Ghost of Tsushima è, prima di tutto, un agglomerato di racconti dell’antico Giappone
Tante cose mi sarei aspettato da Sucker Punch, ma certamente tra queste non c’era la capacità di raccontare storie. Di conseguenza, tante cose mi sarei aspettato da Ghost of Tsushima ma non di avere un tale senso di immersione nel racconto. Mettiamo da parte le spettacolari ambientazioni che certamente sono fondamentali per calare il giocatore nell’antico Giappone però per parlare di tutta quella serie di missioni che il gioco stesso chiama “Racconti”.
Ci sono i racconti di Jin, il protagonista, i racconti dei comprimari, ma anche i Racconti Mitici che ci parlano di leggende di antichi samurai e accarezzano la mitologia e gli altri racconti, tutte quelle missioni secondarie che fanno volume, forse fin troppo, ma che riescono comunque ad avere qualcosa da dire.
Questo si inserisce ovviamente nel contesto narrativo più ampio di Ghost of Tsushima. Il gioco è ambientato durante le invasioni mongole in Giappone, e nello specifico si interessa dell’arrivo dell’esercito di Kublai Khan a Tsushima, che sarebbe dovuta servire come base della successiva invasione dell’arcipelago Giapponese. Ghost of Tsushima si apre con la disfatta dei samurai giapponesi, con Jin unico sopravvissuto della sua casta e ultimo lord dell’isola di Tsushima.
Isola che sarà da lì a breve interamente occupata dall’esercito mongolo e che solo Jin potrà riconquistare villaggio dopo villaggio e castello dopo castello, dovendo però cedere in cambio parte della sua integrità, perdendo di vista l’onore per diventare lo Spettro che dà il titolo al gioco.
Se la vicenda principale non è che sia così incredibile da far girare la testa, è come la storia della riconquista di Tsushima è messa in scena che affascina. Dovremo infatti liberare l’isola da sud verso nord, e nel farlo incontreremo diverse storie di diversa importanza, ma quasi tutte utili a dipingere uno spaccato dell’epoca e della sua vita, dei suoi gruppi sociali e dei loro rapporti.
La narrazione è estremamente coerente perché è tutta orientata nella giusta direzione: Jin è un samurai, e il suo compito è anche quello di aiutare una popolazione allo sbando. Se la struttura è quella classica dell’open world con le varie roccaforti da liberare, in Ghost of Tsushima ha un sapore diverso non tanto nella sostanza, quanto nell’importanza che queste azioni hanno nell’economia del racconto e nel far sentire il giocatore nei panni del protagonista.
Arrivati alla fine del primo atto si percepisce di aver viaggiato da sud verso nord, e si ha la sensazione che i villaggi che non son stati liberati in questa “salita” siano delle sacche di resistenza del nemico che dovrebbero essere soppresse per avere un territorio sicuro da cui far continuare le operazioni e poter continuare l’avanzata senza lasciarsi alle spalle nemici che potenzialmente potrebbero attaccarci alle spalle.
Le missioni secondarie, anche le più banali, puntano tutte in questa direzione. C’è chi ci segnalerà zone da liberare dai mongoli, chi ci dirà che l’esercito nemico viene con la violenza a riscuotere cibo e sakè, o chi ci racconterà dei banditi che si approfittano della popolazione locale data la situazione al limite in cui versa l’isola. Non ci troveremo quindi di fronte a missioni secondarie in cui sarà necessario raccogliere tot erbe, perché verosimilmente nessuno nella realtà chiederebbe a un lord – l’ultimo rimasto per giunta – di andargli a prendere otto canne di bambù.
Questo non significa che le missioni di Ghost of Tsushima siano un concentrato di raffinatezza narrativa mai visto prima, ma certamente Sucker Punch aveva bene in testa la volontà di raccontare qualcosa di sensato e coerente, e allo stesso tempo aveva chiara il tono del racconto e quali sensazioni voleva restituire al giocatore. Le missioni secondarie quindi, per quanto ripetitive, cercano sempre di raccontarci qualcosa di utile a capire cosa sta succedendo nell’isola di Tsushima, e non escono mai dai confini non certo del realistico, ma quantomeno del verosimile in un’opera di questo tipo.
In questo modo il liberare l’ennesimo avamposto nemico o salvare l’ennesimo giapponese in difficoltà acquisisce un valore diverso e si inscrive nel racconto principale e nella sua guerra di riconquista. Il sistema di aumento di reputazione di Jin poi aiuta a far sentire, seppur in modo blando, il peso delle proprie azioni. Lungo il corso del racconto infatti sempre più persone inizieranno a credere nella leggenda dello Spettro, a seguirlo, stimarlo o temerlo.
