La regista e sceneggiatrice Céline Sciamma ci porta a contemplare attoniti la sua opera, bella come un dipinto
Partire dallo sguardo. È la regola dell’arte, è la regola dell’amore. Ricercare in primo luogo l’essenza, tentare anche invano di coglierla, piano piano, mentre si districa per sfuggire da gabbie e restrizioni della vista, cercando di rimanere libera e, troppo spesso, inafferrabile.
È dagli occhi delle due protagoniste che Céline Sciamma comincia la propria storia, che tratteggia i contorni di un femminile e un femminismo storico che si fa etereo nell’impossibilità di compiersi, eppure non ha paura di continuare ad essere inseguito, di inseguire, di catturare con gli occhi quello che la società non permetterà, ancora per molto, di poter acchiappare con la carne e con lo spirito.
È dall’artista alla modella che intercorre il legame dello sguardo di Ritratto della giovane in fiamme. Il provare a rubare frammenti dell’aspetto, dei lineamenti, della silhouette di colei che costantemente vuole scappare dalle costrizioni di una famiglia e di un mondo costituito ancora da determinati canoni relazionali.
Una donna che finisce per posare per quell’unico confronto paritario e sentimentale che saprà di non poter mai più eguagliare in altro modo, in una rincorsa che giungerà alla scoperta di sé attraverso l’altra, attraverso l’arte, attraverso un erotismo ricambiato e onesto che non sarà mai succube o prevaricatore.
Arte e amore: comprendere l’oggetto del desiderio
Perché Héloïse (Adèle Hainel) sa il destino che le toccherà alla conclusione del ritratto. Conosce fin troppo bene lo scopo di un gesto simile, di un dono per un futuro sposo che lei non vuole minimamente considerare. Eppure deve. Deve sottostare alle volontà della madre. Deve prostrarsi al buon costume che non accetterebbe mai l’amore tra due giovani donne.
Amore che è Marienne (Noémie Merlant) a donarle, a riporre nei bozzetti, nei disegni e nelle pennellate che la pittrice fa di lei e per lei, cercando di scampare alla sorte matrimoniale privando l’artista della propria fisionomia, ma finendo per regalargliela come gesto di scambio personale, come offerta di chi vuole completamente donarsi all’altra persona.
E, di contro, è Marianne stessa a inebriarsi della natura dell’oggetto del suo lavoro, della figura che non riuscirà completamente a riportare su tela se non fin quando sarà riuscita a comprenderla, a conoscerla, a possederla come se fosse realmente sua. Un rubare pezzettini di Héloïse senza permesso prima di poter godere del suo abbandono totale, concedendosi sia al desiderio che all’arte, potendo finalmente autorizzare il ritratto a lasciare una propria traccia, facendo in modo che venga improntata con vitalità e ardore.
L’innamoramento in Ritratto della giovane in fiamme
È così che Ritratto della giovane in fiamme si lascia osservare dallo spettatore, che scruta i veloci accenni delle due protagoniste sentendone ammontare, gradualmente, la brama. Imparare a memoria i gesti, le fisionomie. Inquadrarle nella naturalezza di una passeggiata, di una camminata sulla spiaggia, di una corsa ai bordi di una scogliera, per sentirsi, almeno una volta, liberi.
Un innamoramento che prende il proprio tempo per coltivarsi, che ribolle lentamente, sopito, accrescendo istante dopo istante, aumentando di momento in momento, fino a non potersi più contenere, portato all’apice della voglia e della cupidigia e lasciato sfogare nell’esperienza d’amore più sincera e piena di tenerezza che le due donne potranno mai provare.
Ed è in questa maniera che il pubblico è portato a sentire la smania amorosa di Marianne e Héloïne. Un ampliarsi che parte sopito, nonostante la già scattante scintilla, che diventa impossibile da contenere facendo sopraggiungere, a proprio tempo, quell’impeto oramai irrefrenabile.
Come per quell’accenno di fuoco che, fin proprio dal principio, popola gli angoli, la dimora e illumina i volti nell’oscurità dei personaggi. Un elemento che acquisterà il proprio spazio nella pellicola, che brucerà proprio quando il voler rovesciarsi l’una nell’altra sarà più di un mero sogno, ma un pensiero concreto di ciò che l’artista vuole dalla sua modella e la modella dalla sua artista.
L’incanto etero della messinscena di Ritratto della giovane in fiamme
Nella povertà artigianale di una scenografia che è perfetta pur sottratta, poco impreziosita, Ritratto della giovane in fiamme fa spazio alla bellezza della semplicità, curatissima nella sua messinscena. La spontaneità degli ambienti riflette le emotività delle protagoniste e le riporta su grande schermo, facendo dello spettatore un osservatore partecipante, ma rispettoso di quel privato che le donne edificheranno nel loro stringersi, accarezzarsi vitalmente o spogliarsi tra le lenzuola.
È poi compito della regia isolarne i dettagli, renderli marginali agli angoli dell’inquadratura, eppure farli percepire come fondamentali per l’estetica luminosa ed diafana dell’opera.
Rimanere attoniti di fronte alla purezza armoniosa, coerente, incredibilmente disinvolta di Ritratto della giovane in fiamme è il primo passo per entrare a far parte dell’incontro tra le meravigliose Noémi Merlant e Adèle Haenel, per rimanerne stupiti davanti all’incanto di una pellicola che si fa essa stessa dipinto.
Ed è in questo modo, come in amore, che dobbiamo guardala: fermandoci un attimo a contemplarla, tentando di apprenderne il significato e il tratto, svelarne i piccoli segreti sotto la passata di colore per poi innamorarsene, perdutamente.