La dea della fortuna fa vivere il cinema di Ferzan Ozpetek e i personaggi che lo popolano
Ferzan Ozpetek torna alla sua famiglia. Ai suoi amici, alle sue conoscenze, a quella condivisione smodata e esasperata che condivide con i suoi personaggi. Collettivi sempre uguali pur ogni volta ombrati e illuminati da sfumature diverse, che investigano appassionatamente i rapporti indissolubili eppure esasperati che intercorrono tra persone, tra amanti e fratelli, che parlano di vita, di amore, di legali e lo fanno condividendo ogni singolo istante, non lasciando dietro di loro nemmeno un respiro.
Un impulso tangibile, carnale in ogni pellicola del regista e sceneggiatore, che pulsa fortissimo ne La dea fortuna e fuoriesce sgorgando viva più che mai come nelle più rappresentative delle pellicole dell’autore.
Dopo la ricerca del genere con Napoli velata, che portava Ozpetek ad approfondire le indagini di una psicosi e una sessualità sospinta dalla solitudine di una donna, dei suoi anni e degli innumerevoli segreti di una città quanto più superstiziosa, il cineasta snellisce nuovamente il proprio racconto, lo scioglie da sovrastrutture cinematografiche per puntare all’essenza del proprio mondo, su ciò che conosce e che abbiamo imparato del suo lavoro, ritrovandone il fulcro e riportandolo nel modo più sincero.
La dea della fortuna e il cinema di Ozpetek
È nella storia di una coppia i cui quindici anni di relazione si fanno macigno insormontabile in cui Ferzan Ozpetek si addentra con La dea fortuna. Entrando nella loro casa, scrutando le singolarità dei loro amici, pedinandoli nei momenti della quotidianità del loro mestiere e scoprendoli colpevoli in piccoli atti di tradimento più o meno sopportato.
È l’arrivo di Martina (Serra Yilmaz) e Sandro (Edoardo Brandi) a sconvolgere il micro-sistema già ben scosso e turbato di Arturo (Stefano Accorsi) e Alessandro (Edoardo Leo). Figli dell’amica di sempre Annamaria (Jasmine Trinca), i bambini saranno collante nel momento più intenso di separazione dei due uomini, che si perderanno proprio quando si scopriranno in rapporto con i nuovi arrivati, cercando di mettere da parte loro se stessi per l’altro.
La dea fortuna ci ricorda che cos’è il cinema di Ferzan Ozpetek. Quella familiarità con i turbamenti dei nostri conoscenti più cari, le interazioni e il loro compenetrarsi fino a non poter che aggrovigliarsi e cercare, almeno per quel che si crede, una maniera indolore per districarsene.
È un cinema di personaggi che riscopriamo pur avendoli già visti, a cui si va approcciandosi per la prima volta eppure si ha la sensazione di averne inquadrato da subito bene la tempra, le decisioni che prenderanno, gli sbagli che inevitabilmente saranno condotti a fare.
I dolori di una coppia e quei rancori veri e dolorosi
È la complicità dei confidenti che unisce i protagonisti delle storie di Ozpetek e ne guida le direttive, che tratteggia le linee del racconto dei suoi film sulle persone e per le persone, entrando nella più stretta comunicazione con lo spettatore, che ritrova in quelle situazioni un pezzo del proprio vissuto. O meglio, il vissuto di coloro che gli sono accanto, e che i film dell’autore riportano al pubblico come in una confessione amicale fatta da qualcuno che abbiamo accanto da tempo.
Quell’intimità che anche l’opera con Stefano Accorsi, Edoardo Leo e Jasmine Trinca riporta, che si fa percepibile mentre il risentimento esplode ad ogni scena de La dea fortuna, impossibilitata dal contenere il fiume di infelicità e sfiancante irrimediabilità che i protagonisti sentono di provare.
Nella semplicità delle dinamiche e della leggerezza che Ozpetek cerca di concedere ai personaggi, la convenzione diventa necessità per dare all’opera quanta più realtà sia ammissibile in un’unica pellicola.
Una raffinatezza che manca nella scrittura o nella formalità dei dialoghi, ma solo per lasciare così spazio alla sofferenza e allo scontento che si fa sentito nei e per i personaggi, e che viene restituito tutto anche grazie alla spontaneità di un manipolo di attori che si affida alla sincerità della situazione, abbracciandone le bassezze, i sentimenti, le sofferenze.
Anche la fortuna ha qualche piccola pecca
Un’opera riuscita La dea fortuna, che pecca solo di quella mala gestione del ritmo che affatica, un tassello alla volta, l’andamento del film, trascinando dunque buona parte della sua seconda metà pur rimanendo sempre attinente agli sviluppi dei protagonisti.
Un protrarsi verso il finale che si sfalda solamente con il risvolto più rustico e arzigogolato della soluzione conclusiva, il cui culmine giunge più per spiazzare negativamente rispetto a ciò che fino a quel momento si era posto all’interno del film e che, probabilmente, avrebbe dovuto mantenere similare anche nella seconda parte dell’opera.
Pur con un cambio improvviso di registro, seppur breve e conciso, La dea fortuna è comunque in grado di lasciare quell’impressione iniziale con cui accoglie nell’appartamento di Alessandro e Arturo lo spettatore, mostrando come, ancora oggi, la famiglia di Ozpetek continui, irriducibilmente, ad allargarsi.