Lettera al re spreca una grande occasione, ma ha anche i suoi (minori) pregi
Lettera al re, romanzo di Tonke Dragt del 1962, è un classico della letteratura fantasy per ragazzi ed è molto amato nei Paesi Bassi. Nel 2013 il libro venne tradotto in inglese, ricevendo una calorosa accoglienza da pubblico e critica, e nel 2018 raggiunse altri 15 paesi (tra cui l’Italia). L’opera ha ora attirato l’attenzione di Netflix: il colosso dello streaming ha sfruttato i diritti per realizzare una serie TV omonima destinata in primis a un pubblico di giovani, ma anche a tutti coloro che non disdegnano magie, duelli e un’ambientazione medievale.
Per certi versi, Lettera al re può essere considerata “Il mio primo Game of Thrones”, dove intrighi politici, scene di sesso e sangue a fiumi sono stati sostituiti da una trama più semplice e lineare, protagonisti adolescenti e un tono generalmente meno serioso. I fan del fantasy in cerca di un nuovo show che rimpiazzi la serie HBO rimarranno delusi dalla storia basilare e dai personaggi poco sfaccettati della produzione Netflix, complice anche un budget troppo basso per coprire le spese necessarie a raccontare un’epopea à la Game of Thrones. A ogni modo, Lettera al re non è tutta da buttare.
Di cosa parla Lettera al re?
Come lascia intuire il titolo stesso, la trama ruota intorno alla consegna di una missiva. È una delle numerose lettere inviate dal Principe Viridian (Gijs Blom), leader delle forze militari congiunte dei regni di Unauwen e Dagonaut, che ha condotto una lunga guerra contro la regione di Evillan (in Game of Thrones si parla di Sette regni, qui di tre).
Viridian ha intenzioni tutt’altro che buone, e le sue epistole sembrerebbero messaggi ai suoi alleati per organizzare un colpo di stato contro i leader di Unauwen e Dagonaut. Una di queste viene intercettata da un cavaliere che, scoprendo il tradimento, decide di portarla al Re Favian (Yorick van Wageningen) di Unauwen. Se fosse riuscito a recapitarla, Lettera al re si sarebbe conclusa senza neppure cominciare: il cavaliere viene invece ferito a morte dagli scagnozzi di Viridian prima di riuscire ad allontanarsi e (sorpresa!) l’ardua missione di consegnare il messaggio viene presa in carico da Tiuri (Amir Wilson), protagonista della storia. Un giovane rifugiato di Evillan, adottato da un nobile di Dagonaut ma non visto di buon occhio dai coetanei. Peraltro, Tiuri è un cavaliere apprendista (pure piuttosto scarso), quindi non ha ancora completato il suo addestramento: come potrebbe mai essere la persona giusta per un compito così importante?
La risposta, nemmeno a dirlo, è da ricercarsi in un’antica profezia. Così, vediamo Viridian impegnato a rubare i poteri magici di tutti gli sciamani di Evillan (proprio una di queste, poco prima di essere uccisa, dice “E così ha inizio” riferendosi alla predizione), ed è ossessionato dal trovare l’eroe della profezia che lo ostacolerà. Ovviamente ha anche la necessità di riavere la sua lettera: quindi, con varie fazioni di cavalieri e avventurieri al seguito, darà il via a una vera e propria “caccia a Tiuri”, mentre il giovanotto cavalca il destriero datogli dal cavaliere morente nel tentativo di raggiungere Unauwen prima di Viridian.
Lettera al re sfocia nel surreale
Se devo essere sincero, quel cavallo è il vero eroe della vicenda visto che riesce a salvare così spesso Tiuri da rendere la trama a tratti imbarazzante. “Il cavallo della salvezza” sarebbe stato forse un titolo più appropriato per lo show, ma non voglio distruggere quel poco che di buono c’è in Lettera al re. Al fianco di Tiuri vediamo Lavinia (Ruby Serkis), che sta cercando di trovare una rotta mercantile perduta prima di essere coinvolta nella missione del giovane apprendista cavaliere (sebbene all’inizio sia un po’ riluttante all’idea di viaggiare con lui). Nascerà qualcosa tra i due, anche se potrebbe sembrare più il sentimento sbiadito di uno young adult malriuscito che una simpatia sincera tra due adolescenti.
La trama di Lettera al re si discosta significativamente dal romanzo originale per assomigliare più da vicino alle storie fantasy moderne viste in TV o al cinema, ma ciò non significa che sia più allettante o riuscita. Tiuri è un personaggio passivo che perlopiù si attiene al suo senso morale di responsabilità – imparare a credere in se stesso e difendere la sua eredità familiare fanno parte del suo sviluppo (minimo). I giovani compagni del protagonista incidono poco sul piano narrativo, e, nell’insieme, si ha sempre la sensazione che gli amici in missione siano catapultati in qualcosa più grande di loro.
Non ci sono draghi o altre creature mistiche nello show, e gli effetti speciali non sono impressionanti, specie durante la battaglia finale. La recitazione è passabile ma mai particolarmente eccelsa, con la giovane Serkis che si esalta in più di un’occasione e Blom che funziona nel ruolo del villain. I dialoghi sono piatti e noiosi, ma la trasposizione di Netflix può contare su un’ambientazione ben riuscita e un mondo che, seppur privo di razze diverse, è caratterizzato a dovere e splendido sul piano estetico. Certi scorci sono davvero fantastici, fanno venir voglia di brandire la spada e seguire Tiuri nel suo viaggio epico.
Tirando le somme, Lettera al Re è una serie fantasy senza troppe pretese. Non mira a offrire una trama ricca di colpi di scena, né personaggi esplorati a fondo. Preferisce essere, consapevolmente, uno show leggero e scorrevole per abbracciare una fetta di pubblico più ampia possibile, e sebbene gli appassionati del fantasy puro potrebbero storcere il naso dopo pochi minuti, nel complesso riesce nell’obiettivo principale di una serie TV: intrattenere gli spettatori.