Ancestors: The Humankind Odyssey vuole farci toccare con mano l’evoluzione a partire dai nostri antenati. E ci riesce.
Ancestors: The Humankind Odyssey è il classico titolo a cui non è facile approcciarsi e di cui, di conseguenza, non è facile parlare. Si tratta di un prodotto sperimentale, un survival piuttosto duro, un gioco frustrante che avrei difficoltà a definire divertente nel senso stretto del termine, eppure è un gioco importante, in grado di garantire un senso di appagamento difficilmente riscontrabile altrove, in qualche modo didattico.
Ancestors: The Humankind Odyssey è qualcosa di cui sicuramente si parlerà nei prossimi mesi o anni, perché basato su una progressione estremamente intelligente e innovativa. Un’opera in cui il senso di “non guidato” trova un nuovo scopo, in cui la quasi totale assenza di spiegazioni sul da farsi trova la sua giustificazione nello scopo ultimo, nel racconto che non è scritto, rendendoci protagonisti e sceneggiatori della nostra storia, di quella del nostro clan e, in ultimo, della storia dell’uomo prima che fosse uomo.
L’autore di Ancestors altri non è che la mente dietro Assassin’s Creed e Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo, Patrice Désilets, che dopo aver lasciato Ubisoft ha fondato cinque anni fa il suo nuovo studio: Panache Digital Games.
L’idea alla base di Ancestors è quella di far rivivere al giocatore l’evoluzione che ha portato i primi ominidi a diventare quello che siamo oggi e lo fa mettendoci proprio nei panni di un clan di ominidi in Africa nove milioni di anni fa.
L’evoluzione è però un processo complesso, fatto di tentativi e di mutazioni genetiche, di fallimenti e morti. La struttura ludica di Ancestors: The Mankind Odyssey si basa proprio su questo principio, guadagnandone incredibilmente in coerenza tra finalità e gameplay, ma contemporaneamente mettendo una barriera enorme all’ingresso per chiunque non sia disposto a giocare secondo le regole di Désilets.
Anche mettendo la difficoltà al minimo con gli aiuti e gli HUD attivati, il gioco ci dirà soltanto quali sono i comandi di base, obbligandoci a scoprire tutto in prima persona,a cominciare anche dalle minime cose come passare gli oggetti da una mano all’altra.
Quello che può sembrare scontato a un Homo Sapiens Sapiens non lo è affatto per un ominide e quindi bisognerà operare un processo di regressione per entrare veramente nella parte e imparare a ragionare come una scimmia. Quando però questo succede, il gioco comincia ad elargire le maggiori ricompense.
Lo spostarsi lentamente per la foresta, fermandosi ad annusare tutto quello che c’è intorno, ascoltando tutti i suoni con attenzione, non solo ci ricompenserà con quelli che chiameremmo punti esperienza e con la possibilità di sbloccare nuove abilità, ma ci insegnerà a ragionare in modo diverso, a capire quali sono realmente i pericoli che vivevano i nostri antenati e quindi in che modo hanno potuto e dovuto reagire.
Un esempio pratico: se all’inizio saremo naturalmente spaventati dai predatori da cui potremo solo fuggire, pian piano impareremo a manipolare gli oggetti. Se dapprima si cercherà sempre di muoversi sugli alberi per non farci attaccare da aggressivi felini o enormi serpenti, quando riusciremo a modificare un ramo secco trasformandolo prima in un bastone e poi in un bastone appuntito, scenderemo con più sicurezza al suolo, sicuri di poterci difendere.
E poi? E poi andremo noi a caccia, passando da preda a predatore, per mangiare anche la carne. Certo, all’inizio non fa benissimo allo stomaco, ma evolvendoci impareremo a metabolizzarla, e anche gli altri membri del nostro clan potranno imparare a maneggiare le improvvisate lance, capendo a loro volta a difendersi e ad attaccare.
Nonostante il gioco sia piuttosto difficile, quasi frustrante quando per un errore ci ritroveremo alla fine del viaggio, riesce a regalare enormi soddisfazioni quando assimiliamo qual è il processo evolutivo su cui il gioco è costruito, quando capiamo le enormi possibilità che ci sono state messe a disposizione dallo sviluppatore e quando impariamo a ragionare nel modo corretto per superare i problemi, sia che voglia dire uscire indenni da una situazione limite, sia che significhi imparare quali sono le piante da cercare per fermare il sanguinamento quando non siamo riusciti a gestire bene suddette situazioni limite.
“Quanta vita ha ancora il tuo intelletto, se dietro a te scompare la tua razza?”
Come si adattano e imparano le nostre scimmie, così dobbiamo imparare ad adattarci noi che impugniamo il pad.
