Non abbiamo bisogno di convincervi: il cinema di Alfred Hitchcock è stato, è e sempre sarà intramontabile
Pochi autori, nel cinema, resistono al passare del tempo come Alfred Hitchcock. A dirla tutta, molti grandi classici iniziano ad accusare il colpo degli anni, appesantiti da una patina vintage che li rende immediatamente riconoscibili. Anche Hitchcock, chiaramente, è figlio (e padre) del suo tempo e i suoi film hanno un’estetica ben inquadrabile negli anni in cui sono stati girati. Eppure, c’è una tale potenza nelle sue storie e – soprattutto – nel modo in cui sono girate, da renderli sempre e comunque attuali.
In una famosa intervista fatta da François Truffaut al Maestro del brivido, il regista della Nouvelle Vague disse che Hitchcock era in grado di scrivere con la cinepresa. Ovvero, sapeva controllare ogni singolo aspetto della realizzazione per creare esattamente quello che aveva in mente. La cura quasi maniacale con cui il regista metteva in piedi le sue produzioni è – d’altro canto – Storia. Ogni testimone che ha avuto l’onore di lavorare con lui, descrive un professionista del tutto dedito all’arte cinematografica, reso terribilmente affascinante da una serie di piccole, grandi ossessioni.
Quel senso di profonda soddisfazione che regala il cinema di Hitchcock
In effetti quello che accomuna tutti i film di Alfred Hitchcock è la sensazione, a storia finita, che tutto è andato esattamente come doveva andare. Anche se attualmente l’apparato tecnologico che gravita attorno al cinema è decisamente andato avanti, la perizia tecnica che il Maestro si sforzava di perfezionare, pellicola dopo pellicola, riesce a rendere l’esperienza sempre coinvolgente.
Né pura forma, né puro contenuto, oppure tutte e due le cose insieme: Hitchcock è stato colui che per primo ha sdoganato il cinema popolare tra i grandi autori. Parafrasando ciò che afferma Martin Scorsese nel bel documentario Hitchcock-Truffaut di Kent Jones, senza di lui molti registi contemporanei non avrebbero avuto il coraggio di essere loro stessi.
Spesso si definisce Alfred Hitchcock come un regista in costante dialogo col pubblico, che pensava al suo cinema in relazione ai desideri, alle paure e all’intimità degli spettatori. Questo è abbastanza evidente dall’acutezza con cui il Maestro riesce sempre a intercettare ciò che si muove nelle viscere dell’essere umano, la sua attrazione per il macabro, o le perversioni sessuali più sottili. Il tutto mai fuori misura, mai “poco elegante”, ma incredibilmente sempre là dove deve stare, con la perfetta intensità.
La filosofia del brivido
Allo stesso tempo, Hitchcock dichiarava serenamente che non era interessato a riprodurre la realtà esattamente per quella che era. Il cinema, infatti, doveva essere qualcosa di più: di più forte, di più perfetto, di più emozionante. In fondo, perché pagare per vedere sullo schermo quello che si può vedere nella vita di tutti i giorni?
Forse per questo, forse per una naturale inclinazione verso il proibito, durante la sua lunga carriera scelse prevalentemente il genere thriller, concedendosi qualche incursione nello spionaggio e nell’horror (anche se su questa definizione ci sarebbe da discutere). Ogni volta che si accostava a un sottogenere, ne riscriveva la storia aggiungendo un’invenzione geniale che – da là in avanti – avrebbe fatto scuola. Basti pensare alla sequenza di Intrigo internazionale, dove Cary Grant è inseguito da un aeroplano e il senso di pericolo si gioca proprio sul trovarsi in uno spazio aperto, senza possibilità di nascondersi o fuggire. Quella sequenza, come tante altre escogitate da Hitchcock per amplificare l’emozione dell’esperienza cinematografica, è entrata a buon diritto nei manuali di regia, ispirando generazioni di autori.
Il cinema di Hitchcock: alcuni elementi-chiave
Pur scegliendo storie sempre diverse, senza fili narrativi comuni, il cinema di Alfred Hitchcock è composto da alcuni pattern riconoscibili. Uno dei tanti meriti che gli si riconosce, per esempio, è quello di aver sviluppato meglio di chiunque altro la psicanalisi freudiana sullo schermo. Indubbia è la presenza ricorrente del tema del “doppio” come elemento perturbante, come un’anomalia che genera caos e angoscia: a questo proposito, esemplare è lo svolgimento de La donna che visse due volte, dove lo spaesamento del protagonista Scottie (James Stewart) è dato sì dalla vertigine (che il regista ha riprodotto inventando l’effetto-Vertigo, con uno zoom all’indietro e una carrellata in avanti) ma anche dall’avere a che fare con due donne perfettamente identiche.
