Abbiamo scelto per voi i migliori giochi del decennio che sta per concludersi!
I dieci anni appena trascorsi sono stati fondamentali per i videogiochi, ed è quindi una ghiotta occasione per cercare di scegliere i migliori venti videogiochi del decennio.
Abbiamo visto avvicendarsi due generazioni di console decisamente importanti, e abbiamo visto i giochi indipendenti raggiungere un’importanza inimmaginabile quando iniziarono a fare capolino su Xbox Live Arcade. Contemporaneamente le basi che si erano gettate con Xbox 360 e Playstation 3 con le prime features online hanno dato i loro frutti, ampliando a dismisura i vari servizi collaterali disponibili sia su console che su PC, concorrendo ad ampliare un mercato che ad oggi pone il videogioco come industria più remunerativa dell’entertainment.
A chiusura di un decennio così pregno ci siano chiesti quali fossero i videogiochi più importanti usciti, e dopo uno sforzo che ha coinvolto tutta la redazione videogiochi di Stay Nerd siamo usciti con questa lista realizzata collettivamente e democraticamente.
Inoltre, a seguire, troverete il videogioco preferito degli ultimi anni di ogni redattore, scelto perlopiù di pancia, senza ricercare (nei limiti del possibile) l’oggettività come si è fatto invece per i 20 giochi che trovate qui sotto!
I migliori 20 videogiochi del decennio (in ordine sparso)
- The Legend of Zelda: Breath of the Wild
- Dark Souls
- The Last of Us
- The Witcher 3
- Death Stranding
- Red Dead Redemption 2
- Journey
- Super Mario Odissey
- Minecraft
- God of War
- GTA 5
- Fortnite
- Hollow Knight
- Persona 5
- Super Mario Galaxy 2
- P.T.
- Life is Strange
- Portal 2
- Destiny
- The Witness
I videogiochi preferiti di questo decennio dai membri della redazione!
Disco Elysium – Luca Marinelli Brambilla
Disco Elysium mi ha stupito così tanto che in qualche modo ho ritenuto necessario farlo entrare tra i giochi del decennio. È uno di quei pochi giochi dove l’unico difetto è che prima o poi finisce. Un RPG tradizionale nelle intenzioni che poi non è per niente tradizionale nello svolgimento. Un gioco con una scrittura sopraffina sia dal punto di vista formale che contenutistico. Un gioco artisticamente incredibile.
Soprattutto, uno di quei giochi che tra qualche anno ricorderemo come uno degli spartiacque del gioco di ruolo occidentale, e che probabilmente si posizionerà come nuova pietra angolare dopo Planescape: Torment, perché con questo condivide una maturità contenutistica, una carica rivoluzionaria e una consapevolezza dei propri mezzi da parte del team raramente individuabile altrove (e ancor più raramente individuabile in un team alla sua opera prima).
Fortunatamente è uscito un paio di mesi fa, altrimenti avrei dovuto aspettare altri dieci anni per avere una buona scusa per celebrarlo come merita.
Vanquish – Davide Salvadori
Semplicemente lo shooter in terza persona migliore in assoluto, capace di farci sentire imbalsamati e limitati in qualsiasi altro esponente del genere. Una dinamicità e una frenesia d’azione mai più replicata, un level design e una quantità di manovre possibili degne di un sofisticato action puro.
Vanquish prende la formula dello “sparamuretto” sdoganata da Gears of War velocizzandola all’inverosimile e dandoci una sensazione di libertà, per quel che riguarda la gestione degli spazi, che rende ogni campo di battaglia il palcoscenico ideale per mettere alla prova i nostri riflessi e la nostra creatività d’approccio.
In Vanquish infatti negoziare le distanze con i nemici, sfruttare il boost e gestire il suo cooldown, cambiare al volo l’arma più adatta, considerare le verticalità e particolarità dell’arena, sono le basi che danno vita a pirotecnici scontri a fuoco che nemmeno per un secondo scoprono il fianco a imprecisioni nei comandi o della struttura di gioco, e che rendono anche la centesima sessione di gioco sempre appagante e divertente.
Tutto condito da un comparto tecnico e artistico conciso ma impeccabile. Mikami ci ha regalato con Vanquish uno dei più riusciti sodalizi tra videogame moderno ed esperienza hardcore arcade giapponese. A breve lo potrete anche rigiocare su Playstation 4!
P.T. – Sharif Meghdoud
Uno dei giochi “scalpore” del decennio è stato sicuramente P.T., ovvero il playable teaser del nuovo capitolo di Silent Hill, che avrebbe visto alla direzione il papà di Metal Gear, Hideo Kojima, e il regista messicano Guillermo Del Toro.
