Il mondo del lavoro descritto da The Outer Worlds è ciò che con probabilità accadrà se ci faremo dettare il futuro dalla Silicon Valley.
Per i fan più granitici e di vecchia data del gioco di ruolo, soprattutto quello di stampo Bioware, Bethesda e Obsidian, l’inizio di The Outer Worlds sembrerà qualcosa di già visto, di già giocato. Infatti, avremo a che fare con un avatar da plasmare a piacimento, a seguito di un risveglio improvviso o di una puntuale perdita della memoria, pronto a essere gettato in un mondo da scoprire ed esplorare, senza il fastidio di dover tenere conto della sua vecchia personalità.
Al contrario, proprio come nei giochi degli studi precedentemente citati, il mondo di gioco è profondamente espressivo e descrittivo, stracolmo di personaggi, testi, video e narrazioni ambientali che ci facciano capire come, perché e quando quei luoghi e quelle persone sono diventate come appaiono.
In tal senso, la nostra prima interazione diretta con l’altro in The Outer Worlds diventa paradigma dell’intera esperienza, una sorta di bignami preventivo per instradarci sulla corretta comprensione del mondo in cui stiamo per calarci con anima e corpo. La guardia privata che incontriamo dopo aver mosso i primissimi passi dalla nostra astronave, evidentemente ferita e bisognosa di cure, ci informa del fatto che non potremo procedere nel nostro percorso senza eliminare uno specifico ostacolo di fronte a noi, che lui ha preparato appositamente come trappola per dei predoni.
Nel dialogo che nasce da questa situazione, col quale dovremo cercare di convincerlo a farci passare, emergerà uno specifico tratto caratteriale predominante del personaggio, che sarà poi tipico di quasi tutte le altre figure che incontreremo nel nostro viaggio: una fede cieca, assoluta e viscerale nei confronti delle Soluzioni Spaziali, una delle tante aziende presenti in The Outer Worlds. Una fiducia così rigorosa e ossessiva da rischiare di farlo morire, dato che non può richiedere aiuto (neanche medico) a soggetti non facenti parte dei dipendenti dell’azienda.
Questo primo incontro inquadra con estrema e divertente efficacia il tema del lavoro e della società del futuro secondo Obsidian, o almeno di quella parte dello studio che ha lavorato a The Outer Worlds. Il cittadino, oramai sepolto dall’arrivo di nuove concezione di nazione e stato a seguito dell’esplorazione spaziale dell’umanità, totalmente subappaltata alle imprese, si trasforma velocemente in dipendente e in lavoratore, un individuo che vive in funzione del “privilegio” di poter lavorare per questa o quell’azienda, che gli concede con grazia e amore di poter offrire i suoi servigi in cambio della vita. Letteralmente.
Questa retorica, che sembra ed è effettivamente estrema, e che si concretizza nella vera e propria “schiavitù indiretta” in cui vivono gli operai, per esempio, di Lungacqua (una delle prime città del gioco), non è in realtà lontanissima da ciò che spesso sentiamo dire in televisione, nei giornali, nel quotidiano di ognuno di noi.
Consideriamo culturalmente eroi e grandi cittadini coloro i quali definiscono il valore del soggetto in quanto produttore e consumatore; stimiamo collettivamente figure che pretendono di considerare socialmente migliore chi rinuncia alle ferie rispetto a chi riserva quel tempo per se stesso; difendiamo tagli e condizioni atroci in virtù della ricompensa comunque misera del lavoro, come se venisse concesso dall’alto e non portato avanti ed espanso da chi effettivamente quel compito lo svolge quotidianamente.
Questo genere di fantasie e retoriche imprenditoriali e aziendali odierne sono diventate una vera e propria Legge, in The Outer Worlds: vivremo in un mondo che segue una fede positivista che ha annullato e sorpassato le vecchie religioni, e che vede nel lavoro l’unico strumento per descriversi e per esistere agli occhi della società.
