Dylan Dog 400: E ora… L’apocalisse. La fine di un mondo e la sua rinascita
Dylan Dog 400. La meteora è arrivata. E solo la Morte in persona sa quanto l’abbiamo aspettata. Il suo viaggio attraverso il cosmo, di questo corpo celeste grande due volte il Texas rigettato dal male primigenio dell’Universo, è durato nei fatti un anno preciso, visto che proprio al Lucca Comics and Games del 2018 abbiamo avuto modo di mettere mano sul primo albo della saga che doveva sconvolgere il mondo di Dylan Dog.
L’albo 387: Che regni il Caos!, realizzato da Roberto Recchioni in compagnia di Leomacs e Marco Nizzoli, ci aveva fatto pregustare l’armageddon imminente depositando sulla nostra spalla una tentacolare scimmia seguace di Albione.
Un anno è passato da quel Lucca delle meraviglie e ora un altro Lucca è arrivato, dove gli albi di Dylan Dog in anticipo sulle edicole sono stati addirittura due: il 399, con al centro il matrimonio dell’anno, e il 400. E finalmente possiamo prendere di petto la scimmia polipo, fronteggiarla e metterla al bando dopo dodici mesi estenuanti, fatti di continui saliscendi che hanno fatto venire il batticuore ai fan dylaniati. Ma solo per sostituirla con un’altra.
Perché se questo 2018/2019 costellato da orrori catastrofici vi è sembrato lungo, quello che deve venire rischia di farvi impazzire definitivamente.
Qui un tempo era tutta Craven Road
Prima di passare al 400 di Dylan Dog, allo schianto intergalattico della discordia e alle nozze dell’anno, urge un ripassino su quello che è stato e che sarà negli anni avvenire ricordato come il Ciclo della Meteora.
Sul prima, sul Rilancio ad opera di Roberto Recchioni ne avevamo già parlato a profusione in questo speciale, quindi magari andate a dargli un’occhiata. Anche perché per capire l’esatta portata di questa saga che ci ha tenuti incollati negli ultimi 365 giorni è necessario, quanto meno, ricordarsi da dove è partita la nuova gestione, quali sono state le sue premesse e i risultati portati a casa, sia quelli buoni che quelli meno buoni.Il Rilancio, amato e odiatissimo, disprezzato e osannato, atteso e temuto, è stato capace di attirare su di sé un’attenzione mediatica come non se n’era mai vista, polarizzante e polarizzata fino a sfiorare la schizofrenia. In realtà prevedibile, per quello che è ormai da decenni nientemeno che il secondo fumetto Bonelli dietro al monumentale Tex.
E anzi si può che in un certo senso questo saliscendi emotivo, questo alternarsi tra un sì e un no, tra è una cagata pazzesca ad è un capolavoro epocale, può essere il giusto punto di partenza per contestualizzare la vita recente di Dylan, oltre che il nostro tempo in generale.
E, a ripensarci, fa uno strano effetto. Fa strano vedere le differenze, le distanze che ci separano da quel grigio settembre 2013, in cui fu formalizzato il passaggio di testimone da Giovanni Gualdoni a Roberto Recchioni. In sei anni è cambiato praticamente tutto e lo ha fatto almeno un paio di volte, non solo nel fumetto italiano ma anche al di fuori.
Nel lungo percorso che ci ha portato dall’inizio del Rilancio al 400 di Dylan Dog abbiamo assistito alla rivoluzione del graphic novel, all’ascesa di giovani case editrici più moderne e meno tradizionali, guidate da redazioni intraprendenti e da star costantemente sotto i riflettori, come Zerocalcare, Gipi e Labadessa.
Abbiamo visto il declino, forse definitivo, delle edicole, del meccanismo distributivo che ha portato il fumetto nelle mani dei lettori praticamente dall’alba dei tempi e il consolidarsi delle fumetterie.
Ma, soprattutto, abbiamo visto gli eroi di carta diventare liquidi, emigrare con una leggerezza quasi sorprendente da un medium all’altro, transmediali nella forma e nella sostanza.A ripensarci ora, vengono le vertigini. Praticamente, ci sono passate sotto gli occhi rivoluzioni o presunte tale a velocità record. Da quel settembre 2013 sembra passata un’eternità e siamo tutti diversi, forse perfino troppo per non provare uno strano senso di spaesamento. Siamo cambiati noi lettori, è cambiata la Bonelli, è cambiato il mondo, è cambiato il fumetto, è cambiato Recchioni e addirittura Dylan.
