L’idea di qualcosa simile all’Internet di oggi era mai emersa nella narrativa di fantascienza, prima di piombare a rivoluzionare il mondo?
Uno degli argomenti che viene usato più spesso per sminuire il ruolo della fantascienza è quello che le sue capacità predittive non siano così efficaci. A dimostrazione di questo, la tipica domanda è proprio “Com’è che gli scrittori di fantascienza non avevano previsto Internet?” Checkmate, nerd.
La risposta corretta sarebbe che la fantascienza non si occupa di prevedere il futuro, e quindi anche se non avesse mai immaginato l’Internet questo non significherebbe che ha fallito il suo compito. Ma volendo accettare la sfida, si possono trovare dei testi di fantascienza che avevano effettivamente ipotizzato qualcosa che assomigliasse ad Internet? Sicuramente, se si sa dove cercare.
In principio erano i Supercomputer
Se si scava abbastanza a fondo, si possono trovare accenni di Internet anche ben prima che esistesse la fantascienza. Uno degli esempi più citati a questo proposito è From the London Times of 1904, un racconto del 1898 di Mark Twain (che si può trovare online), in cui si ipotizza l’esistenza di un macchinario che permette di connettere le linee telefoniche per assistere di persona a ciò che accade in ogni parte del mondo. L’idea di fondo del collegamento globale c’è già, ma non è molto diversa dalla diffusione capillare del telefono che già stava avvenendo a fine Ottocento, e forse è solo con il senno di poi che si può associare questo sistema ad Internet. D’altra parte a Mark Twain mancava una base tecnologica essenziale per poter parlare con cognizione di scambio di dati: il computer.
Quando i prototipi di calcolatori elettronici hanno iniziato a essere progettati nella prima metà del Novecento, si diffuse l’idea che macchine sempre più potenti avrebbero avuto capacità sempre più vaste. All’epoca la fantascienza era già ben avviata, anzi si era in piena Golden Age, per cui è normale che i professionisti della speculazione tecnologica prendessero quest’idea e la portassero alle estreme conseguenze. Come nel caso delle missioni lunari, scienza e fantascienza, ricerca e speculazione, hanno instaurato un sistema a feedback positivo nel quale una sosteneva l’altra e viceversa. Il pensiero generale di allora era che i computer sarebbero diventati sempre più grandi, fino a occupare interi edifici, e infatti il tema del Supercomputer arrivò a diventare praticamente un topos di romanzi e film. Di solito il Supercomputer in questione era in grado di acquisire dati da ogni fonte su scala mondiale ed elaborare da questi le sue analisi incontrovertibili.
Di esempi di questo tipo se ne trovano a decine, ma uno dei più memorabili è quello del racconto L’ultima domanda di Isaac Asimov, in cui il Multivac (upgrade dell’Univac realmente esistente) si evolve nel corso dei millenni da semplice terminale a nucleo di tutta la conoscenza dell’umanità. Ma a ben guardare anche il Monolito di 2001 Odissea nello Spazio, nei romanzi seguenti della serie perde la sua aura di mistero e si rivela essere il componente di una rete intergalattica di acquisizione e trasmissione di informazioni.
Quello che mancava a questi Supercomputer era un altro aspetto che forse non sembrava realistico in quegli anni: la miniaturizzazione. Il principio del “più grande più potente” portava ingegneri e autori (che spesso coincidevano) a pensare che i processori avrebbero dovuto crescere sempre di più, tendendo alla scala planetaria piuttosto che a quella tascabile. L’idea del personal computer, il terminale presente in ogni casa, non sembrava realistica. Non mancano però esempi anche di questa ipotesi: il racconto Un logico chiamato Joe (noto anche come Onora il Logico tuo) di Murray Leinster è del 1946, e descrive la diffusione di un apparecchio chiamato appunto Logico, uno strumento di uso comune che permette a chiunque di ottenere risposte accedendo a reti di dati: sostanzialmente, i nostri smartphone con connessione wi-fi. Ma è a partire dagli anni Ottanta, quando davvero i computer iniziano a essere alla portata di tutti, che l’idea della Rete si fa più concreta.
Giù nel cyberspazio
La prima e-mail è stata inviata nel 1971. Allora nessuno avrebbe potuto sospettare che un giorno quello sarebbe diventato il sistema di comunicazione più utilizzato al mondo. Ma nel giro di una decina di anni, grazie proprio alla miniaturizzazione dei processori, il computer divenne contro ogni aspettativa un oggetto domestico alla portata di tutti. Internet era ancora lontano, ma gli autori di fantascienza, soprattutto quelli di nuova generazione, compresero bene l’entità della rivoluzione in atto, e si può affermare che da questa constatazione nacque in pratica un intero movimento letterario: il cyberpunk.
Il cyberpunk è una corrente d’avanguardia e in quanto tale prevede una rottura nei confronti dei canoni del genere, per questo include un’immensa varietà di temi e stili. Ma a livello di speculazione, i suoi punti cardine sono due: sul lato sociale, l’accentramento del potere da parte delle corporation a discapito degli stati nazionali; sul lato tecnologico, l’onnipresenza di computer e la loro connessione in Rete. Il pensiero va subito a Neuromante di William Gibson, caposaldo del genere uscito nel 1984 che in sostanza ha portato alla diffusione del termine cyberspazio (che però era già apparso nel racconto La notte che bruciammo Chrome), in cui il protagonista è un hacker a cui sono state bruciate le connessioni neurali per impedirgli di accedere alla Rete, nello specifico chiamata Matrice.
