Prepare To Dine
Annunciato da Bandai Namco nel 2017 e inizialmente celato dietro il criptico hashtag #PrepareToDine – chiaro riferimento al Prepare to Die di Dark Souls – il soulslike Code Vein, dopo due anni di sviluppo, è finalmente giunto sulle nostre console.
Previsto per il 2018 e successivamente posticipato al 2019, il progetto diretto da Hiroshi Yoshimura e realizzato da Shift, team di sviluppo dietro l’apprezzata serie God Eater, si presentò inizialmente come un soulslike a tema vampiresco, capace di stuzzicare l’interesse degli appassionati del genere pur suscitando qualche perplessità – soprattutto dopo le varie prove sul campo viste nei mesi successivi all’annuncio.
Ora che abbiamo finalmente in mano il gioco completo, i dubbi e le perplessità iniziali saranno confermati, svaniranno come cenere al vento o si moltiplicheranno a vista d’occhio?
Di sangue, parassiti e ricordi perduti
Ammettiamolo, oggi come oggi dar vita a un soulslike capace di lasciare il segno nella storia di questo nuovo genere videoludico (se così vogliamo chiamarlo) è un compito particolarmente difficile. Non è facile cadere nella ripetizione o aggiungere quel quid in più che fa stare incollati allo schermo i giocatori, che li fa dannare e maledire il team di sviluppo per la difficoltà delle aree di gioco o dei vari boss e che, nonostante tutto, da la sensazione di esser davanti a qualcosa di familiare ma, al tempo stesso, nuovo.
Ebbene nonostante i molti dubbi nati dalle varie versioni di prova viste prima del lancio – non ultima la demo pubblicata agli inizi di settembre – Code Vein riesce in questo compito ed entra a pieno diritto nell’area dell’Olimpo videoludico riservata ai soulslike. E badate bene che il team di sviluppo non si è inventato nulla, sia chiaro, però ha fatto una cosa, una sola cosa che, in quello che alla fin fine è anche un JRPG, è da considerarsi tra le più importanti: ha creato una trama intrigante, un fil rouge che lega tutti gli elementi del gioco, un tessuto narrativo che fa macinare ore e ore di gioco, arrivando, talvolta, a far finire le fasi di esplorazione e combattimento in secondo piano.
La storia che circonda i vampiri di Code Vein nasce da un evento catastrofico noto come Grande Rovina, che ha colpito il mondo intero distruggendolo e popolandolo di orrori. Tra le poche specie che si salvarono – oltre alla razza umana – vi fu anche un un parassita noto con la sigla BOR (Biological Organ Regenerative), capace di legarsi al cuore di un individuo morto e di renderlo una creatura priva d’intelletto e assetata di sangue, molto più simile a uno zombie se vogliamo, che non a un vero e proprio vampiro. Percependone il potenziale, un team di ricercatori modificò geneticamente il parassita, creandone un nuovo tipo che, una volta inserito nel cuore di un defunto, era in grado di dar nuova vita a tutti gli organi del corpo, cervello incluso, creando un essere immortale e senziente denominato Redivivo.
Sfortunatamente il “pacchetto” prevede anche alcuni aspetti negativi: uccidere un Redivivo è fisicamente impossibile, a meno che non si colpisca il cuore eliminando anche il parassita; in caso contrario il vampiro si rigenererà dopo un lasso di tempo variabile e a ogni rigenerazione perderà un frammento della propria memoria. Quanti e quali ricordi andranno perduti è incerto, tanto che molti Redivivi faticano a riconoscere i propri amici o a ricordare addirittura il proprio nome e la propria identità. Inoltre, se l’eterna sete di sangue che affligge la razza vampira non viene soddisfatta per un prolungato lasso di tempo, la mente dei Redivivi va in pezzi, facendoli cadere in preda alla follia e trasformandoli in Corrotti, vere e proprie mostruosità, il cui parassita BOR si è ormai fuso con il corpo a livello cellulare rendendoli realmente immortali – possono tornare in vita anche dopo la distruzione del cuore – ma fisicamente e mentalmente deviati.
