Nemo: ghiaccio, macchine e spiriti ribelli
Quando in passato abbiamo parlato della Lega degli Straordinari Gentlemen ci siamo soffermati maggiormente sui personaggi di Mina e del Capitano Nemo: entrambi, seppure in maniera differente, incarnano parte della personalità e degli ideali di Alan Moore.
Il Bardo di Northampton non ha mai nascosto le sue inclinazioni anarchiche, il suo rifiuto di un potere costituito. L’ideale di Moore, la sua visione della politica, appare evidente in opere come Watchmen e V per Vendetta. Nella Lega è invece affidato alla prima storica figura di anarchico della letteratura.
Già in Ventimila Leghe sotto i Mari il capitano Nemo si dimostra incline a una forma di anarchia. Il suo Nautilus non ha bandiera, ma si schiera sempre a favore della libertà e contro gli oppressori, speronando qualsiasi nave abbia intenzioni bellicose. Una visione del mondo che getta le radici nel passato coloniale della sua terra, l’India, ma che ben presto va al di là di una semplice lotta contro il colonialismo britannico.
Con i tre racconti di Nemo, pubblicati in Italia da Bao Publishing, Moore sembra voler ampliare il racconto di questi suoi ideali, mostrandoci come essi travalichino il tempo e possano diventare un legame di sangue. Perché in Nemo Alan Moore non si limita a raccontare una storia di avventure e di anarchia: assistiamo a un racconto familiare. Una saga che vede protagonista Janni Dakkar, figlia del Capitano del Nautilus e sua erede.
Uscire dall’ombra dei padri
Parlare di Nemo è parlare di un lungo rapporto tra padri ed eredi. Non solo per quanto riguarda la trama, ma anche nel rapporto tra lo spin-off e l’opera madre. Per noi lettori è impossibile torna a vedere le tavole di Kevin O’Neill senza pensare a quanto abbiamo letto nell’opera del 1999. E lo stesso Moore sembra ammettere, nella stesura di questo volume, che esiste un complicato rapporto tra la prima opera da lui creata e il suo spin-off. Un’eredità pesante da accettare, ma anche una sfida che il Bardo non esita a raccogliere.
Tutto questo si traduce nel personaggio di Janni. La nuova Nemo ha ereditato dal padre il Nautilus, insieme col suo spirito di avventura, il suo carattere e la sua forza di volontà. Ma essere una Nemo porta con sé un’eredità più grande e più difficile, il dover essere costantemente al livello del proprio nome.
Nasce così in Janni il desiderio di superare il padre, riuscendo in un’impresa in cui lui aveva perso il senno: raggiungere il Polo Sud. Impresa difficile di per sé, in quanto attraversare l’Antartide vuol dire fare i conti con gelo, anomalie magnetiche e resti di civiltà aliene, ancor più complicata quando Citizen Kane in persona ti mette alle calcagna i maggiori geni scientifici della letteratura.
Il primo volume si snoda così su due piani narrativa. Da un lato la caccia voluta da Kane per compiacere la regina Ayesha, a cui la giovane Nemo ha sottratto buona parte del tesoro reale. Dall’altro la ricerca del Polo Sud, con citazioni a Verne e Lovecraft. Un viaggio che ha una meta spirituale più che fisica, quella di riuscire in un’impresa che aveva portato al fallimento paterno.
Il concetto di superare l’opera dei predecessori trova corpo in un cambio di paradigma da parte di Moore. Notiamo subito come il Bardo abbia ampliato i suoi orizzonti oltre la letteratura vittoriana. Si moltiplicano i riferimenti a opere letterarie del primo novecento, con una particolare predilezione per H.P. Lovecraft; ma anche il cinema inizia a comparire tra le tavole di O’Neill, specie quello classico della prima metà del Secolo XX.
Sembra quindi che Moore voglia attingere a una nuova “mitologia” per la creazione del proprio mondo. E in questo l’opera riesce, dando nuovi spunti e nuova linfa vitale a un mondo che sembrava già sfruttato a sufficienza. Ma può bastare per dare anche nuovo slancio all’intera opera? Qui le cose si fanno più complesse.
