quella degli anni ’90, che ha guardato nel proprio futuro, incapace tuttavia di scorgere l’orrore del presente che viviamo.
Fate del vostro peggio
Un anziano, ombra di se stesso, intossicato dal laudano. Un tecnocrate incapace di accettare la sconfitta, desideroso di fare tabula rasa di tutto ciò che gli evoca la guerra. Uno schizofrenico. Un ladro. E, forse la peggiore di tutti per la rigida mentalità vittoriana, una donna divorziata.
Questo potrebbe essere uno dei modi di vedere la Lega degli Straordinari Gentlemen e i suoi componenti. Una riscrittura in chiave molto più cruda degli eroi della letteratura inglese, gli stessi che generazioni di ragazzini hanno preso a modello nel corso delle decadi.
Ciò che realizzò Moore nel mettere in scena la propria versione dei “gentlemen” della letteratura vittoriana fu qualcosa di unico, quasi “anti-gattopardesco”. In apparenza Moore non cambia nulla: ci propone ancora una volta Allan Quatermain, il grande cacciatore bianco. Il Capitano Nemo, geniale inventore e strenuo difensore degli oppressi. Mina Murray, sfortunata e volitiva donna vittima di un’epoca crudele. L’invisibile e sfuggente Hawley Griffin. E, infine, il Dottor Jekyll, geniale chimico specchio della doppia morale vittoriana.
Gli ultimi due, l’Uomo Invisibile e l’alterego di Mr. Hyde, sono funzionali a rendere al meglio il contesto in cui si svolge la vicenda. L’età vittoriana, un’epoca segnata dalle contraddizioni delle classi privilegiate e dall’ipocrisia imperante, che proprio il personaggio creato dall’immortale Robert Louis Stevenson contribuì a fissare nell’immaginario condiviso dei lettori.
Moore però riesce ad andare oltre. Fa di Jekyll una rappresentazione del disagio causato dall’opinione pubblica, dell’incapacità di accettare la realtà imposta dalla società civile e dalle sue restrizioni. Hyde diventa non solo ciò che noi nascondiamo nel profondo del nostro animo, ma anche ciò che gli altri ci impongono di nascondere.
Vedere il mite Jekyll sul punto di esplodere (quasi letteralmente) per diventare l’ingovernabile Hyde nelle tavole disegnate da Moore rende in maniera perfetta quella sensazione di costrizione che, troppe persone, hanno provato almeno una volta nel corso della vita. Reprimere se stessi non è una soluzione funzionale: prima o poi tutto viene fuori, ed esplode con una forza selvaggia e incontrollabile, facendo sì che quella stessa società che in passato ci ha costretti a nascondere noi stessi ci giudichi. Un contrappasso che porta con sé una crudele lezione.
Non molto diverso è il caso di Griffith. Da fisico ignorato nonostante le sue capacità si trova presto coinvolto in una spirale autodistruttiva che lo porta a tentare di instaurare un regno criminale. L’invisibilità del personaggio di H.G. Wells diventa un altro modo di parlare di emarginazione, di chi non viene visto dalla società e si trova quindi a dover vivere di criminalità. La metafora è fin troppo evidente.
Terroristi, tossici e “puttane”
Se con Griffith e Jekyll Moore strizza l’occhio alla contemporaneità sfruttando in maniera originale il messaggio dagli autori dei personaggi, diverso è quanto fatto per gli altri membri della Lega degli Straordinari Gentlemen. Con Nemo, Quatermain e Mina il Bardo di Northampton riesce a rivoluzionare i propri personaggi e dare loro nuova vita, senza tradire ciò che erano.
Il Capitano Nemo, comandante del Nautilus, viene mostrato già in 20000 Leghe sotto i mari come un feroce anticolonialista. Un paladino degli oppressi, disposto a tutto pur di sconfiggere l’imperialismo britannico. Un eroe per chi è vittima di un’invasione e un terrorista per chi vuole sfruttare altri popoli. Fiero delle sue convinzioni, Nemo è a tutti gli effetti un anarchico. Il Nautilus non batte alcuna bandiera e aiuta solo chi combatte per la propria libertà, senza schierarsi a favore di una nazione.
Il personaggio di Nemo, così come è stato concepito da Moore, è una rappresentazione perfetta del tempo in cui venne pubblicato. Il 1999 fu il principio della stagione del terrorismo internazionale, l’età in cui l’occidente iniziò a pagare in maniera violenta il suo passato coloniale.
Nemo è certo un terrorista. Eppure conserva una sua dignità, quella di un anarchico romantico che ha come unico bersaglio i guerrafondai, i potenti. Mai i civili e gli innocenti. A modo suo Nemo diventa quasi un’incarnazione degli ideali di Moore, il suo modo di concepire il passaggio dal Secolo XX al XXI.