Tornando alla Grande Rovina e agli orrori che popolano il mondo, per combatterli si è ovviamente ricorsi all’aiuto degli immortali Redivivi, tra i quali vi era il misterioso personaggio della Regina, una creatura dotata di poteri straordinari che doveva dar nuova speranza al mondo ma che, purtroppo, cadde in preda a una follia omicida e distruttrice. I Redivivi scesero nuovamente in guerra, stavolta contro la Regina stessa che, a fatica, venne sconfitta e che lasciò dietro di sé una fitta nebbia rossa chiamata miasma. Respirare nel miasma è quasi impossibile per un redivivo, poiché né incrementa a livello esponenziale la sete di sangue e il rischio di trasformarsi in corrotti, dunque l’esplorazione delle varie aree va eseguita utilizzando delle apposite maschere – che, se si rimuovono i filtri, ricordano molto le maschere Menpo.
In questo contesto, tutt’altro che idilliaco, troviamo il nostro Redivivo, del quale potremo scegliere il nome, il sesso e modificare l’aspetto fisico, grazie a un editor piuttosto vasto che, sebbene non particolarmente approfondito per quanto concerne le caratteristiche fisiche, offre diverse opzioni di personalizzazione per quanto concerne il vestiario, gli accessori e i capelli, tanto quanto basta per far felice qualsiasi estimatore di anime/manga. Personalmente ho impiegato 2 ore solo per creare il personaggio, ma questo prescinde il giudizio complessivo del gioco e ricade in qualche categoria delle malattie mentali. Credo. Ma andiamo avanti.
Creato il nostro avatar scopriremo di aver perso buona parte della nostra memoria e ci risveglieremo accanto ad una fanciulla dai bianchi capelli, che ci darà il benvenuto nel mondo di Code Vein, un mondo arido e profondamente segnato dalle varie catastrofi che l’hanno colpito, popolato da mostruose creature, fitto di misteri da svelare e compagni da incontrare. A differenza dei canonici souls, infatti, che vedono la possibile presenza di un compagno di squadra – e parliamo di NPC – solo contro determinati boss, stavolta sembra quasi naturale – ma non obbligatorio, sia chiaro – esplorare il mondo di gioco insieme a uno dei diversi personaggi che incontreremo nella nostra avventura e spesso, soprattutto nelle fasi iniziali e nelle bossfight, la loro presenza risulterà tutt’altro che ingombrante.
Parlando di compagni di squadra non si può non fare un breve accenno all’IA, che, fortunatamente e nonostante qualche scivolone (nel vero senso della parola visto che quasi tutte le aree di gioco vedono la presenza di burroni e strapiombi), fa il proprio dovere in maniera più che soddisfacente, arrivando talvolta ad esagerare e a far sentire il giocatore una semplice presenza accessoria. Già ci troviamo davanti all’ennesimo protagonista muto, se ci aggiungiamo anche l’inutilità in battaglia è finita. Fortunatamente sono occasioni molto sporadiche e limitate prettamente alle fasi iniziali del gioco e, soprattutto, alla classe scelta.
Destreggiandosi tra Doni e Codici
Parlando di classi, il lavoro fatto dal team di Shift, ad una prima occhiata, può sembrare molto complesso, ma una volta entrati nel meccanismo le possibilità sono pressoché infinite. Ma procediamo con ordine.
Similmente ai gruppi di sangue degli esseri umani, ogni Redivivo è dotato di un proprio Codice Sanguigno, unico nel suo genere e capace di conferire diverse abilità denominate Doni. Se vogliamo spostare tutto su un piano più rpgistico, i Codici Sanguigni sono le classi mentre i Doni sono le varie skill.
