C’è vita oltre a Netflix e Amazon Prime Video: RaiPlay è gratis e ha tantissimi ottimi contenuti da scoprire. Ecco perché andrebbe rivalutato
L’approccio al piccolo schermo è radicalmente cambiato nell’ultimo decennio. Le catene dei palinsesti sono state finalmente spezzate, liberando gli spettatori dall’ormai anacronistica dittatura dei vecchi tempi televisivi.
La rigidità degli orari, gli intermezzi pubblicitari, gli sbalzi temporali delle programmazioni. Un ricordo per molti, la realtà quotidiana per chi nostalgicamente rimane ancorato alle vecchie tradizioni televisive e dal miraggio della diretta.
Lo streaming ha innescato una rivoluzione culturale, che ha creato un percorso irreversibile, rimodulando il modo di fare e percepire la tv.
Tra il 2015 e il 2016 l’arrivo impetuoso di Netflix e Amazon Prime ha rimescolato le carte presenti da decenni e da allora termini e concetti come binge watching, rewatch hanno recitato il de profundis della serialità televisiva vecchia maniera.
Ma se i due colossi dell’intrattenimento hanno da sempre interpretato i ruoli di leader e co-leader dell’universo on demand, sono nate tantissime piattaforme che offrono servizi analoghi.
Nell’Oceano dello streaming c’è un’isola su cui approdano in pochi. Bistrattata e non contemplata. Eppure avrebbe più di un motivo per essere meta fissa dei propri viaggi televisivi. RaiPlay è da sempre considerata poco appetibile dagli spettatori, ma ha un potenziale capace di catturare la vostra attenzione. Oltre ovviamente ad essere un portale gratuito. Ecco 5 validi motivi per rivalutarlo immediatamente.
Televisione 2.0
Se RaiPlay è da sempre sottovalutato, uno dei motivi sicuramente è imputabile a quella patina di polvere e vecchiaia che la rete nazionale ha inglobato negli anni. Basta scorgere in lontananza il logo RAI e subito si materializza nella mente il parente anziano che cerca di indovinare ogni quiz dell’Eredità o che si appunta passaggi di un’improbabile supercalorica ricetta de La Prova del cuoco.
Se si riesce a superare il muro del preconcetto dell’antiquariato televisivo, si iniziano a percepire le potenzialità dell’on demand griffato RaiPlay.
Una della caratteristiche che lo rendono differente dai due giganti a stelle e strisce è il legame con la programmazione canonica del piccolo schermo. Sottostare agli orari classici e alla dittatura visiva e sonora degli spot pubblicitari è come prendere una macchina del tempo e tornare in loop nel passato. Non si esce vivi dagli angusti cunicoli del palinsesto e si permane in una situazione di semi schiavitù in cui il telecomando regala l’illusione della libertà e della scelta.
Rai Play rompe il tabù temporale e permette, anche a chi ha voglia di tornare nella propria casa natale televisiva, di poterlo fare, senza l’inquietante presenza della programmazione classica. Soltanto chi negli anni novanta si avventurava con l’avveniristico ShowView e inseriva magiche sequenze nel proprio videoregistratore ha respirato questo senso di libertà.
Nostalgia canaglia
Il marketing degli ultimi anni ha sancito che puntare sugli effetti nostalgici ripaga profumatamente. L’effetto madeleine proustiane viene ormai abusato in ogni settore dell’intrattenimento. Ambientazioni, personaggi, citazioni provenienti dagli anni ottanta e novanta hanno invaso le produzioni televisive e cinematografiche. L’universo culturale in cui viviamo ha il dolce profumo dei ricordi del passato. Ma è un salto temporale artificioso, in cui la nostalgia viene ricostruita con escamotage psicologici diretti dal freddo marketing.
RaiPlay invece offre il lato buono della forza malinconica. Quello autentico, che con un click riporta negli anni della propria infanzia. Senza dover indossare le lenti deformanti delle nuove produzioni.
