Abbiamo incontrato Edward Norton alla Festa del Cinema di Roma
Durante la Festa del Cinema di Roma abbiamo preso parte all’incontro stampa in cui Edward Norton ha presentato il suo film Motherless Brooklyn – I segreti di una città.
Continuate a leggere per sapere cosa ci ha detto!
Motherless Brooklyn arriva a venti anni esatti da Fight Club e a quasi vent’anni da quando ti sei cimentato per la prima volta alla regia. Proprio in quel periodo leggevi il romanzo di Jonathan Lethem, e stavi iniziando a pensare a questo film. Cosa ti ha spinto a insistere nel progetto per tutto questo tempo?
Ho amato da subito Motherless Brooklyn, e mi sono innamorato del personaggio di Lionel, che nel romanzo è veramente memorabile. E poi ero affascinato da questa ambientazione: io vivo a New York ormai da 30 anni, la adoro ma devo dire che ci sono tante anomalie in questa città.
Nel romanzo la storia è sostanzialmente incentrata sul personaggio, poiché a Lethem interessava quello. Io ho cercato di essere fedele al libro ma al contempo espanderlo, e in qualche modo portarlo avanti. Lethem ha creato un fantastico detective e questa, possiamo dire, è una sua nuova avventura.
Come hai costruito questo personaggio così complesso? Ti è stato d’ispirazione Jack Teller di The Score?
Io non ricollego mai le sfide di un personaggio a qualcosa che ho fatto prima. Ogni personaggio è a sé, ed è unico. Anche altri mi hanno fatto questa domanda, sostenendo che ho già interpretato personaggi con dei problemi, ma io ribadisco che nei casi precedenti erano tutte finzioni, mentre questa è la prima volta in cui mi confronto con un personaggio che ha realmente una sindrome.
Immaginiamo quanto sia stato difficile calarsi nei panni di un personaggio così.
Sì, assolutamente difficile. Devi prenderti un bel po’ di tempo per studiare la sindrome e magari incontrare chi ne soffre, ma l’aspetto interessante è che la Tourette si esprime in modi individuali, differenti l’uno dall’altro, e questo mi ha dato la libertà di gestire i sintomi come volevo.
In passato abbiamo visto altri detective o poliziotti affetti da varie sindromi. E spesso è proprio la sindrome – un po’ paradossalmente – a fornirgli vantaggi nel lavoro.
Sì, anche qui ci sono degli aspetti che danno alcuni vantaggi al personaggio nell’investigazione. È stata interessante la sfida di interpretare Lionel e tentare di far emergere la sua personalità. Lui è un personaggio passivo, e solo quando incontra Laura si rende conto che anche lei deve lottare con i propri problemi ma li prende di petto, li affronta. Capisce allora che non deve trovare scuse e fare lo stesso.
Interessante anche il personaggio di Laura Rose, interpretato da Gugu Mbatah-Raw. Una donna diversa dalle solite che siamo abituati a vedere nelle opere noir.
Esattamente. Molto spesso nei noir le donne sono parte della corruzione, o spingono gli uomini verso il cinismo. In Motherless Brooklyn invece Laura Rose ha un ruolo attivo e fa acquisire sicurezza e moralità a Lionel.
Uno dei pregi del film è senza dubbio la colonna sonora, con questo costante sottofondo jazz. Come è stata preparata?
La musica nel film contiene tante cose che amo, messe in un frullatore. È stato straordinario lavorare con questi personaggi, da Thom Yorke, a Wynton Marsalis, a Daniel Pemberton e tutti gli altri: loro hanno accolto bene questa idea di fusione tra diverse influenze e diversi stili. C’è un momento verso la fine che riprende la traccia dell’inizio, ma Pemberton qui l’ha alterata e compressa in modo diverso. Lui è un talento, ci ha messo 4 settimane per scrivere tutta la colonna sonora. Ma comunque tutti sono dei grandissimi musicisti, ed è stato fantastico lavorare con loro.
Dicevamo del jazz: è come se volesse esprimere il caos e l’anarchia presente nella testa di Lionel. È stato scelto anche per questa ragione?
Più semplicemente volevamo raccontare una storia accaduta nella New York anni ’50, e questa era la musica dell’epoca. Ma nel jazz c’è tanta improvvisazione e quindi c’è una analogia con la sindrome di Tourette.
Di recente hai aperto una polemica con Spielberg, sulla questione cinema-servizi di streaming. Vuoi chiarire la cosa?
Era una conversazione privata, una battuta e invece l’hanno fatta uscire come una polemica. Io ho fatto soltanto un commento. Il modo in cui Netflix ha gestito Roma è stato straordinario e io non sono d’accordo sul fatto che rovini il cinema, sebbene vedere un film al cinema resti un’esperienza fantastica. Ma Spielberg è uno dei miei mentori, non voglio fare nessuna polemica, tantomeno con lui.