A fianco delle normali quest secondarie troviamo poi una serie di racconti più spessi e importanti, composti da diverse missioni e utili a capire chi sono gli alleati di Jin. Qui i racconti diventano più personali e sono utili ad approfondire altri aspetti del Giappone dell’epoca, interessando personaggi di diversa estrazione sociale e di diverso ruolo nella società. Ci sarà il racconto di un maestro d’arco così come il racconto di una nobildonna a cui è stata sterminata la famiglia, ma anche monaci guerrieri, ladri e ronin.
Chiaramente in questo caso l’obiettivo dello sviluppatore è quello di farci affezionare ai diversi comprimari che accompagneranno Jin e che saranno interessati dai (pochi) colpi di scena del gioco, ma le caratteristiche uniche di ognuno di questi permettono al giocatore di avere un piccolo spaccato delle diverse realtà che coesistevano nell’antico Giappone, aggiungendo valore e complessità al dipinto storico di Sucker Punch.
Ci sono poi i Racconti Mitici, che vanno a costruire quel pantheon più mitico che mitologico che siamo soliti apprezzare in moltissime produzioni a tema samurai. Senza quasi mai sfociare nel sovrannaturale, seguendo queste missioni ascolteremo le storie di guerrieri semidivini entrati nella leggenda, alla ricerca delle loro tecniche segrete e delle loro fantastiche armi. Il punto potenzialmente più evocativo della produzione, quello in grado di alienarci momentaneamente dagli orrori della guerra per farci vedere quel Giappone da favola che il gioco tratteggia eccellentemente negli scenari, è purtroppo a volte quello più debole, con alcune missioni di raccolta francamente stancanti che mal si sposano con il tono del resto della produzione proprio quando invece Sucker Punch avrebbe potuto osare di più.
Tutto questo si innesta, come detto, in un buon racconto di guerra, senza particolari guizzi o colpi di scena ma comunque solido. I personaggi messi in scena sono interessanti e rappresentano le due anime della guerra di conquista del Giappone, ma anche le due anime con cui Jin dovrà imparare a convivere.
Il voler raccontare il dualismo di Jin, combattuto tra gli insegnamenti sulla via del samurai e l’onore che questa porta con sé e la necessità pratica di dover scendere a compromessi per vincere la guerra non è però pienamente espresso, risultato sì coerente nel racconto ma poco sfruttato quando si tratta di integrarlo nel gameplay. Come sappiamo fin dai primi video promozionali, il gioco può essere affrontato in modalità stealth come uno spettro oppure affrontando i nemici a viso aperto, come un samurai.
Diverse cinematiche del gioco vedranno Jin costretto ad agire al di fuori dell’onore, rendendo di fatto la distinzione tra queste due anime predefinita e non nelle mani del giocatore. Sarà indifferente se per tutto il gioco seguiremo il Bushido o se sceglieremo di agire nell’ombra, perché lo sviluppatore per motivi di trama ha voluto farci comunque stare nel mezzo, facendo però sentire in qualche modo il peso della scelta.
Questa direzione permette certamente a Sucker Punch di esplorare diverse questioni, ma allo stesso tempo va a rompere tutte le possibilità narrative di utilizzare un approccio piuttosto che un altro nel tentativo di decidere le sorti del nostro Jin a partire dalle sue azioni e scelte in battaglia.
Si tratta di uno scivolone certamente non gravissimo, ma che contraddice le velleità interpretative con cui il gioco sembra volerci far rapportare, andando a stridere con l’invece ottimo lavoro sulla coerenza tra gioco e narrazione attuata con le missioni secondarie.
Non aiuta neanche il fatto che la storia di Ghost of Tsushima, intesa come main quest, non sia niente di sconvolgente, ma neanche potrebbe essere diversamente dato il materiale sul quale lavora.
Detto questo però, mi è stato impossibile non amare il calderone di storie che è Ghost of Tsushima. Il più grande risultato del gioco, tolti gli evidenti meriti artistici, è quello di aver saputo raccontare un periodo storico da tutti i suoi punti di vista, siano questi quelli dei grandi generali in guerra con i loro valori e le loro strategie, o siano le piccole storie di un popolo che cerca di sopravvivere a un’invasione. Ci sono delle ingenuità e delle semplificazioni, spesso rese necessarie da esigenze di gameplay o dal genere a cui il gioco appartiene, ma è innegabile che il viaggio nel Giappone dell’invasione mongola non è soltanto un visivamente soverchiante, ma anche narrativamente denso.