Il debutto di Doom Eternal coincide con il ritorno di Doom 64, l’ultimo episodio della serie classica di Doom
Nell’ultimo anno Doom è tornato d’attualità: alla fine di maggio 2019 uscì Sigil e pochi giorni dopo, all’E3, venne annunciata la data di uscita di Eternal, che peraltro subì uno slittamento al 20 marzo. Il mese successivo giunsero sugli store digitali le remaster dei primi tre episodi numerati, ma non solo: nel sito PEGI comparve anche il rating di Doom 64, la cui rerelease fu confermata qualche settimana dopo.
Dal 20 marzo potete scaricarlo al modico prezzo di € 4,99, oppure gratuitamente se avete pre-ordinato Doom Eternal. Ed è una grande notizia, visto che dal 1997 ad oggi non era mai stato riproposto, a differenza di tutti gli altri episodi; persino compilation dai nomi pretenziosi come Doom Classic Complete lo avevano lasciato fuori.
Eppure Doom 64 costituisce proprio l’epilogo del Classic Doom, quello che ha forgiato il genere dei First person shooter, quello quasi in tre dimensioni, quello fatto di chiavi rosse, gialle e blu. Nonostante non fosse stato sviluppato direttamente da id Software, bensì da Midway, la partecipazione allo sviluppo di figure quali John Carmack e John Romero lo rendeva un regular Doom a tutti gli effetti. Ma allora perché è stato dimenticato per oltre vent’anni?
Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, nella seconda negli anni Novanta i port di Doom impazzavano: SNES, PlayStation, Saturn, Jaguar… persino 3DO aveva il suo! In questo marasma, Doom 64 passò abbastanza inosservato, quasi fosse un l’ennesimo port, quello uscito in ritardo. Inoltre, Nintendo 64 non era certo la miglior console per ospitare un gioco così cruento e, più un generale, giocare un FPS su console non era un’esperienza molto piacevole, anche se proprio la macchina di Nintendo di lì a poco ci avrebbe regalato due perle come Goldeneye 007 e Perfect Dark.
Infine – e questa secondo me è la ragione più pregnante -, Doom 64 arrivò fuori tempo massimo: nel 1996 era uscito Quake, che era grande, grosso e cattivo, e, soprattutto, poligonale; nel 1997 i gamer privi di PC erano già in attesa dei port per Saturn, Amiga e lo stesso Nintendo 64. Forse (ma proprio forse) Midway lo aveva capito, visto che il gioco avrebbe dovuto uscire molti mesi prima, cioè al lancio americano di Nintendo 64 (avvenuto nel settembre del 1996); tuttavia, id Software non era soddisfatta del level design, quindi Doom 64 fu posticipato all’aprile (addirittura dicembre nel Vecchio Continente) del 1997.
Col senno di poi, non posso che ringraziare Carmack e soci per quel rinvio forse fatale, perché il level design è uno dei cardini della serie, tanto nel vecchio ciclo quanto in quello nuovo, anche se in modo diverso. E quello di Doom 64 spacca, come quello dei suoi predecessori, d’altronde: bivi, chiavi, interruttori, aree segrete e trabocchetti assortiti… addirittura, è il primo episodio a prevedere dei collectible, tanto difficili da scovare (sono ben nascosti in tre livelli segreti!) quanto utili nella parte finale del gioco.
Doom 64 girava su una versione pesantemente modificata dell’id Tech 1, che surclassava le prime per complessità degli ambienti, illuminazione, script, grandezza degli sprite e texture; fortunatamente, gli sviluppatori hanno sfruttato queste risorse e il level design ne ha senz’altro beneficiato.
Su piano stilistico, Midway ha virato verso l’horror, che caratterizza la colonna sonora, l’illuminazione – si trattò del gioco più tetro della serie fino all’arrivo di Doom 3 – e il setting, ricco di riferimenti alla simbologia satanista.
Dopo i primi otto livelli ambientati in basi e affini, come di consueto si fa una gita all’inferno, e il design subisce un’impennata qualitativa soprattutto sul piano visivo, rivelando quello che da sempre è il vero fascino di Doom. Chissà, se Borges avesse potuto giocare a Doom, nelle Cronache di Bustos Domeq magari avrebbe citato l’architettura demoniaca dopo le case inabitabili di Verdussen di Utrecht… E così, dopo lustri di immeritato dimenticatoio, Doom 64 viene visto sotto una nuova luce e assume un’importanza che non ha mai avuto, nemmeno nel 1997. Hugo Martin, director di Doom Eternal, lo ha scelto come anello di congiunzione fra il ciclo classico e quello nuovo, inaugurato nel 2016: in questo remaster, infatti, è stata aggiunta una nuova campagna – intitolata The Lost Levels, facendo un po’ il verso a The Lost Mission di Doom 3: BFG Edition – di sei livelli, che serve proprio a collegarlo con il reboot (che a questo punto bisognerebbe considerare come un soft reboot, direi…, NdR). E indovinate un po’ da dove viene l’Unmakyr di Doom Eternal: è la nuova versione dell’Unmaker, l’unica arma inedita che presentava Doom 64.
Oltre alla nuova campagna, che si aggiunge ai 32 livelli originali (di cui sei segreti), questo remaster offre dieci semplici trofei/obiettivi e qualche gradita opzione modernizzante di contorno, come i salvataggi (in origine ci si arrangiava con il sistema di password, che è stato peraltro mantenuto), l’auto-run opzionale e nuovi livelli di luminosità, visto che su Nintendo 64 il gioco poteva risultare un po’ troppo buio per alcuni.
Il port è stato sviluppato da Nightdive Studios e usa il codebase di Doom64 EX, sviluppato da Samuel Villareal, noto doomer che attualmente lavora proprio presso lo studio di Vancouver.