“Addirittura” perché, se era senza dubbio impossibile rivoluzionare il personaggio dalla sera alla mattina, l’evoluzione di Dylan Dog è andata abbastanza a rilento, per stessa ammissione dei vertici di Via Buonarroti. Ma alla fine ci siamo e anche per lui, per natura così poco incline alle novità nonostante la sua indole imprevedibile, il suo attaccamento al proprio microcosmo, alle sue abitudini, sta per soffiare un vento nuovo. E viene direttamente dallo spazio.
Alla ricerca della continuità mai avuta
Il 400 di Dylan Dog non è solo l’ennesimo celebrativo a doppio zero ma anche il finale della saga che abbiamo visto dipanarsi in quest’ultimo anno, che è a sua volta frutto di una lunga gestazione. In realtà, il Ciclo della Meteora è la prima idea che Recchioni ha presentato quando è stato scelto per risollevare le sorti dell’Indagatore in crisi nel settembre del 2013.
L’idea, non nascosta, era quella di lanciare un ciclo di avventure strettamente collegate che, sulle orme delle moderne narrazioni televisive, tenesse incollato il lettore per 365 giorni consecutivi. Ma anche, guardando direttamente in casa, a quanto fatto con Orfani, Morgan Lost e Dragonero, e le ultime produzioni originali Bonelli, tutte indirizzate verso un certo concetto di “continuità”.
Oggi sappiamo che, per varie ragioni, questo ambizioso progetto ha dovuto aspettare il momento giusto, anche perché era sicuramente più difficile farlo con un personaggio nato per essere libero da qualsivoglia vincolo, per essere fruito sempre e comunque anche dal lettore occasionale.
Abbiamo dovuto aspettare la fine di un tragitto, un percorso che cambiasse radicalmente la struttura stessa di Dylan. Ed è arrivato in un momento in cui, sul piano dell’immagine, è stato ampiamente rivitalizzato, grazie ad una serie di geniali operazioni capaci di tenerlo sempre sulla cresta dell’onda, sempre sulla bocca di tutti. Ultima, la provocazione geniale con la copertina del 399, di fatto il preambolo al numero 400 di Dylan Dog, rivelata proprio il primo giorno di Lucca.Poi, certo, nel mezzo ci si è messo pure l’impensabile ritorno di Tiziano Sclavi ad aggiungere quel certo nonsoché in mezzo a tante belle cose fatte, tipo i festeggiamenti per il trentennale, l’incursione di un mostro sacro come Dario Argento, i crossover (primo assaggio del futuro Bonelli-Verse), collaterali da edicola, le ristampe, le nuove proposte, nuovi arrivi (come quello alle copertine di Gigi Cavenago), senza dimenticare la prossima serie tv e un altro crossover di un certo peso che sarà ambientato in una certa Gotham City.
La sensazione, ormai, è che tutto possa succedere ogni volta che c’è di mezzo Dylan Dog.
Ma se sul piano della comunicazione sono stati ottenuti risultati strabilianti, sul piano della qualità ci sono stati troppi alti e bassi.
Una meteora sulle montagne russe
Per lungo tempo, su Dylan Dog, abbiamo assistito al lato oscuro dell’imprevedibilità e del bipolarismo sopra menzionati: ogni numero, puntualmente arrivo in arrivo alla fine del mese, poteva essere un potenziale capolavoro o un potenziale brutto ricordo. Una sorta di fumetto di Schrödinger, tanto per fare una metafora spicciola e diretta.
Attenzione però, non per quanto riguarda i disegni: da quel punto di vista Dylan può contare sul non plus ultra degli artisti italiani, ma questo praticamente fin dal 1986. Il problema erano (e continuano ad esserlo in parte anche sotto la Meteora) le sceneggiature.
Scrivere Dylan è un lavoro infame, ce ne rendiamo conto, non solo perché di lì è passato un autore come Tiziano Sclavi, anche per il fatto che l’intero impianto narrativo dell’inquilino di Craven Road è arrivato svuotato e stanco alla prova del nuovo decennio.
Questo character, nato per intercettare tutte le forme di orrore del suo tempo, dava l’impressione di aver perso le coordinate dei tempi nuovi diventando l’oggetto cristallizzato di un’epoca ormai conclusa. Ma Dylan non è Tex, ancorato per sempre ad un immaginario epico e mitico, bensì un contenitore nato per volontà stessa del suo creatore per essere il riflesso delle paure degli autori, dei lettori, del mondo intorno a loro.