Un altro elemento ricorrente è l’uso del registro brillante. Quasi ogni dialogo del cinema di Hitchcock è pervaso da un’ironia raffinata, oltre che da uno stile recitativo amabile e scattante, reso possibile dalla scelta di alcuni attori-feticcio, come i già citati James Stewart e Cary Grant, ma anche Grace Kelly e Kim Novak – giusto per citare i principali. A ogni attore, Hitchcock ricollegava un “tipo umano”: l’uomo d’azione, l’intellettuale scaltro, la donna-angelo, la femme fatale. Sulle donne, in effetti, ci sarebbe da fare un’analisi a parte, ma non si sbaglia ad affermare che il femminile era un polo di grande attrazione per il Maestro e che lo ha omaggiato in molte sfaccettature.
L’espressività degli oggetti e della tecnica
Quando si dice che il cinema di Hitchcock è studiato in ogni dettaglio, si intende che realmente ogni elemento ha una sua funzione specifica e un suo senso. Tra gli esempi più comuni che avvalorano questa tesi, l’uso della luce nel bicchiere di latte in Sospetto. Qui, Cary Grant sta portando a Joan Fontaine – appunto – un bicchiere di latte: per agganciare l’attenzione dello spettatore verso l’oggetto (sarà avvelenato?) Hitchcock decise di illuminarlo dall’interno. Il contrasto tra il bicchiere come fonte luminosa, l’abito bianco di Joan Fontaine, la figura scura di Cary Grant e la sua ombra allungata sul pavimento confezionano una scena altamente espressionista, che racconta tutto senza bisogno di dialogo.
Così come la scenografia, anche il montaggio ebbe un enorme rilievo nella poetica di Hitchcock, che decise di mettere alla prova questo mezzo in maniera rivoluzionaria. Due film: Psyco e Nodo alla gola. In entrambi il montaggio ha avuto un ruolo sostanziale; in Psycho la scena-madre dura appena 45 secondi ed è stata composta da 72 posizioni di macchina, di cui 35 solo dedicate all’accoltellamento di Janet Leight (e in nessuna di queste si vede il coltello colpire il personaggio!). Proprio l’effetto-raffica, sottolineato dalla perfetta colonna sonora di Bernard Herrmann, confonde e terrorizza lo spettatore che ricostruisce con l’immaginazione ciò che intuisce, ma che non vedrà mai.
In Nodo alla gola, invece, il piano sequenza (ci sono appena dieci tagli in tutto il film, sempre su nero per simulare un lungo, ininterrotto, long-take) crea un’attesa sfibrante, che amplifica la partecipazione dello spettatore alla vicenda, di cui è testimone privilegiato.
Suspance, non jumpscare nel cinema di Hichcock
Che il cinema di Hitchcock sia totalmente dalla parte del pubblico, lo si è già detto. Tuttavia, il Maestro non intendeva la complicità con lo spettatore solo con il “dargli quello che vuole”, ma anche – e soprattutto – con il renderlo partecipe del delitto che va a mettere in scena.
Quello che, in sostanza, contraddistingue il cinema di Hitchcock è il privilegio dell’onniscienza che è riservato allo spettatore. La costruzione della suspense, insegna il Maestro, deriva dal fatto che il pubblico sa qualcosa in più del protagonista e che freme nel vederlo confuso, inconsapevole e in balia degli eventi. Non si trovano quasi mai degli strattoni di regia, i cosiddetti jumpscare che – letteralmente – fanno saltare sulla poltrona. Piuttosto, la paura deriva dalla posizione voyeuristica di chi guarda che – così – riesce a sentire contemporaneamente brivido e piacere.
Anche quando la regia privilegia inquadrature zenitali, lo si può interpretare per rafforzare questa tesi. Oltre a disegnare affascinanti geometrie, lo sguardo dall’alto colloca lo spettatore in una posizione divina andando a soddisfare il suo più intimo desiderio di onnipotenza sui personaggi e sulla storia.
Se si dovesse descrivere con una parola il cinema di Hitchcock, questa sarebbe: “Perfezione“. Non una perfezione soggettiva, dettata al gusto, ma una precisissima realizzazione dell’arte cinematografica. Ecco perché il cinema di Alfred Hitchcock è stato, è e sempre sarà intramontabile.