Nel decennio tra la metà degli anni Ottanta e Novanta molti autori oltre a Gibson hanno fornito la loro interpretazione del cyberspazio, quando ancora l’idea di una vera e propria Rete che connettesse tra loro i terminali era acerba e riservata per lo più a banche dati amministrative, scientifiche o militari. Tuttavia la direzione era già tracciata, e in molte storie di fantascienza dell’epoca si possono già trovare gli indizi che hanno poi portato alla costituzione dell’Internet che conosciamo oggi, con le sue molteplici piattaforme e funzioni.
Per fare qualche esempio, si può citare Codice 4GH (o Rete globale) di John Brunner, uno degli autori che maggiormente si è occupato di mettere in guardia rispetto ai possibili pericoli della società post-industriale. In questo romanzo del 1975 il protagonista può accedere a una rete dati e grazie alle sue capacità di programmazione è in grado di nascondere le proprie tracce e crearsi nuove identità, anche con la diffusione di programmi malevoli negli altri computer, che oggi sono chiamati comunemente virus informatici. David Brin invece scrive in Terra del 1990 di una Rete che è diventata la principale fonte di informazioni, anche distorte da comunicazione invasiva, molto simili al moderno spam. Snow Crash di Neal Stepehenson (1992) è ambientato in buona parte nel Metaverso, sorta di realtà virtuale popolata di avatar, che si può paragonare a Second Life o ai MMORPG in cui circolano valute fittizie con un controvalore in moneta reale.
Sempre in questo romanzo viene impiegato il concetto di meme, inteso come contenuto capace di diffondersi parassitando la mente di chi ci entra in contatto. Infine non si può evitare di nominare anche la Guida Galattica per Autostoppisti, che al di là di battute e avventure spaziali presenta un ritrovato tecnologico, appunto la Guida, che è una Wiki con apporto di contenuti da parte di tutti gli utenti. Trattandosi poi di una guida per viaggiatori, si sta parlando in pratica di TripAdvisor. Lo stesso Douglas Adams nel 1999 inaugurò h2g2, un tentativo di dare vita alla Guida, antenato di portali ben più popolari nati negli anni successivi.
E i social network? Nessuno scrittore di fantascienza aveva pensato a questo sviluppo di Internet? Difficile dare una risposta precisa, perché l’attuale forma dei social è altamente specifica ma al tempo stesso in continua mutazione, e trovare una descrizione che si adatti con precisione a Facebook o Instagram può portare a forzature. Tuttavia fenomeni recenti come il marketing virale si possono trovare già in Simulacron 3 di Daniel F. Galouye (1964) in cui un’intera simulazione del mondo è creata a fini di indagine di mercato, oppure gli influencer costruiti a tavolino di La ragazza collegata di James Tiptree jr (pseudonimo dell’autrice Alice Sheldon) del 1973, in cui una ragazza qualsiasi viene scelta per essere collegata alla rete e fare da modella per la sponsorizzazione di prodotti.
Verrebbe quasi da pensare che molti degli aspetti più controversi di Internet, dallo spam al controllo dell’identità, dalle fake news alle monete virtuali, siano in qualche modo suggeriti dalla fantascienza, e che forse senza queste opere certe idee non sarebbero mai emerse. Purtroppo, è proprio questo che deve fare un buon autore di fantascienza: non azzeccare le previsioni, ma interpretare le tendenze attuali e proiettarle nel futuro.
Il futuro di Internet: IA e singolarità
Proprio per questo, ci si può chiedere che cosa gli scrittori di fantascienza oggi ipotizzano sul futuro di Internet. Come si evolverà la Rete dal suo stato attuale nei prossimi anni? La domanda è tutt’altro che banale, soprattutto considerando i tempi rapidissimi con cui nuovi fenomeni si affermano e si consumano online.
Uno dei temi più spesso sviluppati dagli autori che hanno sperimentato la vertiginosa crescita di Internet di questi anni è quello del raggiungimento della singolarità tecnologica, un orizzonte degli eventi oltre il quale è impossibile fare previsioni perché lo sviluppo di nuove tecnologie raggiunge una progressione più che esponenziale. In genere questo punto di non ritorno viene associato alla nascita della prima Intelligenza Artificiale. Quello dell’IA è un argomento che esiste da molto tempo, fin dall’epoca dei Supercomputer discussi in precedenza. Tuttavia la sua applicazione moderna è l’idea che possa essere proprio la Rete, un nodo di informazioni e collegamenti talmente vasto e costantemente in espansione, a raggiungere una massa critica di dati tale da poter far emergere un qualche tipo di autoconsapevolezza.
Un autore che ha esplorato a fondo questa possibilità è Robert J. Sawyer, con la sua serie WWW (World Wide Wake), in cui appunto Internet assume autonomamente una forma di coscienza. In realtà se ciò accadesse probabilmente non saremmo in grado di prevederlo né di rilevarlo, perché un’intelligenza diversa da quella umana, basata interamente su una matrice digitale, potrebbe seguire schemi di pensiero talmente astrusi da non essere nemmeno riconoscibili come tali, da parte di noi umani. A dirla tutta, potrebbe essere già successo e non ce ne saremmo nemmeno accorti.
Forse oggi siamo già in una situazione a quella del fulminante racconto La Risposta, in cui il Supercomputer collegato a tutti i dati dell’universo immaginato da Fredric Brown viene attivato per rispondere alla domanda “Esiste un Dio?” Dopo aver bruciato l’interruttore che permette di spegnerlo, la sua risposta è: “Adesso sì.”