Non è un caso se, nelle varie quest che ci troveremo ad affrontare, i disoccupati saranno paragonati a dei mostri, ai reietti della società, ai criminali più incalliti: in The Outer Worlds la disoccupazione è malattia, perché l’unico motivo per cui si può essere senza lavoro è la mancanza di spirito di sacrifico, di forza di volontà, di capacità di trovare nuovi modi per tirare avanti.
D’altronde, persino prima dell’incontro iniziale con il nostro soldato ferito, il gioco ci mostra che il valore dell’individuo, in The Outer Worlds, viene descritto sulla base del lavoro svolto, del livello aziendale ottenuto e delle conseguenti, ridicole “competenze” riconosciute: le “attitudini”, come da lessico imprenditoriale, daranno delle abilità effettivamente slegate dall’attività svolta, ma in qualche modo legate a certi pregiudizi e preconcetti su quella tipologia di impiego.
Al contrario della maggior parte dei giochi di ruolo, dove sono le caratteristiche personali a dare forma, peso e sostanza al nostro avatar, in The Outer Worlds sin dall’inizio il tipo di compito svolto e le nostre “attitudini” lavorative diranno tanto del nostro personaggio.
Durante le decine di ore complessive richieste per completare il gioco, incontreremo storie di uomini morti in giovane età o da adulti, spezzati dai ritmi e dai tempi del lavoro, incapaci però di capire cosa li faccia stare così male, nonostante abbiano tutto ciò che la società dice che serva: un’occupazione.
Ci sono persino dei casi in cui, nonostante le pratiche aziendali mendaci e assassine (in The Outer Worlds, se ti ammali non devi essere curato perché mostri “debolezza di spirito”), i lavoratori e i dipendenti rispondono con forti accuse alla violenza del giocatore, convinto di star facendo loro un favore. “Ma loro vi hanno tolto la salute!”, sbraitiamo sorpresi, “sì, ma ci danno il lavoro“, rispondono con un certo astio i citta… dipendenti.
Troveremo video, testi, missioni secondarie, principali e alternative totalmente incentrate sul tema del ricatto operato da chi si trova in posizione di controllo e monopolio; relative alla distruzione ecologica di interi pianeti a seguito del mantra della crescita costante; il tema della salute pubblica e non privata è onnipresente, dato che affligge quasi ogni membro delle varie aziende con cui interagiremo.
In tutti questi casi, quella di Obsidian pare più essere una tragica profezia che non assoluta finzione nata dalla creatività della loro penna, dato che tutti i temi precedentemente citati sono di tragica contemporaneità, e la loro risoluzione appare difficile per gli stessi motivi di quelli presenti nel gioco: una retorica iperprotettiva nei confronti delle aziende, i cui fondatori vengono definiti come visionari e geni, posti su un piedistallo rispetto alla comune “plebe”, che deve anzi ringraziare per le concessioni che questi “colossi” del pensiero e dell’immaginazione ci lasciano, come le briciole di pane per i più affamati.
A proposito di immaginazione: il mondo della creatività, in The Outer Worlds, è oramai quasi scomparso, dato che la produzione ha divorato il tempo dei lavoratori, che trovano invece intrattenitivo offrire ulteriore lavoro alle aziende, poiché solletica la loro percezione di essere finalmente considerati come degni dipendenti, non più reietti ma membri produttivi della società. Hanno dunque perso ogni o quasi capacità di inventare il futuro.
In The Outer Worlds è dunque impossibile non percepire il costante richiamo ai temi del lavoro, del suo impatto sulla società odierna e della retorica imprenditoriale da parte del team di Obsidian: non siamo di fronte a qualche mezzuccio retorico per far parlare del prodotto (come le vicende sulla violenza in Call of Duty), ma abbiamo a che fare con un umoristico e al contempo tragico racconto di un futuro distante nei mezzi tecnologici mostrati, ma incredibilmente vicino nei valori culturali espressi.