Il motivo della scelta di questo mini titolo è per la sua estrema forza narrativa e per l’intricato mondo di teorie e cospirazioni che gli sono nate attorno dal giorno dell’uscita nell’ormai lontano 2014. Sebbene l’opera sia completabile in poco più di mezz’ora, molti rimasero immersi nei complessi rompicapi di Kojima per ore e ore, se non per giorni. Il titolo non è altro che un horror in prima persona, dove verremmo richiamati a interpretare un uomo intrappolato in un loop spazio-temporale e narra la storia dell’omicidio-suicidio di una famiglia da parte del padre.
L’estrema forza e importanza di P.T. si trova infatti nel tessuto narrativo del gioco. Pochi titoli in questo decennio sono riusciti a trattare temi delicati e tremendamente attuali come P.T. Alla base dell’opera troviamo infatti il delicato tema dei sempre più numerosi casi di famiglie sterminate da parte del padre, con relativo suicidio, causate principalmente una povera situazione economica e da un’ormai marcio sistema capitalistico patriarcale.
This War Of Mine – Lorena Rao
Nell’immenso oceano videoludico del decennio, leggere di This War of Mine potrebbe sorprendere. Si tratta di una piccola produzione polacca, uscita nel 2014, che racconta dell’assedio di Sarajevo durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina del 1992. Potrebbe quindi sembrare l’ennesimo gioco a tema bellico, in cui sparare i nemici per uscirne vincitori.
E invece no, l’innovazione di This War of Mine sta nella sua capacità di raccontare il conflitto bellico da un punto di vista inedito e sofferente: quello dei civili. Il gioco ci porta all’interno di una casa abbandonata, abitata da sopravvissuti che attendono – e sperano – la fine dell’assedio. Uomini, donne (e bambini con l’espansione di Little Ones) uniti nella spietata sofferenza della guerra, tra la ricerca spasmodica di risorse per sfamarsi, per avere un letto in cui giacere, per curarsi dalla malattia. Le variabili da tenere in conto sono tante, così come sono tante le ripercussioni delle nostre scelte in sede di esplorazione.
Rubare le medicine per curare nostra figlia sempre più debole o lasciarle ai suoi proprietari, una coppia di anziani disarmata e malata? La nostra morale viene costantemente messa in dubbio, ferendoci nell’animo. Questo perché This War of Mine non usa la guerra per divertire, bensì per far riflettere, e lo fa con grandiosa maestria.
Fire Emblem Three Houses – Mattia Portunato
Quando ho inserito la cartuccia di Fire Emblem: Three Houses nella mia Switch mi aspettavo di trovare un solido JRPG strategico animato dal solito, familiare canovaccio. Quello che non mi aspettavo era di trovare un intrigante dramma filosofico – politico e una riflessione sulla guerra.
Grazie alla divisione del gioco in quattro storyline diverse, ciascuno del trittico di personaggi viene analizzato da un diverso punto di vista, sia positivo che negativo, offrendo accurati ritratti a 360 gradi delle loro ideologie e motivazioni.
L’ingerenza politica di una chiesa menzognera, un sistema di classi sociali ingiusto ed i drammi personali di giovani studenti costretti a dover impugnare le armi contro familiari o amici sono gli ingredienti di un titolo maturo e completo che mi ha stregato, complice anche un gameplay e una profondità strategica e di crescita dei personaggi mai vista nella serie finora.
Shenmue III – Ismaele Mosca
Tra i tanti giochi usciti in questo decennio, se proprio dovessi scegliere quello più significativo a livello personale non potrei che dire Shenmue III.
In primis perché sono particolarmente legato all’epopea di Yu Suzuki, per cui l’arrivo di quel gioco ormai dato per spacciato è stato motivo di gioia immensa per il sottoscritto. In secundis perché si tratta di un’opera conservativa di una formula di gioco immersiva a me tanto cara, da preservare piuttosto che mutare: nessun indicatore sulla mappa, niente che ti accompagni per mano al raggiungimento del tuo obiettivo; tutto è nelle mani del videogiocatore che con fatica, dedizione e sacrificio deve arrivare alla meta ambita.
Un prodotto che premia il videogiocatore, sempre. Qualsiasi siano le sue azioni ci sarà sempre una “ricompensa”. Shenmue III non è il titolo che inserirei in un’eventuale lista dei giochi del decennio proprio a causa dei limiti produttivi che si porta dietro a causa di uno sviluppo nato grazie ad una campagna Kickstarter ed un budget quindi risicato. Al contempo, però, è l’opera che mi ha lasciato qualcosa in più in questi dieci anni, poiché veramente unica, che sa essere ancora attuale nonostante tutto. Un vero miracolo che prende vita. Questa è la magia di Shenmue.
The Binding Of Isaac – Francesco Paternesi
In genere non apprezzo molto le classifiche, ragion per cui ho preferito non eleggere i miei dieci giochi del decennio anche solo per evitarmi sensi di colpa nei confronti di eventuali gemme giocate e non elencate.
