A Tom Cruise non basta più un solo credito per arrivare al Boss finale.
Ammetto che non mi aspettavo molto da Edge of Tomorrow – Senza domani. In effetti, non ho avuto “molto”, ma piuttosto qualcosa di interessante, che forse, per una volta, è anche meglio. La trama che sorregge la pellicola del regista Doug Liman è concettualmente molto essenziale: in un futuro non troppo lontano, misteriosi alieni hanno invaso quasi tutto il mondo.
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La resistenza dell’umanità è affidata agli eserciti terrestri che hanno mosso una vera e propria guerra contro la popolazione aliena, servendosi di esoscheletri particolari e di armi più o meno futuristiche (dal design molto grezzo, sporco e meccanico, un po’ sullo stile di Gear of Wars se vogliamo). Il maggiore William Cage (Tom Cruise) si troverà suo malgrado in prima linea in una delle più importanti battaglie del conflitto. A contatto con una razza particolare di queste creature però, acquisisce uno strano potere: ogni volta che muore, ricomincia il giorno da capo. Come spesso accade, e sintomatico della crisi delle idee che coinvolge un po’ tutto il settore artistico in quest’epoca, in cui Hollywood non fa eccezione, la trama non è originale, ma totalmente ispirata alla novel giapponese All You need is Kill , di Hiroshi Sakurazawa, da cui è stato tratto anche successivamente un manga.
Queste premesse pongono il film sotto una particolare luce. Viene mostrato non il solito Cruise eroico e infallibile uomo d’azione, ma piuttosto il percorso di un codardo e inesperto verso la presa di coscienza delle proprie potenzialità e responsabilità. La progressione delle vicende e dell’azione hanno un ritmo totalmente circoscritto all’esperienza acquisita dal protagonista sul campo che, morte dopo morte, si avvicina a piccoli passi sempre di più all’obiettivo. L’intero film da questo punto di vista, e sono convinto lo avranno notato in molti, è una metafora del classico modo di intendere i videogiochi. Non è una novità che le influenze reciproche già da anni contribuiscano a sostegno dei due diversi tipi di industria. In fondo, quanti film “sembrano” moderni videogiochi e quanti videogiochi ormai strizzano l’occhio al cinema?
Ma in questo caso è stato fatto un passo ulteriore: non più solo con un background famigliare che sembra un compendio di tutti gli ultimi action bellici passati sotto i nostri pad, ma il travaso vero e proprio delle regole che alimentano il videogioco all’interno di un film. Ogni volta che Cage muore in azione per disattenzione o inesperienza (o altri motivi funzionali alla trama) ricomincia il “livello” da capo, imparando qualcosa di nuovo, acquisendo sicurezza, in un continuo susseguirsi di scene che rispecchiano quella filosofia “Trial and Error” che anima il videogioco nella sua concezione più classica. Questo, se siete spettatori e videogiocatori, non potrà che evidentemente darvi un feeling particolare e divertito con il film, rendendovi probabilmente più coinvolti nella visione. Che tutto questo sia “casuale” a livelli di produzione, ci credo poco. Hollywood sente sempre più il peso di una specie di “ritorno all’ignoranza” che animava il cinema di genere 20 anni fa, ma di un tipo diverso rispetto a quello che cercano di rievocare ex icone dello stesso come Stallone e Schwarzenegger con i vari Expendables e prodotti analoghi. Qualcosa di più sofisticato, film d’azione più surreali che riempiono gli occhi anestetizzati di una nuova generazione di spettatori ormai abituata a vederne di tutti i colori e a volerne sempre di più. Un’adrenalinica gratificazione visiva che molto somiglia a quella dei blockbuster video ludici odierni (spesso non troppo più interattivi di un film, peraltro), consumata da una fetta sempre più ampia di persone che si recano al cinema per vedere questo genere di film.
Ed ecco quindi che per scelta e non per ingenuità, Edge of Tomorrow è un film che lascia la priorità alla forma piuttosto che alla sostanza, ridotta all’osso dai pochi elementi chiave che definiscono semplicemente scenario, nemici ed alleati, con meno spiegazioni di quello che forse sarebbe lecito aspettarsi. Non manca a modo suo, qualche tentativo di inspessire la trama, legato soprattutto alle variabili emotive che animano una persona costretta a rivivere sempre le stesse situazioni (fintanto che il suo intervento non le cambi irrimediabilmente), e alle reazioni umane di chi gli sta attorno (e questo ad oggi rimane ancora prerogativa solo del cinema). Ma di fatto, ogni pretesto per lasciare spazio all’azione, in Edge of Tomorrow viene preso al volo. Azione peraltro costruita con mestiere, un po’ per meriti registici e un po’ perché in questi ruoli il buon Cruise riesce sempre a bucare lo schermo, sebbene non si veda mai qualcosa di particolarmente “nuovo” stilisticamente parlando, e non ci sia qualche sequenza che si possa definire veramente memorabile. Tutto è sorretto soprattutto dalla caratterizzazione di Cruise e compagni (incisiva da questo punto vista la partecipazione di Emily Blunt, bella, di carattere, e perfetta per la parte) che sopperiscono in qualche modo, in parte insieme alle location e qualche scelta stilistica particolarmente azzeccata, l’anonimato di molte situazioni che altrimenti difficilmente si distinguerebbero da altri prodotti simili. Bisogna ammettere che la visione vive di un breve momento di stanca nelle fasi centrali della vicenda, probabilmente da attribuire anche alla diegetica immortalità del protagonista (laddove negli altri film, non ti aspetti che l’incolumità dell’eroe venga meno, qui proprio NON può succedere) che smorza la suspance generale, ma che viene anche risolta a un certo punto in maniera vagamente pretestuosa, fino al finale del film, anch’esso piuttosto “facile”.
Nonostante tutto, seppur con diverse riserve, Edge of Tomorrow va promosso. Mostra la letterale fragilità umana in un contesto catastrofico, ovvero la tragica condizione con cui i soldati si trovano effettivamente a fare i conti nella realtà, mettendo però da parte ogni velleità drammatica e con lo solo scopo di intrattenere in maniera moderatamente spensierata. Effettivamente la caratteristica più irrazionale dell’ultimo lavoro di Doug Liman è anche quella che dona alla sceneggiatura di Edge of Tomorrow i maggiori connotati di credibilità: la cinica consapevolezza che un uomo non potrebbe mai salvare il mondo con una sola vita, salvo “barare”, proprio come nei videogiochi, e ricominciare da capo per provarci ancora e ancora.