Il nostro protagonista è dotato di una particolarità: la totale assenza di un Codice personale, caratteristica che lo rende capace di utilizzare i Codici degli altri redivivi. In sintesi può cambiare classe a proprio piacimento e in qualunque momento durante il gioco. Per capirsi meglio, si può tranquillamente iniziare la propria avventura come un guerriero, per poi cambiare idea e utilizzare una classe diversa come quella del mago o del classico ladro, magari proprio poco prima di una battaglia.
Ma non è finita qui. Come abbiamo visto, ogni Codice ha dei Doni e questi non sono limitati al Codice al quale appartengono, o meglio non del tutto. Il nostro personaggio avrà a disposizione 4 slot per le abilità passive e 8 per quelle attive. Equipaggiandole ed eliminando abbastanza nemici, queste si sbloccheranno e potranno essere ereditate dagli altri Codici, ossia utilizzate anche dalle altre classi.
Ora moltiplicate il tutto per 36 Codici in totale, ciascuno con un numero variabile di Doni che va dai 3 ai 6, ed ecco che i più smanettoni, i veterani degli RPG, hanno davanti a loro un’infinità di possibilità per costruire il proprio personaggio come preferiscono, dando vita a build diverse che, potenzialmente, rendono Code Vein uno dei soulslike più longevi sul mercato.Ulteriore punto a favore di Code Vein è la totale assenza di una sorta di livello d’obbligo per accedere alla determinata area. Il team di sviluppo, scegliendo di dare un così ampio spazio al comparto narrativo, crea una sorta di percorso obbligato fatto di aree che si sbloccheranno man mano che si andrà avanti con la storia. Tutte le zone, inoltre, potranno essere rushate o esplorate in ogni minimo particolare, a discrezione del giocatore, ma il livello del proprio personaggio sarà sempre, più o meno, adatto a destreggiarsi nell’area.
Per quanto riguarda l’esplorazione, la mappa delle varie zone non sarà disponibile sin da subito, ma dovrà essere svelata procedendo lungo il percorso e raggiungendo determinati punti dove sarà possibile trovare del Vischio (i falò di Code Vein) che dissiperà il miasma, rendendo l’aria respirabile per il nostro redivivo, svelandoci una porzione della mappa; oltre al Vischio, sarà necessario eliminare determinati nemici caratterizzati da una sorta di malformazione rosso cremisi che gli spunta dalla testa. Per i “completisti” tra voi, basterà riposarsi a un qualsiasi Vischio e attivare il Teletrasporto per avere una panoramica delle aree visitate e la percentuale di completamento della relativa mappa.
Purtroppo non è tutto oro quello che luccica e, sebbene artisticamente le aree siano spesso degne di nota e caratterizzate da effetti luce che contribuiscono a differenziarle l’una dall’altra, la sensazione di trovarsi davanti a un lungo corridoio fa spesso capolino, e questo nonostante un level design che tenta in tutti i modi di rendere le zone il più variegate possibili, grazie a scorciatoie, percorsi secondari, crocevia, tutte scelte ottime per l’esplorazione ma che, a conti fatti, risultano quasi del tutto opzionali. Ho scritto quasi di proposito, perché per rendere il titolo ancor più variegato, alcune zone saranno strutturate in stile dungeon crawler e sarà necessario esplorarle a fondo per andare avanti nel gioco. Perdersi, in Code Vein, è possibile ma accade realmente di rado.
Armi… tante armi
Come prevedibile, trattandosi di un soulslike, il mondo di Code Vein è brutale e pericoloso. Dietro ogni angolo può nascondersi la fine ultima del nostro personaggio ma, che siate dei veterani o meno, il sistema di comandi viene in vostro aiuto e, per i meno esperti, è presente anche un vero e proprio tutorial iniziale.
Le meccaniche di gioco sono molto semplici, quasi basilari: attacchi pesanti, leggeri, parate, schivate, blocchi e – una particolarità del titolo – un ulteriore attacco che può essere eseguito nelle combo, colpendo da dietro il nemico o con una parry e che serve a succhiare il sangue del nostro avversario trasformandolo in Icore, il mana del nostro personaggio, che potremo spendere per eseguire le varie abilità.
