La nuova opera di Amazon Prime Video, The Terror: Infamy, non è molto efficace come racconto horror ma offre un’ottima lezione di storia.
Per parlare di The Terror: Infamy bisogna iniziare dalla Storia, quella con la “S” maiuscola.
Nel primo mattino del 7 dicembre del 1941 oltre 300 aerei giapponesi riempivano il cielo sopra Pearl Harbor, la principale base navale statunitense nel Pacifico. L’attacco fu una sorpresa totale per gli Stati Uniti, nonostante ci sia chi erroneamente sostiene che l’intelligence americana sapesse tutto e abbia lasciato che l’attacco avvenisse lo stesso per avere un casus belli. La flotta di Pearl Harbor, navale e aerea, venne distrutta dall’attacco giapponese, che puntava a stroncare le possibilità di manovra americane nel Pacifico per poter portare avanti la sua conquista dell’Asia, dove diversi territori appartenevano a potenze occidentali.
Così cominciò la Seconda Guerra Mondiale giapponese (nonostante il paese fosse già impegnato da diversi anni nella guerra per il suo progetto di Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale).
Contemporaneamente, soprattutto sulla costa ovest degli Stati Uniti, diverse persone di origine giapponese erano stabilmente residenti nel paese anche da generazioni. Se era sempre esistito del razzismo nei confronti degli asiatici americani, la situazione ovviamente si complicava enormemente: ora i giapponesi erano nemici, reali o potenziali.
Venne messa in dubbio la fedeltà alla bandiera americana e si temeva che collaborassero con il loro paese d’origine. A posteriori verrà reso noto che solo il 3% dei giapponesi americani effettivamente rappresentava una minaccia, mentre due terzi di chi venne internato nei campo erano nati negli Stati Uniti. Inoltre, molti si arruolarono nell’esercito americano, ottenendo onorificenze.
Nel 1942 Roosvelt, allora presidente, emanò l’Ordine Esecutivo 9066. Prima dell’Ordine diverse personalità della comunità giapponese vennero arrestate, e altre si videro congelare i conti. L’Ordine Esecutivo 9066 permetteva all’esercito di deportare da specifiche aree di interesse determinati gruppi di persone ritenute pericolose. Se consideriamo che la popolazione di origine giapponese viveva perlopiù sulla costa ovest, vicino a strutture militari, è facile immaginare in che direzione puntava quest’ordine del Presidente.
Non era infatti fatta alcuna menzione a specifici gruppi di persone, ma a farne le spese furono principalmente i giapponesi e, in misura molto minore, italiani e tedeschi. Su ordine del Generale DeWitt, all’epoca responsabile per l’area ovest degli USA, si decise che tutti i discendenti di famiglie giapponesi della California dovevano essere rimossi dalle loro abitazioni e trasferite in campi appositamente creati. Roosevelt firmò un nuovo ordine, che costituiva un ente deputato a questo: la War Relocation Authority.
Bisognerà aspettare gli anni ’80 per avere delle scuse e l’ammissione che non ci fosse stato alcun rischio militare, ma la decisione dipese da pregiudizi basati sulla razza. Nel ’44 la Corte Suprema dichiarò che: ”La detenzione di cittadini contro cui non ci sono accuse di slealtà o sovversività per un periodo di tempo maggiore a quello necessario a separare gli elementi leali da quelli sleali” andava oltre i poteri della War Relocation Authority. Nel 1988 il Congresso ammise la grave ingiustizia fatta ai giapponesi americani e stabilì un fondo per risarcire le vittime e i loro discendenti.
Ok, fine della lezione di storia contemporanea. Il perché di questa lunga introduzione è chiaro: The Terror: Infamy racconta la storia degli americani di origine giapponese internati in un campo. La peculiarità è che di questa pagina abbastanza buia della storia degli Stati Uniti, primo baluardo delle libertà individuali al mondo, se ne parla pochissimo. Nelle opere di cultura pop è molto raro vedere trattata la questione.