Però un titolo del decennio a cui sono affezionato ce l’ho, un gioco sul quale ho passato un numero spropositato di ore e che, a suo modo, mi ha fatto compagnia soprattutto nei momenti personali più bui e oscuri degli anni ’10: The Binding of Isaac.
Un titolo originariamente del 2011 ma che ho effettivamente giocato nel 2014 su PS4 e poi ancora su Switch per un totale di oltre 700 ore, un roguelite dove ogni partita è sempre diversa e imprevedibile, immersi in un mondo dove bullismo, fanatismo religioso, fluidi corporei e identità sessuale si mescolano dando vita ad un universo terrificante e schizofrenico. Riflessi, abilità, strategia e quel pizzico di fortuna onnipresente mettono alla prova il giocatore grazie a un meta sviluppato ad arte e decine di modi possibili per sopravvivere, o morire.
Doom (2016) – Giovanni Ormesi
Il tempo è tiranno e il numero di caratteri lo è ancor di più, quindi non mi soffermerò sull’estrema difficoltà insita nell’atto di scegliere un solo gioco in una decade così densa e andrò dritto al punto: Doom, quello del 2016 ovviamente.
Id Software è riuscita nell’impresa di realizzare un reboot che fosse, allo stesso tempo, fedele all’originale e moderno, ma senza cadere nella tentazione di aggiungere autohealing, cover system e altre amenità che ne avrebbero “corrotto” lo spirito. Ne è scaturito un instant classic, graziato da un gunplay eccezionale, coadiuvato da un sistema di attacchi melee che rende l’azione davvero frenetica, superando gli stilemi del run and gun.
In un’epoca in cui il multiplayer in rete è l’elemento fondamentale di uno shooter, io mi sono innamorato del capolavoro di id Software senza nemmeno avere a disposizione un abbonamento Live Gold/PS Plus per saggiarne il comparto online.
D’altro canto, è il corposo single player la dimensione in cui Doom dà il meglio di sé, come da tradizione della grande scuola FPS anni Novanta, traghettata nella modernità – ma forse è già il caso di dire postmodernità, anche in ambito videoludico – da questo gioco incredibile, anche su un piano meramente tecnico.
Crash Team Racing Nitro Fueled – Federico Galdi
Pur non rientrando tra i migliori giochi del decennio una menzione d’onore spetta a un titolo uscito negli ultimi sei mesi della decade. E, stranamente, parliamo di un titolo “remastered”: si tratta di Crash Team Racing Nitro Fueled.
Pur trattandosi di una versione nuova di un classico del 1999 ci troviamo di fronte a un gioco davvero ben realizzato. Il CTR del 2019 non si limita a ricalcare quanto fatto dai dal gioco originale, ma innova, trova una propria strada per riuscire a essere unico nel suo genere. Un gioco accattivante, che con il continuo rilascio di contenuti gratuiti è stato capace di conquistare l’affetto dei giocatori, vecchi e nuovi.
In un mondo dove le remastered sono all’ordine del giorno e dove tante, troppe case videoludiche scelgono di puntare sull’usato sicuro, va senza dubbio lodata la scelta di realizzare un gioco capace di essere qualcosa in più di una bella copia, un titolo che si pone anche come base per il futuro rilancio di un brand.
Her Story – Luca Parri
Ho scelto Her Story per la capacità di rendere l’assenza di interazione diretta e di intervento sulla vicenda una vera e propria meccanica. Giocare a Her Story mi ha portato più volte a domandarmi fin dove quel che stavo facendo fosse indagine e quando, invece, si stava trasformando in voyeurismo fine a se stesso, in pettegolezzo curioso tipico della cronaca nera.
Sam Barlow è riuscito nell’intento di creare un contesto in cui la passività, la mancanza di ogni possibilità di modifica dell’andamento, è il vero perno ludico sul quale tutta la produzione ruota e brilla. Quello che normalmente viene evitato in un videogioco diventa forza pulsante con cui spingere chi gioca a dubitare addirittura se proseguire o meno con la storia, iniziando a pensare che forse si stia spingendo troppo in là con la curiosità finendo in questioni che coinvolgono troppo i personaggi e troppo poco lei/lui.
Un gioco, questo, che ha segnato in modo indelebile la mia esperienza di videogiocatore; dandomi nuove prospettive con le quali considerare il medium.
Bloodborne – Federico Barcella
Che FromSoftware e Hidetaka Miyazaki, grazie alle loro produzioni, abbiano profondamente segnato gli ultimi dieci anni videoludici è un dato di fatto noto a tutti i videogiocatori. Tuttavia, tra tutti i soulslike spuntati in questi anni – e forse anche tra quelli che spunteranno in futuro – ce n’è uno che, personalmente, inserirei nella mia personalissima top 5 dei migliori giochi visti negli ultimi dieci anni.
