Il nuovo anime di Trigger, BNA: Brand New Animal è finalmente disponibile su Netflix. Ed è anche molto bello!
Di opere costruite attorno a società di animali antropomorfi, nella storia, ne abbiamo viste molte. Salvi alcuni casi però, queste erano tutte dedicate al pubblico dei più piccoli. Sembra invece evidente che, negli ultimi anni, il genere – se così possiamo definirlo – abbia conosciuto una nuova giovinezza, e abbia abbracciato tematiche più adulte e toni più cupi, come abbiamo visto, ad esempio, in Beastars. In questa nuova ondata di animali antropomorfi si inserisce BNA: Brand New Animal, realizzato da uno degli studi d’animazione che più hanno segnato la produzione giapponese degli ultimi anni: Trigger.
Lo studio, fondato solo nel 2011 da ex Gainax, si è subito affermato per capacità registiche e ispirazioni estetiche e stilistiche fuori dalla norma, ma non solo. La sua opera più nota, Kill la Kill, è artisticamente ineccepibile tanto quanto tematicamente interessante e profonda, se si vuole andare oltre il solo apparente fanservice e la struttura da shōnen.
Le aspettative per BNA: Brand New Animal non potevano quindi che essere alle stelle, dato il setting e il pretesto in grado di far risaltare tutte le peculiarità dello studio giapponese. Il risultato non è eccezionale come Kill la Kill, ma la serie è comunque una bomba.
Nel mondo di BNA: Brand New Animal esistono, oltre agli umani, anche una specie di animali antropomorfi detti zoomorfi. I rapporti non sono ovviamente distesi, e come è facile intuire c’è molto razzismo da parte degli umani nei confronti degli zoomorfi, che dopo una storia di vessazioni non vedono a loro volta di buon’occhio gli umani.
Per cercare di trovare una loro patria gli zoomorfi, con l’avallo del governo giapponese e con l’appoggio di una potente casa farmaceutica, riescono a fondare Anima City, una città su un’isola abitata solo dalla loro specie dove non sono ammessi gli umani.
Michiru Kagemori è (era) una studentessa come tante, divenuta zoomorfa. Un tanuki, per la precisione. La conosciamo mentre è in fuga dalle violenze razziali, che si stanno acutizzando nel momento in cui inizia l’anime, per raggiungere Anima City. Arrivata in città conoscerà Shirou Ogami, uno zoomorfo lupo che collabora con la polizia e che ha come obiettivo la difesa degli zoomorfi dalla violenza degli umani.
BNA: Brand New Animal è nella sostanza un poliziesco dai toni noir ambientato ad Anima City. Non c’è, all’inizio almeno, un unico caso da risolvere, e le puntate si susseguono mostrando diversi spaccati della città e della vita al suo interno, tratteggiando i diversi gruppi sociali, le diverse istanze politiche e i vari poteri che vi operano.
Il world building è decisamente interessante e complesso, se ci si sforza a pensare ai diversi piani di lettura offerti. Anima City è una città quasi priva di regole, dove la malavita ha un potere enorme nei bassifondi, mentre la sindaca cerca di trovare un equilibrio dialogando con il governo giapponese e le altre forze in ballo, nel tentativo di rendere la città un vero punto di riferimento per gli zoomorfi. Le discrepanze sociali sono però acute e lo stacco tra chi vive nei bassifondi e chi vive una vita agiata è forte e sembra mancare di sfumature intermedie.
Le tematiche care a Trigger ci sono tutte e anche in questo caso sono affrontate con intelligenza. Il discorso portante è chiaramente quello della diversità e della minoranza, e lo studio affronta la situazione del gruppo sociale degli zoomorfi sotto ogni possibile punto di vista, pur rimanendo all’interno di un anime di genere.
L’approccio è quindi analogo a quello tenuto con Kill la Kill, ovvero prendere una tipologia specifica di prodotto e utilizzarla per raccontare con apparente leggerezza questioni importanti.
È bello notare come, a metà stagione, ci sia una puntata specifica che sembra essere la quintessenza di questo modo di lavorare dello studio: Michiru viene coinvolta da una squadra di orsi che giocano a baseball a partecipare al campionato. Gli orsi sono ovviamente il team più debole e anche più povero, provenendo dai bassifondi. In questo episodio (Gli avidi Bears) troviamo la perfetta sintesi dello spokon, ovvero l’anime o manga sportivo, che attraverso lo sport raccontava la rinascita e la fuga dalla povertà degli ultimi della società giapponese del secondo dopoguerra.
Tra risate, situazioni surreali, personaggi improbabili e momenti di estrema gravità, Gli avidi Bears racconta un problema serio con delicatezza e intelligenza e questo è quello che succede in tutto BNA: Brand New Animals.
Non bisogna pensare, infatti, che la serie sia una grave riflessione di 12 puntate. Lo è, in realtà, ma il tono è la classica altalena emotiva a cui siamo abituati da Trigger. Ci sono sì i momenti seri, ma ci sono anche i combattimenti, i siparietti comici e i momenti leggeri. Tutto in funzione del discorso di fondo e dell’intrattenimento dello spettatore, istanze apparentemente distanti ma perfettamente coese in questo caso.
Il tutto raccontato con l’inconfondibile stile di Trigger. Non siamo di fronte a un capolavoro di tecnica come nel caso di Promare, ma lo stile è riconoscibile e assolutamente perfetto. I personaggi disegnati con poche linee, spesso geometriche, le campiture di colore piene e l’utilizzo di cromatismi estremi, spesso fluo e in estremo contrasto… tutto rende l’atmosfera di BNA: Brand New Animal eccellente e viva. Come in ogni prodotto di Trigger c’è tantissimo carattere e tantissima attenzione al dettaglio, il tutto concretizzato in una art direction stellare che si sposa magnificamente con il racconto. Anche le sequenze d’azione – uno dei punti di forza di Trigger, senza se e senza ma – sono ancora una volta inappuntabili.
In definitiva? BNA: Brand New Animal non è qualcosa di rivoluzionario e incredibile come fu Kill la Kill, ma rimane comunque un prodotto ottimo. Realizzato con cura tanto sotto il profilo estetico quanto interessante sotto quello tematico, il nuovo anime prodotto da Netflix conferma come Trigger sia uno studio di assoluto pregio che non ne sbaglia una, nonostante si avventuri di volta in volta in generi nuovi.
Vorremmo concludere con una riflessione: il materiale realizzato con queste 12 puntate si può aprire a una quantità enorme di possibilità, prima tra tutte una seconda stagione. Nonostante la storia sia assolutamente autoconclusiva, c’è comunque un ampio margine per raccontare altre avventure all’interno di un mondo che non può dirsi esaurito con la storia di Michiru. Neanche a dirlo, ci speriamo!