Recchioni lo aveva capito e aveva riproposto questa formula, aveva messo in Dylan il suo orrore più grande, quello della malattia, tirando fuori Mater Morbi, esordio di un personaggio diventato epocale e che ci ha portati dritti a questo punto.
Gli altri sceneggiatori non ci sono riusciti o lo hanno fatto a sprazzi, per questo il curatore ha cercato di sparigliare le carte in tavola aggiungendo elementi nuovi (Rania, Carpenter, John Ghost, il pensionamento di Bloch), per spingerli soprattutto ad osare. Il Ciclo della Meteora, in questo senso, doveva essere la famosa prova del fuoco, per vedere se finalmente la scrittura di Dylan poteva svoltare nella giusta direzione. La risposta, ancora una volta, è stato un sonoro e potente nì. Anzi, forse un leggermente più positivo “so”.
Il Ciclo della Meteora, infatti, ha continuato l’andamento da montagne russe del Rilancio. A storie memorabili ne sono seguite altre dimenticabili, senza contare che gli elementi di continuità, anche i più interessanti seminati proprio in Che regni il Caos!, sono stati poco sviluppati. Tant’è che più che 12 storie in continuità si ha avuto l’impressione di assistere a 12 storie estranee tra loro, fatta eccezione per quei blandi elementi di raccordo utili più ad inquadrarli all’interno di una cornice temporale specifica che a metterli in diretta successione.
Tuttavia, c’è un ma (ed è un ma di quelli grossi) e mi sento di poter dire una cosa: al netto dei difetti e della coazione a ripetere che sfiora il patologico, complessivamente gli alti di questo ciclo rispetto al pre-387 sono un po’ più alti mentre i bassi sono un po’ meno bassi.
C’è stato quindi un balzo tangibile, anche se forse non sentito come si sarebbe aspettato.
I vecchi difetti, i ben noti imbarazzi e i peccati originali dell’epoca cristallizzata non sono scomparsi, dunque. A migliorare, per fortuna, sono stati gli aspetti positivi portati dalle novità, il maturare dei semi piantati 6 anni fa e, soprattutto, la crescita del ruolo di Recchioni che forse ha capito come traghettare Dylan nel futuro.
La sensazione che permane, al termine della lettura di Dylan Dog 399 e Dylan Dog 400 (soprattutto il 400), è che ci sia stato un cambio di prospettiva proprio da parte del curatore. Sembra che abbia avuto il giocattolo tra le mani tanto a lungo da essere arrivato ad un’epifania, che abbia trovato la risposta alla domanda che lo perseguita (e che ha più volte esternato): come raccogliere l’eredità di Sclavi?
La risposta la trovate nel 400, dopo che il quesito era stato fatto nel 361, e potrebbe sorprendervi. Del resto, è probabile che abbia sorpreso anche lui.
In realtà, la trovate in parte anche nel 399: Oggi sposi, che compone col suo successore un dittico programmatico capace di chiudere e aprire al domani, come del resto sottolineato dal fatto che le prime tavole del 399 le disegna Corrado Roi, così come le ultime del 400. In mezzo: un matrimonio, un’apocalisse, un paio di morti eccellenti e metaforiche, metatestuali e metafumetto, insieme praticamente al meglio del meglio di cui può disporre Dylan Dog.
Il matrimonio dell’anno… L’ultimo
L’albo 399, Oggi sposi, sempre per riprendere il discorso sul lavoro fatto a livello di comunicazione, ha fatto parlare di sé praticamente in ogni dove e in ogni quando grazie all’intervista rilasciata su Repubblica con tanto di copertina, che ha rivelato al mondo che la misteriosa sposa di Dylan altri non è che… Groucho!
Subito c’è stato chi ha gridato allo spoiler, al buonismo, al complotto LGBT, a Soros e chi lo ha fatto è caduto con tutte le scarpe nella geniale provocazione fatta dalla Bonelli e da Recchioni. Praticamente, la trollata del secolo che (lo ammetto) in un primo momento ha buggerato pure me. Ma basta leggere la storia per rendersi conto che non è assolutamente come pensate e che, appunto, siete stati gabbati.