Dai primi programmi con la Dandini e Guzzanti alle sfide di Scommettiamo Che. Dallo Sherlock Holmes di Miyazaki a La Piovra. Andare a caccia di nostalgia nelle sterminate teche Rai è appagante. Si torna subito bambini, senza l’ammiccante post produzione che applica filtri retrò a prodotti contemporanei. Perché “la risposta è dentro di te. E però, è sbagliata”.
Cinema d’autore
Netflix ha stravolto la fruizione del cinema. Non solo grazie alle produzioni che foraggia mensilmente, ma anche nel modo in cui scegliamo di vedere un film. L’apparente libertà di scelta che offre, in realtà è sempre pilotata da un’homepage che necessita di buone abilità di orientamento.
La possibilità di movimento per la maggior parte degli spettatori ricalca i percorsi adventure dei parchi giochi. I binari su cui viaggiano le scelte sono prestabiliti da algoritmi difficili da domare. E che inducono a scegliere pellicole quasi passivamente.
Vengono così penalizzate alcune sfumature che ammiccano al cinema d’essai. Anche nelle sue categorie più nobili ed impegnate, si perde quell’aspetto cinematografico legato ai grandi autori e festival del passato. RaiPlay colma queste lacune egregiamente. Da una parte concede agli spettatori una scelta più limpida, con elenchi in ordine alfabetico. Dall’altra copre un arco cinematografico poco presente nelle altre piattaforme on demand.
La categoria Fuori orario. Cose (mai) viste ricalca le scelte audaci ed encomiabili fatte da Enrico Ghezzi nella sua trasmissione. Un programma che, ad orari altrettanto audaci, propone un cinema diverso da quello mainstream e hollywoodiano. Su RaiPlay si può finalmente evitare di non dormire per vedere piccoli gioielli provenienti da un mondo cinematografico autentico e autoriale.
Un pianeta di documentari
Cosa accomuna le generazioni ottanta, novanta e duemila? In realtà pochissimo, ma una costante comune è il sogno infantile di diventare archeologi o paleontologi. Dalle civiltà perdute alla venerazione a tratti religiosa dei dinosauri. Chiunque ha passato una fase della propria infanzia in cui si sognano e inseguono avventure legate ad un aspetto dell’archeologia ovviamente mitizzato.
Se film come Jurassic Park e Indiana Jones hanno acuito la passione, gran parte di questa voglia di scoprire e andare oltre la propria quotidianità proviene da programmi come Quark e i documentari che hanno impreziosito e innalzato il palinsesto Rai. Basta risentire per pochi istanti l’indimenticabile e calda voce del compianto Claudio Capone per rituffarsi in quel mondo di indomabile curiosità . Improvvisamente torna l’irrefrenabile desiderio di scoprire di più sull’educazione dei cuccioli di licaone o su come i fenici realizzassero la porpora. RaiPlay ovviamente amplifica la propria sterminata realtà documentaria, alternando vecchi e preziosi documenti visivi del passato a produzioni recenti.
Made in Italy
Negli anni l’esterofilia, soprattutto in chiave culturale, ha preso il sopravvento. Il prodotto proveniente da altri paesi risulta più appetibile e affascinante. Ma come per il turismo e l’enogastronomia, anche dal punto di vista dell’intrattenimento televisivo, la produzione nostrana ha moltissimi aspetti che andrebbero riscoperti e valorizzati.
Senza ovviamente cadere nelle trappole della fiction Made in Italy, che ammicca ad un target poco giovanile, c’è uno spaccato culturale italiano che meriterebbe di essere approcciato. Dal teatro alla musica, dall’impresa sportiva raccontata da penne e voci sontuose, RaiPlay indirizza grandi e potenti riflettori sull’Italia. Alla (ri)scoperta di luoghi, volti e storie che sono apparentemente vicine, ma verso cui dimentichiamo troppo spesso di volgere lo sguardo e l’attenzione.