Abbiamo parlato tantissimo di evoluzione e adattamento, ma non abbiamo ancora spiegato come funziona la meccanica centrale intorno a cui ruota Ancestors: eseguendo le attività tipiche della vita dell’ominide (ovvero annusare, guarda, ascoltare, mangiare, comunicare con gli altri e maneggiare oggetti) acquisteremo la possibilità di sbloccare nuove “abilità” nello specifico ramo dello skill tree.
Se quindi ci muoveremo nella giungla utilizzando principalmente l’olfatto svilupperemo più neuroni dedicati alle nostre capacità olfattive rispetto, ad esempio, a quelli relativi all’udito. Agire quindi rende possibili sia nuovi collegamenti neurali, facendo comparire il nodo dedicato, sia i punti utili a farlo diventare attivo.
In questo processo un elemento fondamentale sono i cuccioli. Le piccole scimmie hanno diverse funzioni fondamentali: la prima è che danno la possibilità di accumulare energia neurale, i punti esperienza, quando vengono portati con noi all’avventura. La seconda, scontata, ci permettono di continuare la specie. Quando infatti decideremo di fare un passaggio generazionale i membri anziani del clan moriranno, gli adulti invecchieranno mentre i giovani diverranno adulti. La terza, altrettanto importante, è che durante questo processo di passaggio generazionale permetteranno di “fissare” alcuni neuroni già sbloccati, così che non sia necessario sbloccarli ancora.
Durante i passaggi infatti tutte le conquiste ottenute andranno perse, fatte salve quelle bloccate utilizzando l’energia fornita dai cuccioli presenti nel clan. Se le meccaniche di sopravvivenza legate al mangiare, al bere e al dormire di Ancestors sono infatti piuttosto permissive (sarà difficile morire di fame o di sete), lo stesso non si può dire delle dinamiche evolutive, che obbligano a fare e rifare le stesse attività per mantenere le conquiste teoricamente già avvenute.
Nella realtà le suddette conquiste non sono da considerarsi come ottenute al passaggio di una generazione, e la meccanica utilizzata nel gioco dallo sviluppatore risponde proprio a questa esigenza di realismo. Chiaramente se un ominide ha casualmente imparato a utilizzare un sasso per affilare un bastone non significa che tutti gli ominidi siano in grado di fare lo stesso, non subito almeno, e ugualmente non significa che chi gli sopravviverà quindici anni dopo avrà mantenuto quella capacità.
In questa logica si innesca proprio la meccanica di portare dietro un cucciolo per acquisire energia utile a sbloccare altri snodi neuronali, e l’importanza di avere cuccioli nel gruppo per portare avanti le proprie conquiste, che presupponiamo apprese da questi ultimi. È interessante notare come anche le meccaniche più “fastidiose” di Ancestors: The Humankind Odyssey rispondano a delle specifiche esigenze narrative e di realismo, e che l’unico modo in cui il gioco può funzionare come dovrebbe è proprio questo: frustrando a volte il giocatore e mettendolo di fronte a situazioni che normalmente verrebbero sacrificate a favore di un gameplay più snello e divertente. Tuttavia, come detto in apertura, non sembrava essere intenzione di Désilets realizzare un gioco “divertente”, quanto un’opera che rispondesse a una determinata logica. Riuscendoci perfettamente, peraltro.
Quello che rimane di Ancestors: The Humankind Odyssey non è la sensazione di aver portato a termine qualcosa che è neanche completabile. La sfida del gioco, l’obiettivo ultimo, è un pretesto piuttosto superfluo: riuscire a evolversi prima di quanto non ci siano riusciti i nostri antenati, impiegando meno tempo per conquistare determinate capacità.
L’importante però non è questo, e per quanto scontato suoni, conta il viaggio e non l’ipotetico arrivo. Farsi avvolgere dalla giungla, imparare a ragionare e a muoversi come un ominide, imparare a stare in piedi, e poi a fabbricare un oggetto, insegnarlo anche agli altri, passare di generazione in generazione sempre più consapevoli delle proprie capacità per poi conquistarne altre, e infine evolvere in senso stretto da una specie all’altra, facendo passare milioni di anni, per poi ripetere il ciclo ed evolvere ancora in un’altra specie. Questo è il senso di Ancestors, intimo e profondo, che si avvale di tutta la narrativa emergente che il gioco sa regalare con la sua serie di situazioni impreviste.
Non è un titolo per tutti, perché non vuole accontentare il più ampio pubblico possibile, ma è un’opera che vuole parlare di un qualcosa di inesplorato nel medium, con una forte idea alla base che si cerca di rendere preponderante rispetto a tutte le concessioni che normalmente si fanno al divertimento. Sinceramente, non si può che vederlo come un pregio.
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