“No non sono Dio. Non ancora”
Dove ci eravamo lasciati?
Tra le tante, mirabolanti, imprese di Thomas Shelby, fare mente locale e riordinare le idee risulta estremamente complesso, ma Steven Knight ci viene in contro, offrendoci 10 minuti iniziali di una potenza inaudita. Improvvisamente i ricordi riaffiorano, e la pelle d’oca si fa largo. Sì, sono tornati i Peaky Blinders.
Una stagione molto più elegante, con una regia ancora più articolata e stilisticamente gustosa. I vecchi contrasti tra gang e mafiosi sono un ricordo, ora è la politica il campo di battaglia di Tommy e della sua famiglia.
L’immancabile Red Right Hand di Nick Cave e dei The Bad Seeds prende il sopravvento.
“Hey man, you know
You’re never coming back
Past the square, past the bridge
Past the mills, past the stacks
On a gathering storm comes
A tall handsome man
In a dusty black coat with
A red right hand”
No Thomas lo sa, non tornerà mai indietro, quell’uomo dal capotto nero è lui, e solo Dio sa quali altre gesta si aggiungeranno alla sua storia. O forse nemmeno Dio è in grado di prevederlo.
Riff di chitarra improvviso. Caos. Corsa tra le strade del quartiere cinese. Stacco.
Peaky Blinders probabilmente è l’unica serie tv che in 5 stagioni è stata in grado di mantenere un livello di regia di questo genere. Ogni puntata è un’assurda concatenazione di emozioni, azioni, discorsi epici, colpi di scena.
Merito della direzione artistica, ma, soprattutto, di un cast indescrivibilmente potente. Quest’anno impreziosito da Sam Claflin, incredibilmente riuscito nel ruolo del fascista Oswald Mosley (seppur, per motivi di trama, calchi esageratamente la mano su temi che storicamente non gli sono mai appartenuti).
Tommy questa volta avrà un nemico più grande, non un mafioso italo americano, non un ebreo di Camden o degli anarchici irlandesi. Davanti a lui si staglia nell’ombra un geniale, spietato e rodato politico. E il terreno di battaglia è il suo.
Il capofamiglia, oltretutto, si troverà costantemente braccato dagli spettri, ed ecco che PJ Harvey ci aiuta a ricordare, assieme a lui, quanto sia stata dura perdere il cuore per quella ragazza dagli occhi blu :
” I lost my heart
Under the bridge
To that little girl
So much to me
And now I moan
And now I holler
She’ll never know
Just what I found
That blue eyed girl”
Grace attanaglia la mente del protagonista, e in un turbinio di emozioni lo porta sempre dinnanzi ad un bivio dal quale non può fare ritorno. Come un novello Poe incapace di scordare la sua Eleonora, il ricordo della sua amata sovrasta i consigli dei vivi. Arthur, Polly e Lizzie sono come al solito i generali della guerra personale combattuta dall’insaziabile gipsy. E quando avvengono le riunioni di famiglia “Generals gathered in their masses; Just like witches at black masses; Evil minds that plot destruction; Sorcerers of death’s construction” e che il Signore abbia pietà delle anime dei loro nemici.
Il ritmo è più “pacato” delle stagioni passate, con immagini meno sporche, ma la mirabile fotografia della serie mantiene degli standard mai visti per un prodotto seriale. Il livello di scrittura è sempre elevato e l’eleganza dell’evoluzione dei personaggi è più che teatrale. Il dramma corrode le anime di tutti gli zingari, e il richiamo della terra è costante. Su tutti è Arthur che sprofonda maggiormente nel limbo della sua Odissea mentale, e Paul Anderson è bravissimo nel farlo.
“Abbiamo forgiato i chiodi della croce di Cristo e per questo saremo dannati in eterno”
Ma loro non si arrendono e, come direbbero i Kasabian:
“Kill me if you dare
Hold my head up everywhere
Keep myself right on this train
I’m the Underdog”.
La loro forza è la consapevolezza delle proprie origini. Le proprie radici sono profonde e non si spezzano. Sono e saranno per sempre degli Underdog.
Oltre alla pregevole selezione musicale che snocciola tutte le più disparate contaminazioni subite dal rock british dagli anni ’80 sino ad oggi, l’eccezionale fotografia è l’incredibile ricercatezza registica che colpisce in primis in quest’ultima stagione. Peaky Blinders 5 ci mostra grandangoli, rotazioni di camera, primissimi piani che ci catturano costantemente, fornendoci i necessari spacchi in mezzo ad una trama dai ritmi incalzanti.
Non mancano certo le sequenze caotiche di pura follia gitana in questa serata di gala rappresentata dalla quinta stagione. E tra un discorso in parlamento e un traffico illegale di oppio i nostri eroi sono pronti a urlare “I am Dennis Skinner’s molotov; I’m lefty, I’m soft; I’m minimum wage job; I am a mongrel dog; I’m just another cunt; I’m scum”
La cassa è dritta, gli interpreti sono in scena, e ogni sequenza è una Vichyssoise verbale che non vira mai verso il verboso. Le dramatis personae si stagliano sul palco e diventano protagoniste non appena prendono parola, anche se il loro ruolo è secondario. Tutto sotto l’occhio vigile di Tommy, Re del mazzo, e detentore del banco.
Peaky Blinders 5, che sia accompagnata da DavidBowie o OzzyOsbourne, i JoyDivision o TheCure, i PinkFloyd o TomWaits, avrà sempre e solo una vera voce, quella del Re di Birmingham, e a noi va benissimo così, perché è uno spettacolo degno di Wembley.