Amore e Tinder: se la letteratura rosa passa dai social

Di tanto in tanto la letteratura rosa ha bisogno di reinventarsi. È naturale: cambiano i costumi, cambiano i lettori, cambia il linguaggio. In generale, tuttavia, persistono i toni di confidenza e dialogo a quattr’occhi tra autore (autrice) e lettore (lettrice).

L’amore va nell’umido, della scrittrice, autrice TV e stand up comedian Daniela Delle Foglie non fa eccezione, anzi. Si presenta come una specie di resoconto di alcuni anni di vita, condensati in esperienze sentimentali molto precisi, fondendosi con una guida all’uso della più comune app per incontri (etero): Tinder.

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Immaginarsi di parlare d’amore e – soprattutto – della ricerca dell’amore nel 2020 senza dedicare un pensiero ai social e alle app di incontri sarebbe quanto meno anacronistico. Eppure non è così frequente trovare nelle narrazioni di uso più comune l’uso strutturale di internet, quando si parla d’amore. Ma perché la letteratura rosa rifugge l’uso dei social?

Le storie d’amore che raccontiamo e ci raccontiamo sono ancora legate al romanticismo della serendipità, al rimorchio nei bar, alle storie nate per caso e agli amori sospirati per lunghi ed estenuanti lassi di tempo. Forse la narrativa non vuole ammettere che le relazioni non sono più “quelle di una volta”e che moltissima gente, grazie alla tecnologia, si sceglie ancor prima di incontrarsi?

Distanti, ma a portata di social

Da quando questo articolo è stato pianificato al momento in cui è stato scritto, il mondo e le relazioni hanno subito un ulteriore colpo. Il regime di restrizione sanitaria per contenere la pandemia di COVID-19 ci impone di comunicare con il prossimo in maniera radicalmente mediata dai mezzi tecnologici. Quindi, quello che prima era vero per molti, oggi è realtà per tutti.

Certamente quando questo periodo sarà raccontato, non si potrà fare a meno di rappresentare i tanto anti-poetici e anti-estetici social network, applicazioni varie e videochiamate. Si supererà quel pregiudizio un po’ antico del voler a tutti i costi rappresentare le relazioni come esclusivamente analogiche. Sarà il regno del flirt via chat di cui Daniela Delle Foglie parla in maniera così approfondita nel suo libro-confessione, rimandando l’incontro dal vivo a tempi migliori.

La sfida per le narratrici e i narratori sarà proprio trovare il proprio modo di raccontare un fenomeno così ultra-contemporaneo che non si rifugia né tra le braccia della distopia, né tra quelle di un passato ingiallito di lettere d’amore e incontri fortuiti.

Troveremo il modo di raccontarci, così come siamo. Soli e spaventati, che cerchiamo conforto nei cuori virtuali e che ridefiniamo con il nostro modo di essere il concetto stesso di romanticismo.

La letteratura rosa ai tempi dei social

Se in L’amore va nell’umido? si racconta l’umanità pre-coronavirus, quello che la sua autrice dice a proposito del rituale di corteggiamento tramite Tinder è assolutamente valido. Poter presentare solo le immagini migliori di sé, selezionandole rigidamente dalla propria galleria e aiutandole a botta di filtri è un grande aiuto, che ammortizza l’ansia da prestazione che un incontro dal vivo può comportare.

L’autrice dedica ampio spazio al raccontare le dinamiche pratiche e psicologiche che l’hanno portata, per un periodo della sua vita, a smanettare compulsivamente con l’app per incontri. Alla base c’è un’ansia del rifiuto e dell’abbandono, un timore nell’instaurare una relazione, un pattern comportamentale votato all’autosabotaggio e al non accettarsi. Chiaramente – ed è qui l’eleganza dell’ironia della Delle Foglie – questo è il suo punto di vista, che non vuole in alcun modo giudicare chi usa l’applicazione nel pieno possesso della propria autostima e delle proprie aspirazioni sessuali e sentimentali.

La bulimia da flirt che l’autrice descrive, però, può far riflettere molte lettrici e molti lettori sul proprio rapporto con sé stessi, prima ancora che con le infinite possibilità che la tecnologia mette loro a disposizione. Ancora una volta, cambiano i media di riferimento, cambiano le distanze e i tempi ma non cambia (e non cambierà) il valore catartico dei sentimenti nel lungo viaggio alla scoperta di sé.

La rappresentazione dei social

I social hanno fama di essere antiletterari, difficili da raccontare, quasi oggetti non degni di apparire sulla carta stampata o sulla pellicola. Fanno eccezione, oltre a L’amore va nell’umido? anche opere di letteratura dedicata (come Tinder and the city), che trattano con piglio ironico le disavventure degli avventori delle app per incontri.

Antesignana, in questo senso è la rom-com C’è posta per te, dove Meg Ryan e Tom Hanks costruivano la loro romanticissima relazione attraverso uno scambio di mail. 

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Mail, però, non vuol dire social. In fondo lo scambio tra i due protagonisti della commedia del 1998 non facevano altro che aggiornare l’antico topos romantico della relazione epistolare. Per vedere un uso dei social vero e proprio si dovrà aspettare un po’ e spesso andarlo a cercare nei generi dedicati ai più giovani –  sit-com per ragazzi o horror per bocche buone – come Countdown del 2019 e Friend Request del 2016. 

Siamo molto lontani da un uso raffinato e introspettivo del mezzo che si può, invece, riscontrare nella massima trattazione per immagini della tecnologia, almeno sul piccolo schermo: Black Mirror
Le possibili devianze del virtuale sono il leitmotiv di tutta la serie, ma sono due gli episodi in cui il fenomeno dei social network è il protagonista assoluto: il primo episodio della terza stagione, Nosedive, e il quarto della quarta, Hang the Dj. Se nel primo il personaggio principale, interpretato da Bryce Dallas Howard, viveva sulla sua pelle l’ossessione dell’approvazione social (su un app molto simile ad Instagram), nel secondo un sistema chiamato Coach si occupa di formare delle coppie funzionanti, dando loro anche il conto alla rovescia fino alla fine della storia. 

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Giocando col paradosso, entrambi gli episodi mettono lo spettatore davanti a delle derive – fantasiose, ma verosimili – della tecnologia, disegnando (come in tutta la serie di Charlie Brooker) un quadro distopico, che lascia pochissime speranze al genere umano. 

In conclusione, L’amore va nell’umido?

Certamente con toni più lievi di quelli adottati da Charlie Brooker (ma ognuno ha il suo stile), L’amore va nell’umido di Daniela Delle Foglie ha la leggerezza di un libro d’intrattenimento unita allo spessore di una trattazione sincera di sé. 

La narrazione scorre liscia, capitolo dopo capitolo, non trascurando l’analisi e l’affermazione della propria femminilità, anche questo come risultante di un processo lento e doloroso. Non un libro solo per ridere (non che sia un atto deprecabile, anzi), ma anche e soprattutto un nuovo genere di letteratura rosa più social che aiuta chi legge a guardarsi con disincanto, magari per prenderne spunto e avviare (ora che abbiamo tanto tempo libero) una dolce e amichevole rimessa in discussione delle proprie nevrosi relazionali. 

La Delle Foglie parla un linguaggio confidenziale, empatico, come davanti a una lunghissima birra con le amiche. Ammette i propri limiti e ne trae spunto per andare avanti, mostrando tutta l’umanità che si nasconde dietro un profilo Tinder

 

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.