Con la miniserie Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversioni Netflix fa luce sui traffici sessuali dell’uomo, ridando dignità alle vittime
Nel suo essere contenitore di storie e racconti tra i più disparati e dislocati in ogni nazione e realtà, Netflix ha tenuto ben presente il confronto con una verità che prescindeva dal puro intrattenimento di finzione, delineando ben presto una sua prospettiva non finalizzata puramente alla fiction, ma intendendo allargarsi all’esplorazione di un aspetto documentaristico che affronta sia l’ambito del lungometraggio che quello della miniserie.
È infatti nota la sfilata di prodotti audiovisivi che la piattaforma ha dedicato ad alcune delle personalità più controverse della scena tutta, curando una propria sezione d’esami di noti serial killer, fino ad addentrarsi nelle dinamiche politiche, sociali e culturali di eventi di massa, aprendo la possibilità di conoscenza per lo spettatore a cui è concesso di alimentare il proprio occhio critico sul mondo.
Ad entrare a far parte di questa serie di verità filtrate attraverso lo sguardo imparziale della macchina da presa è un ignobile personaggio per troppo tempo restato impunito, la cui immagine celeberrima ha deviato dall’attenzione che le sue malefatte depravate hanno causato, lasciato libero di aggredire e fagocitare sempre più vittime, intenzionate più che mai, ora, a parlare.
È Jeffrey Epstein il miliardario newyorkese che trafficò minorenni per gli States e territori internazionali, colui che prometteva duecento dollari in cambio di massaggi che finivano con atti sessuali non consensuali e presentavano una forma di dominanza menefreghista e violenta. Colui che venne indagato e scagionato con tredici mesi di reclusione non controllata, mentre un numero inverosimile di giovani donne continuavano a lottare con i ricordi tremendi e inaccettabili di uno stupro e un abuso che le accompagnerà per il resto della loro esistenza.
Da Palm Beach a New York, dalle isole private alla Francia: il traffico sessuale di Jeffrey Epstein nel racconto di Netflix
È Lisa Bryant a portare nella scatola virtuale di Netflix qualcosa di talmente carnale e tangibile come Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversione, miniserie documentaria che ridà dignità a quelle donne, al tempo solamente bambine, che hanno dovuto subire la macchina gigantesca e inespugnabile di un regno fatto di conoscenze e favori, di minacce e di impossibilità ad attaccare.
Adolescenti, minorenni trasportare da Palm Beach a isole private, che dalla Francia venivano scambiate per una notte a New York e concesse come merce di alcun valore, come un corpo su cui esercitare il proprio controllo.
In un’analisi lucida e minuziosa che va dalle prime accuse – archiviate e rimosse – alla descrizione espansasi a macchia d’olio di una piramide di molestie che ha scoperchiato un vaso il quale ha riversato tutti gli orrori perpetrati da un uomo e i suoi cospiratori su delle ragazze nella loro fase di scoperta della vita, la miniserie della regista Bryant vive delle testimonianze e delle emozioni di quelle stesse donne e di coloro che hanno tentato di aiutarle.
Uno sguardo rimasto senza dubbio vigile sul bisogno di riportare con lucidità le efferatezze disgustose che hanno caratterizzato l’impero sessuale e predatorio di Epstein, la cui forza del documentario passa proprio per il desiderio di riportare una verità in maniera più cristallina possibile, soffrendo per l’impensabile facilità con cui potere e conoscenze possono stringere in una morsa di impotenza tutte coloro che finivano impigliate in quella ragnatela di stupri e indecenze, perpetrate da una giurisdizione che troppe volte ha favorito la buona uscita di questi aberranti comportamenti.
La società dello stupro e le svolte del MeToo
Nell’addentrarsi, dunque, nell’indagine investigativa dell’affare Epstein, la serie adotta comunque un’empatia di cui il magnate era completamente sprovvisto, in vita come nella morte. Comprensione non certo verso quell’uomo indicibile accusato da più di diecimila vittime, minorenni e non, ma per quelle donne e il coraggio che ha permesso loro di affrontarlo a viso scoperto.
Perché oltre alla descrizione manipolatoria e influente dell’uomo Jeffrey, alla rete di silenzio che lo avvolgeva e ai crimini che su qualsiasi fronte ha commesso, Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversione riesce a esprimere quell’impegno ingente, irrefrenabile, genuino che tanti altri hanno dimostrato verso le giovani coinvolte. Un barlume di bellissima speranza, di lotta continua e costante, imprescindibile e umana quanto ideologica che ha combattuto per togliere la libertà politica a colui che aveva sottratto quella vitale e indipendente a tutte quelle ragazzine, avvicinando anche il pubblico in questo scontro che ci riguarda tutti.
Affrontando una paura che spaventa più di qualsiasi film, arrabbiando e emozionando pur nella sua fattura millimetrica che fa sentire lo stesso spettatore senza vie di uscita, Jeffrey Epstein: soldi potere e perversione tratteggia un percorso avanti e indietro negli anni per mostrare il cambiamento che la società dello stupro sta attraversando, una progressione che ha portato fino alla rilevanza di un movimento come il #MeToo e ciò che ha generato e che non concederà mai più alle schifezze perpetrate da pochi “eletti” di venire giustificate.
Quella di Jeffrey Epstein, come quella del suo amico Harvey Weinstein (e si spera di famosi altri, a partire dal Presidente degli Stati Uniti Trump al britannico principe Andrew), speriamo possa essere la riprova che qualcosa si sta finalmente smuovendo, che quelle cicatrici inferte alle vittime vengano messe alla luce, guardandole intensamente e pensando che qualcosa del genere non debba avvenire mai più. Mai più.