Amazon Prime Video lo fa con una serie horror interessante, che ha tante altre tematiche importanti oltre a quella storica, ma che prima di tutto è recitata e/o realizzata da persone che sono effettivamente state nei campi in oggetto da bambini o che sono discendenti di famiglie che furono deportate. Il cast è infatti composto da americani di origine giapponese che direttamente o indirettamente subirono l’internamento, dando tutto un altro valore all’opera, aumentandone l’importanza perché portatrice di una memoria condivisa da un gruppo che porta sulle spalle un trauma.
La storia di The Terror: Infamy è piuttosto semplice: la famiglia di Chester Nakayama (Derek Mio) sembra perseguitata da uno yūrei, fantasma tipico del folklore nipponico. Un po’ come i nostri fantasmi, si tratta di anime che tormentano i vivi per qualche conto rimasto in sospeso, invece di riposare nell’aldilà. Il fantasma seguirà le vicende personali di Chester, intrecciate con la storia dei giapponesi americani, della loro deportazione e della loro partecipazione alla guerra.
Ci sono poi molti altri elementi in The Terror: Infamy che rendono la serie interessante e affascinante. Oltre alla Storia di questa specifica minoranza ci sono il loro background culturale, le tradizioni e gli spettri che vengono portate dal paese d’origine dai più anziani, il rapporto con il paese ospitante, il razzismo, l’accettazione e la diversità come valore aggiunto.
Il racconto si muove così su due binari, quello della Storia di un popolo in un paese straniero e quello di alcuni membri di quel popolo, un gruppo di famiglie utile a creare uno specchio credibile della minoranza giapponese americana nella sua interezza.
L’aspetto horror di The Terror: Infamy rimane un po’ al margine, quindi. È funzionale a portare negli Stati Uniti quello che è il complesso apparato di tradizioni e mitologia del Giappone, funge metaforicamente da bagaglio ma è anche causa di diversi problemi che il cast incontra nel paese che li ha “accolti”. Per la maggior parte della serie rimane una questione privata, e gli statunitensi si accorgono solo degli effetti della presenza dello yūrei, non comprendendo costa stia accadendo.
Molto interessante è invece la conclusione dell’opera. Attenzione, perché da qui in avanti ci saranno degli spoiler, anche se cercherò di rimanere il più vago possibile. Chester, quello che diremmo il vero protagonista dell’opera, si innamorerà di una ragazza di origine messicana. La questione della minoranza messicana negli Stati Uniti è ancora al centro di diversi dibattiti, basti pensare alla volontà di Trump di alzare muri.
In questo avvicinamento di due culture ai margini della società americana, e nel finale, The Terror: Infamy concretizza l’importanza dell’incontro tra le diverse culture, e il bene che scaturisce dalla condivisione dei rispettivi bacini culturali. Lo yūrei infatti verrà sconfitto soltanto unendo l’antica tradizione magica messicana, la Curandera, che unisce pratiche sciamaniche sud americane con ispirazioni proprie del cristianesimo, e la tradizione magica giapponese. Solo l’unione delle rispettive tradizioni l’avrà vinta sull’antico demone e sul suo rancore.
Ovviamente oltre ai contenuti The Terror: Infamy presenta anche altre qualità che la rendono una serie da vedere assolutamente, come ottima recitazione e regia, l’atmosfera ben ricostruita e qualche colpo di scena molto efficace. Quello che però colpisce di più è certamente il contesto storico e l’importanza di raccontare un momento poco noto del passato recente. L’aspetto horror è infatti, come detto, uno degli elementi più deboli della produzione Amazon Prime Video.
Dopo una prima stagione inquietantissima, The Terror si conferma anche con Infamy una serie da continuare a tenere d’occhio, ora più di prima data la curiosità di scoprire di cosa ci parlerà la terza stagione dopo due capitoli così distanti tra loro per setting e tematiche.