Ben diverso è Allan Quatermain, protagonista de Le miniere di re Salomone di H.R. Haggard. Per il suo creatore Quatermain rappresenta il buon cacciatore bianco, l’uomo evoluto e dotato di sensibilità, capace di guardare agli indigeni con tenerezza e comprensione. In un certo senso incarnava il lato migliore del sistema coloniale, una sua versione idealizzata, in cui possono esistere ancora uomini in grado di essere benevoli verso popolazioni ritenute inferiori.
Moore prende Quatermain e lo trasforma. Ne fa un vecchio dipendente dal laudano desideroso solo di dimenticare il suo passato e le sue avventure. Quatermain è il primo nemico di se stesso, così come il colonialismo. L’Occidente è stato costretto a raccogliere i frutti avvelenati delle proprie politiche verso i paesi africani e asiatici, venendo svuotato poco alla volta. Resta solo lo spettro di una grandezza passata, agognata ma ormai irraggiungibile, una “sindrome dell’Impero fantasma” che tormenta ancora i sogni del popolo britannico.
Allan, quando lo incontriamo per la prima volta nel mondo della Lega degli Straordinari Gentlemen, è un uomo distrutto. Ha perso moglie e figlio, è diventato un’ombra dell’uomo che era. Un tossico, qualcuno da lasciare ai margini della società. Eppure, una volta ripulito, diverrà uno dei principali esponenti della sua squadra. Qualcosa che sarebbe stato impossibile senza un aiuto esterno.
Ma il vero cuore della Lega è la grande protagonista femminile della storia, Mina Murray.
Sul personaggio di Mina il Bardo riesce a ricamare un personaggio unico nel suo genere, stratificato e complesso. Il passato di Mina è lo stesso narrato da Bram Stoker nel suo Dracula. Quello di una donna che è stata sedotta dal male, ne ha conosciuto il fascino ma è riuscita anche a slegarsene per amore di suo marito, Johnatan Harker. Tuttavia Moore arricchisce la vicenda e guarda a dopo il lieto fine narrato dallo scrittore irlandese.
Mina ha subito dalla sua “relazione” con Dracula delle cicatrici, fisiche e mentali, da cui non è stata capace di guarire. L’esperienza subita l’ha cambiata in molti sensi. Ne ha fatto una donna forte, volitiva, cosa che mette soggezione agli uomini attorno a lei, primo fra tutti suo marito. Johnatan non riesce a confrontarsi con Mina, non accetta le sue cicatrici. Si sente inferiore e quindi svirilizzato. Sceglie perciò di allontanarsi, cosa che porterà al divorzio della coppia.
Qualcosa che, per la morale vittoriana, rende Mina una donna di malcostume, priva di morale. Una “puttana“. Si potrebbe credere che ai nostri tempi il personaggio di Mina e le sue scelte di vita possano trovare maggiore comprensione. Eppure quante volte ci troviamo di fronte ai pregiudizi verso una persona per le sue preferenze sessuali? Quante volte abbiamo noi stessi giudicato una persona per la scelta del partner? Valeva nel Secolo XIX, così come nel 1999 e ancor di più oggi.
Dopo il divorzio, abbracciata la sua immortalità, Mina non si sente più legata alle pastoie della morale tradizionale. Si sente libera di amare chi vuole, cosa che si traduce nella sua relazione con Allan prima e nel cambiamento del suo orientamento sessuale dopo. Mina rappresenta il libero amore, di cui Moore è sempre stato un sostenitore e che la società ha sempre osteggiato.
Diverso e fiero
Il quadro dipinto da Moore è così quello di una squadra di reietti. Persone allontanate dalla società che, tuttavia, possono incarnarne alcuni dei valori migliori. L’intelligenza, la sensibilità, il senso di giustizia, l’amore, la capacità di rialzarsi. Proprio nella diversità di chi compone la Lega degli Straordinari Gentlemen risiede la loro forza, così come nell’orgoglio per la loro diversità ne risiede la forza. Per capire a fondo quanto ciò che ha mostrato Moore sia stato rivoluzionario possiamo fare un parallelismo con un’altra squadra di diversi, gli X-Men.
Un mutante dell’universo Marvel proverà sempre e comunque un conflitto interiore per ciò che è. Certo, difende chi lo giudica, ma nel profondo vorrebbe essere come lui. Normale. Al contrario Mina, Nemo e gli altri membri della squadra, passati e futuri, provano un senso di orgoglio e appartenenza per ciò che sono. Reietti, diseredati, etichettati, malfattori, pazzi. In una parola… diversi.
Forse è questo uno dei messaggi più forti e attuali nell’opera di Moore. Che l’integrazione, così come viene sognata dai governi di tutto il mondo, ha sempre un prezzo, ovvero la perdita della propria identità. Più giusto sarebbe imparare ad accettare se stessi, nella speranza che anche gli altri imparino ad accettarsi. Un pensiero che ancora una volta incarna gli ideali del grande fumettista inglese, consapevole in modo melanconico di quanto questo rappresenti un’utopia.