A cominciare, ovviamente, dal matrimonio. Non è niente di quello che vi aspettate, anzi, alla fine viene da chiedersi perché qualcuno non ci avesse già pensato. Prima di questo memorabile evento, il 399, prima del numero 400 di Dylan Dog, si pone davvero come la conclusione ideale non solo del Ciclo della Meteora ma anche come l’intero Rilancio.
Non a caso, abbiamo un’interessante alternanza nella tavole tra i disegnatori appartenenti alla “vecchia guardia”, come Roi, Angelo Stano e Nicola Mari e i nuovi che si sono venuti fuori proprio col Rilancio, come Marco Nizzoli (in realtà un vecchio-nuovo), Luca Casalanguida e Sergio Gerasi. Aspetto, questo, da non sottovalutare perché sembra che ormai sia finito il tabù delle 94 pagine illustrate da un solo disegnatore e questa scelta potrebbe rivoluzionare l’intero impianto produttivo di Dylan.
Inoltre tornano tutti i personaggi che abbiamo imparato a conoscere, scopriamo chi ha fatto cosa e perché, chi era collegato a chi e soprattutto l’esatta caratura di John Ghost, che non è solo una proiezione di Recchioni e un emissario del Caos.
John Ghost è il nostro nuovo nemico, anche se non lo sapete, un’entità che rappresenta il cambiamento e la sua forma più violenta e machiavellica. Lo stesso cambiamento che in questi tempi dove tutti noi cerchiamo un po’ di stabilità e un po’ di serenità, si è fatto più spaventoso della Morte stessa. Il cambiamento, da forza propulsiva per il miglioramento, scontata, inevitabile e quasi sempre attesa, è diventato il nostro incubo peggiore, un nuovo incubo da scongiurare e combattere.
Ancora di più per i protagonisti dei fumetti, per natura tendenti alla cristallizzazione e avversi ad ogni modernizzazione. E, guarda caso, sono proprio gli eroi dei fumetti gli invitati al matrimonio dell’anno.
Recchioni però, alla fine, ribalta il paradigma e ci dice chiaramente che più che i personaggi sono i lettori stessi ad odiare il nuovo, tant’è che alla fine Dylan Dog cambia. E questo cambiamento ci porta dritti all’apocalisse, al 400, alla rinascita e… Alla morte.
Dylan Dog 400: E ora… ?
Il 400 di Dylan Dog, E ora… L’apocalisse!, per chi non se ne fosse accorto nasce e finisce citando un film che guarda caso proprio di recente ha compiuto 40 anni: Apocalipse Now. E nella citazione, nel suo essere fin dal titolo apertamente post-moderno, trova la sua principale ragion d’essere mettendo insieme anche il metafumetto, la celebrazione e… Tiziano Sclavi.
Recchioni, aiutato da uno Stano straordinario, migliorato tantissimo nel tempo, orchestra un albo talmente sclaviano da essere più sclaviano di Sclavi stesso. Prende il DNA dei grandi celebrativi e dei numeri storici, come Morgana, Il numero 100 ma anche il 300 (Ritratto di famiglia), lo smonta, lo rielabora e lo filtra realizzando un tripudio di post-moderno da essere così tanto “post post” da fare il giro e diventare qualcos’altro.
E dimostra, lo ripeto, che su certi aspetti tipicamente sclaviani è addirittura più bravo dello Sclavi originale.
Recchioni compie dunque un atto sacrilego, impensabile: non solo imita Tiz, colui che ha di fatto inventato il postmodernismo in Italia, ma lo supera. Uccide il suo padre spirituale, l’uomo che gli ha lasciato l’eredità tra le mani, si conquista il suo spazio e non è un caso che l’intera storia abbia un finale molto preciso.
Ammazza (anche se non seppellisce) Sclavi e fa una dichiarazione forte, che rischia di lasciare il segno: d’ora in poi, Dylan Dog sarà più suo di quanto non sia mai stato prima. Per questo, il 400 può anche essere visto come il vero finale della serie, di tutte le avventure che dal 1986 ci hanno accompagnato fino ad oggi. Ed è anche un nuovo inizio. Per cosa, non si sa.
Ma si sa che Recchioni ha deciso di prendere il comando, ha scelto di osare.
Se siete contro il rilancio, se non stimate il suo lavoro di o se semplicemente vi sta sulle scatole, vi conviene abbandonare Dylan adesso e risparmiarvi mesi a sguazzare nella bile.
Altrimenti, se anche voi volete seguire il suo esempio, se anche voi volete ammazzare vostro padre e guardare al futuro, salite sul galeone.