Ghost in the Shell: SAC 2045 è il nuovo tassello di un franchise che ha ormai trent’anni. Sarà all’altezza?
Da punto di riferimento per le serie TV, Netflix sta lentamente cercando di diventare anche il punto di riferimento per l’animazione giapponese, producendo direttamente molti anime, anche con nomi di richiamo. Esattamente tra questi grandi nomi rientra Ghost in the Shell: SAC 2045, ultimo nato del franchise creato da Masamune Shirow nel 1989.
Come abbiamo più volte osservato, Ghost in the Shell ha diverse continuity che sono andate sviluppandosi negli anni, ognuna fondamentalmente slegata dalle altre se non per il setting, il cast dei personaggi e alcuni macrotemi ricorrenti.
Ghost in the Shell: SAC 2045 si va a collocare nell’arco narrativo di Stand Alone Complex, senza però richiedere la conoscenza di quest’ultimo per essere fruito, come fosse un soft reboot.
La storia è ambientata, come intuibile, nel 2045: la Sezione 9 della pubblica sicurezza è ormai chiusa, e il team di Motoko si è reinventato come gruppo mercenario per rispondere alla nuova situazione di guerra globale. La premessa della storia è infatti un default globale che ha messo in ginocchio l’economia mondiale. Per far fronte alla tragedia e risollevare le finanze degli stati più forti è stata costruita una situazione di eterno conflitto chiamata “guerra sostenibile”, grazie alla quale l’economia internazionale continua a girare.
Questo nuovo stato delle cose ha chiaramente inasprito il distacco economico tra le grandi potenze e le altre nazioni, con le prime non interessate direttamente dal conflitto, e le altre teatro dei conflitti stessi. Proprio in questa situazione incontriamo l’ex Sezione 9, intenta a combattere una guerra che non gli appartiene. La situazione cambierà rapidamente, conducendo alla scoperta di una nuova minaccia, i post-umani, e alla rifondazione della Sezione 9.
La premessa è certamente interessante, e di spunti ce ne sarebbero a bizzeffe se Ghost in the Shell: SAC 2045 non soffrisse di una fortissima crisi d’identità che non gli permette di capire in che direzione muoversi. Ghost in the Shell è sempre, primariamente, stato un terreno di riflessione vestito da thriller cyberpunk. Politica, questioni sociali, significato dell’Io, questioni di genere, guerra, sicurezza, tecnologia, in Ghost in the Shell si sono sempre esplorati diversi campi, rendendo evidente che non c’è un solo vero nucleo tematico attorno a cui ruotare, ma tutto può essere piegato alla visione dell’autore di turno.
Di volta in volta, però, si è cercato di dare rilievo a una problematica specifica, esplorandola. Ghost in the Shell: SAC 2045 invece cerca di buttare tutto nel calderone, facendoci intravedere di sfuggita diversi spunti interessantissimi, senza però dare la giusta importanza a nessuno, risultando un pot-pourri che non riesce ad essere organico. Democrazia diretta, gogne social, immigrazione, rapporto degli anziani con la tecnologia e il mondo che cambia, economia internazionale, guerra, rapporti del Giappone con gli USA, disaffezione verso la classe politica: ce ne sono di cose, probabilmente anche troppe.
La stessa confusione è riscontrabile anche nella struttura della serie, che inizia in modo estremamente diluito apparendo come un banale thriller bellico fantascientifico, per poi prendere la rincorsa da dopo metà stagione sotto il profilo tematico (in modo maldestro, come si è visto) e narrativo (tornando ad essere un buon thriller sci-fi), infilando in mezzo un episodio filler interessante (anche se un po’ semplicistico e “populista”) e distribuendo a casaccio lo spazio a schermo ai vari antagonisti, per poi chiudersi con un finale che non conclude nulla di quello che si è aperto.
L’elefante nella stanza è però un altro: l’aspetto estetico. Se tutto quello che si è detto fin ora certamente non descrive una serie eccellente, è d’altra parte vero che il respiro così ampio del finale potrebbe portare, nella seconda stagione, a un recupero intelligente dei temi trattati per svilupparli in maniera consona, rendendo Ghost in the Shell: SAC 2045, quando si avrà una visione d’insieme, un prodotto interessante con un inizio claudicante.
L’aspetto estetico è invece veramente drammatico, ed incredibile che Production I.G, al lavoro sul suo brand forse più importante, abbia potuto confezionare un prodotto di questo tipo. Come avviene ormai spesso, Ghost in the Shell SAC 2045 è interamente realizzato in 3D, ma non nell’eccellente 3D di Beastars.
I personaggi sembrano delle (brutte) bambole di plastica inespressive, e le animazioni sono estremamente povere e irrealistiche. Gli scenari, invece, sembrano dei tristi e spogli fondali costruiti riciclando continuamente gli stessi (pochi) elementi.
Alla questione della povertà tecnica e della sensazione di cheap si somma una totale mancanza d’ispirazione. Scordatevi le credibili città gremite di persone, macchine e insegne al neon, in Ghost in the Shell: SAC 2045 manca totalmente il tratteggio di un mondo credibile e affascinante.
Il fascino del franchise è sempre stato costruito anche sulla realizzazione di un mondo cesellato minuziosamente, pieno di dettagli utili a definirne l’identità, aggiungendo valore a tutto il bagaglio narrativo e tematico. In questo caso, invece, da guardare non c’è veramente nulla, purtroppo.
Complessivamente però Ghost in the Shell: SAC 2045 non è così drammatico. Certo, bisogna superare l’impatto con un 3D veramente pessimo e con i primi episodi, ma avanzando si riescono a intravedere delle possibilità che non vengono veramente sfruttate da questa prima stagione, ma che speriamo trovino spazio nella seconda.
Quello che rimane a fine visione è la speranza di un futuro migliore (per la serie) e la consapevolezza di aver visto un piacevole thriller cyberpunk realizzato in modo veramente confusionario.
Promosso? Per ora sicuramente no, vediamo come va a settembre.