Così come nel combattimento, anche nel sistema di crafting – se così possiamo chiamarlo – non si riscontrano novità degne di nota. Una vera e propria creazione di armi e armature non esiste ma, come nei Souls, i materiali raccolti in giro peri il mondo di gioco, possono essere utilizzati per aumentare i parametri del proprio equipaggiamento o trasformarlo cambiandone alcune caratteristiche. Parlando di armi non possiamo che lodare il team Shift, che in Code Vein ne ha inserite di tutti i tipi e per tutti i gusti, dalle agili spade a una mano simili (non esteticamente sia chiaro) a katane, alle armi a due mani che vanno da pesanti spadoni (tra i quali troviamo anche il ritorno della Zweihander, molto amata dai giocatori di Dark Souls e che, anche in questo caso, terrà fede al proprio nome) a giganteschi martelli capaci scuotere il terreno ad ogni colpo. Dulcis in fundo, per gli amanti del combattimento a distanza – oltre a una discreta mole di magie disseminate nei vari Codici – saranno disponibili anche delle utilissime baionette, che consumeranno Icore al posto dei proiettili e che potranno essere usate sia dalla distanza che negli scontri più ravvicinati.
Così come le armi, anche le armature – denominate Veli di Sangue – avranno un ruolo importante negli scontri e saranno caratterizzate da un design molto dettagliato che le renderà diverse l’una dall’altra. L’unico appunto in questo contesto è quello degli eccessivi fenonemi di clipping che capitano realmente troppo spesso – più nei personaggi e negli abiti che non nelle armi – e sinceramente, visto il lungo periodo di sviluppo, risulta un peccato vederli così di frequente.Tirando un minimo le somme e avvicinandoci alla fine del nostro viaggio alla scoperta di Code Vein, possiamo dire che le premesse non sono, fortunatamente, state mantenute. Il titolo del team Shift merita non solo di esser equiparato agli altri soulslike, ma, forse, non ne ha quasi bisogno, poiché racchiude dentro di sé tutta una serie di elementi e generi diversi, che lo fanno quasi distinguere dai “colleghi.”
Certo il gioco non è perfetto e ha alcune lacune – a tal proposito va fatta una lode al team di sviluppo per la quasi totale assenza di cali di frame, registrati in occasioni realmente sporadiche su PlayStation 4 – ma tutto sommato diverte e cattura l’interesse del giocatore che, spesso, si sentirà di esser davanti più a una sorta di anime interattivo che non a un vero e proprio videogioco. La punta di diamante di Code Vein restano la storia e i personaggi che la compongono, che, sebbene all’inizio possano risultare quasi scontati, dimostrano presto tutto il loro valore grazie a diversi colpi di scena che arriveranno ad emozionare il giocatore e perfino a farlo commuovere in momenti particolarmente toccanti. A dar un gran mano in tal senso, troviamo anche la splendida colonna sonora composta dal maestro Go Shiina, veterano di casa Bandai Namco, che in passato ha collaborato a saghe storiche come Ace Combat, Tekken, la serie Tales e, ovviamente, God Eater.
Se cercate un soulslike non troppo complesso ma, al tempo stesso, variegato, dotato di un comparto narrativo piuttosto importante, dallo stile spiccatamente action e che strizza l’occhio al vasto universo dei JRPG, Code Vein è il titolo che fa per voi. Come già detto non ha grandi ambizioni, non mira a rivoluzionare il genere, ma cerca solo di ritagliarsi il suo spazio all’interno di una tipologia di giochi ormai diffusa. E ci riesce, nonostante tutto ci riesce, aggiungendo anche quel qualcosa in più che gli toglie quel sapore di “been there done that” che, ormai da tempo, spunta ogni qualvolta si senti la parola soulslike.