L’anarchia in famiglia
Ancor più che nel personaggio del Capitano Nemo, in Janni le inclinazioni anarchiche sembrano essere una scelta di vita, avvicinandola così alla visione di Alan Moore. Le sue scorrerie, al pari di quelle paterne, sono rivolte contro il potere, sia quello di Ayesha o della Germania-Tomania. Eppure questo avviene in maniera diversa rispetto al padre.
Il primo Nemo era un combattente per la libertà, le sue imprese erano costantemente giustificate dal voler lottare per una causa più grande. Janni, una volta liberatasi del manto paterno, sembra scegliere una nuova strada, quella di attaccare in maniera costante il potere, più una Robin Hood che una Nemo, con lo scopo nemmeno troppo velato di sfidare chiunque governi il mondo. Almeno inizialmente Janni sembra mancare di motivazione.
Le cose vanno meglio nella seconda storia, le Rose di Berlino. Di certo in questo racconto l’abilità di Moore di inserire citazioni e riferimenti meta-narrativi viene espressa al meglio, esaltando di conseguenza anche le abilità di O’Neill, il cui tratto sembra esaltato all’idea di poter rappresentare scene tratta da classici del cinema come Metropolis e Il Grande Dittatore. Anche Janni sembra giovare da questo ambiente e da questa storia: posta per la prima volta in inferiorità sotto il profilo tecnologico, la nuova Nemo guadagna molto in motivazioni, trasformandosi in una madre alla disperata ricerca della figlia.
Proprio qui nasce un’evoluzione nel modo di raccontare questa nuova generazione da parte di Moore: il ritratto familiare dei Nemo assume una nuova dimensione, quello di una costante eredità con cui deve convivere non solo Janni, ma anche sua figlia e i suoi nipoti. Lottare per chi è più debole, andare oltre la mera pirateria, è la ragione che spinge un Nemo a combattere.
Il fiume scorre
I tre racconti di Nemo, pur essendo di per sé autoconclusivi, si mostrano come il racconto di una vita intera. Seguiamo le avvenuture di Janni dal 1925 al 1975. Cinquant’anni che sono la parabola di un’esistenza, una formazione che vede la protagonista diventare donna, madre e mentore di una futura generazione.
Lo stesso Moore sembra tuttavia voler cambiare a ogni racconto le carte in tavola. Il ritmo della narrazione, i riferimenti e l’intero contesto della storia mutano al mutare delle epoche e della personalità di Janni. Un cambiamento che sembra anche rispecchiare quello realizzato da Moore nel corso della sua carriera, che sembra tenere conto di come sia mutato il mondo dal 1999.
Pur ambientato nel mondo della Lega degli Straordinari Gentlemen vuol dire parlare di un’opera molto diversa, che cerca di non arrendersi all’idea di essere semplicemente erede di qualcosa di più grande. Al contrario Moore e Nemo cercano il proprio spazio. Sgomita, scalcia e sciabola per poter essere un’opera a sé.
Il risultato sembra tuttavia raggiunto solo a metà: per quanto piacevole l’intera lettura di Nemo non riesce a cancellare dalla mente quanto letto nella storia del suo predecessore. L’immagine dei volumi della Lega degli Straordinari Gentlemen resta un convitato di pietra con cui è difficile fare i conti, capace di appannare i buoni risultati raggiunti da un’opera con soluzioni grafiche e narrative di spessore.
La fatica più grande con Nemo non spetta dunque ad Alan Moore: il passo in più deve essere compiuto dai lettori. Non è necessario uccidere il proprio padre per uscire dalla sua ombra. Al contrario, è meglio renderla parte di sé, farne parte della propria storia su cui costruire qualcosa di nuovo. E in questo lo spin-off riesce in maniera perfetta a integrare l’intera vicenda. La Lega è ancora viva, ma essa diventa qualcosa di differente, parte di una tradizione, una “lore” che fa da sfondo a una vicenda capace di vivere di luce propria. Sempre che il lettore voglia accendere quella luce.