Se da un lato molti si sono fatti, giustamente, catturare dalle meccaniche e dalla lore della trilogia di Dark Souls, tanti altri hanno ceduto – e cedono tutt’ora nonostante il gioco sia del 2015 – all’innegabile fascino di Bloodborne. La capacità di Miyazaki di trarre ispirazione da uno dei padri della letteratura horror, H.P. Lovecraft, ha dato vita a un gioco che, pur non offrendo nulla di rivoluzionario in ambito di gameplay, sa catturare l’attenzione del giocatore grazie alle cupe ambientazioni, all’intricata lore come sempre nascosta ma sempre presente e alle boss fight spesso particolarmente memorabili.
Un titolo che, personalmente reputo indimenticabile.
Astro Bot: Rescue Mission – Gabriele Atero Di Biase
Ho scelto di premiare un platform perché fondamentalmente è un genere che adoro, con il quale sono nato e cresciuto e che reputo perfetto per Natale, e visto il periodo la scelta non poteva che ricadere su Astro Bot: Rescue Mission. Per quanto mi riguarda è stata forse la sorpresa più grande che mi ha regalato PlayStation VR, da cui mi aspettavo grandi cose che in parte si sono realizzate e in parte no. Eppure quando uno pensa alla realtà virtuale gli vengono in mente grandi avventure, azione a profusione e magari anche qualche spavento qua e là, ed invece la cosa che mi è piaciuta di più è stata questo simpatico robottino che cambia le regole del gioco.
Astro Bot rivoluziona il platform facendo sì che il giocatore ci entri dentro, letteralmente. Non ti rende il protagonista dell’azione in senso letterale, ma fa in modo da farti guidare il personaggio oltre che con il joypad anche con l’esplorazione, quella sì, da fare in prima persona. Non basta più allora solo premere i tasti, bisogna darsi da fare e cercare strade alternative, percorsi bonus, ricompense e quant’altro muovendosi di concerto con il personaggio.
Così, da un’idea tanto semplice quanto geniale, si riesce a dare nuova vita ad un genere che aveva davvero bisogno di una svecchiata e di una ventata di aria fresca che andava ricercata ben oltre la miriade di prodotti pixellosi più o meno indipendenti usciti nell’ultimo periodo.
Destiny – Claudio Cugliandro
Questo decennio è stato segnato per sempre dall’ascesa del gioco servizio, declinata in salse diverse ma originate tutte dalla stessa ricetta: Destiny.
Volente o nolente, critico e aspramente in conflitto con quel modello, sul gioco Bungie (versione vanilla) ho speso centinaia di ore, dilaniato tra l’incessante ripetività e la qualità delle sparatorie; attratto dall’entusiasmente lore e abbattuto dai drop randomici; offuscato nel giudizio dal piacere di giocare in compagnia e annichilito nella volontà di riprenderlo dai mille cambiamenti che seguivano ogni nuovo annuncio.
Abbiamo visto il sorgere, il crescere e il riprodursi in nuove forme di una tecnica produttiva che rimarrà a lungo nel mondo videoludico.
No Man’s Sky – Andrea Bollini
Per molti No Man’s Sky non potrà mai essere annoverato fra i giochi più belli del decennio. Dal canto mio, pur riconoscendogli diversi limiti e alcune problematiche, ho deciso di sceglierlo come porta bandiera di questi anni dieci del nuovo millennio.
Una decisione che non risiede tanto nelle specifiche peculiarità che No Man’s Sky possiede (siamo sempre di fronte a un titolo meraviglioso), ma nel suo essersi concretizzato come paradigma di un processo creativo, produttivo e manageriale che farà scuola da qui in avanti: non tanto nella celebrazione di un’idea strabiliante, o nella condanna di un’industria opaca e di un marketing sfuggente, quanto nel suo porsi come esempio migliore di una “nuova tipologia” di software videoludico.
Non più pezzi di bit freddi e immobili, ma nuclei caldi in continuo e perenne movimento. Dove l’uscita è solo una data di avvio per un processo di crescita e di mutamento inarrestabile. Una condizione che rende, almeno per ora, No Man’s Sky mai uguale a se stesso e costringe noi giocatori a ricalibrare e modificare continuamente il nostro pensiero.
Alla realizzazione della classifica e quindi dell’articolo hanno partecipato: Luca Marinelli Brambilla, Davide Salvadori, Gabriele Atero di Biase, Federico Barcella, Francesco Paternesi, Mattia Portunato, Ismaele Mosca, Emanuele D’Ascanio, Giovanni Ormesi, Luca Parri, Claudio Cugliandro, Lorena Rao, Sharif Meghdoud, Federico Galdi, Andrea Bollini, Mattia Alfani, Salvatore Cardone