Mulan, il remake live action del film d’animazione è finalmente su Disney+, in accesso VIP. Ma serviva davvero?
Dopo una gestazione complessa, uscite slittate tra pandemia di Covid-19 e non solo, le tante richieste di boicottaggio legate alle proteste di Hong Kong, Mulan, il remake in live-action del celebre film d’animazione arriva finalmente su Disney+ (dal 4 settembre), in accesso VIP.
Polemiche terminate? Nemmeno per sogno. Già il suddetto accesso VIP, al costo – in Italia – di 21.99 euro per garantirsi la visione del film, aveva alzato un altro polverone, ma nulla in confronto ad alcune reazioni dell’utenza, che non sembra in linea di massima aver apprezzato particolarmente il film, a dispetto del parere medio dei critici, nemmeno così negativo.
Ad ogni modo la più importante eroina del mondo Disney è tornata, nelle nuove e umane vesti di Liu Yifei, sotto la direzione di Niki Caro. Per i pochi che non conoscono la trama, Mulan è una ragazza che vive in un piccolo villaggio cinese, in un periodo non del tutto definito ma che possiamo ricondurre intorno al IV o V secolo d.C.
Quando però incombe l’oscura minaccia degli invasori, condotti dal guerriero Böri Khan (interpretato da Jason Scott Lee), l’Imperatore della Cina emette un decreto per cui un uomo per famiglia è costretto a servire l’esercito imperiale per difendere il paese.
Hua Mulan, la figlia maggiore di un guerriero onorato, decide di intervenire di nascosto, fuggendo dal villaggio in piena notte per prendere il posto del padre malato. Si fingerà uomo, mostrando ben presto le sue incredibili capacità e i suoi “poteri”.
Intrattenimento e poco più
L’osservazione più semplice da fare, a questo punto, è una: serviva davvero questo remake di Mulan? La risposta è ovvia: no, non serviva. Nella stessa misura in cui non ci sembra necessaria la totalità dei remake live-action, da molti considerati come segno della crisi di un cinema che non vuole rinnovarsi (perché sa farlo) e cerca facili escamotage per l’incasso sicuro, assicurandosi di sbigliettare, o vendere gli accessi VIP, alla più ampia fetta di pubblico, quella in cerca dell’entertainment più puro. E di certo il live action di Mulan, al netto dei suoi difetti, intrattiene piuttosto bene.
Ciò che non può fare è sfruttare tutta quella serie di elementi congeniali ad un film d’animazione, dall’amato Mushu qui sostituito da una fenice a cui viene affidato un ruolo allegorico, ai tanti aspetti a cui risulta difficile se non impossibile dare quella potenza evocatica caratteristica del cult Disney.
Molti passaggi chiave del film, come ad esempio il richiamo alle armi del padre di Mulan, malato e claudicante, risultano nell’opera di Caro ben più banali e meno emozionanti di quanto ce li ricordassimo ed ecco che quasi inevitabilmente il film si converte in men che non si dica in un Wuxia, condito da girl power.
Mulan: donne, uomini e magia
È in quest’ottica dunque che va visto il live action di Mulan, ed è proprio per questo che tra i migliori passaggi del film annoveriamo il momento dell’addestramento della ragazza, passaggio chiave affinché diventi un soldato e poi un condottiero, fino a tramutarsi in leggenda. Stavolta sono i suoi innati poteri, più che la sua scaltrezza e intelligenza a fare di lei l’eroina che salverà l’Impero, ma proprio per questo – oltre che per le mancanze nella performance attoriale di una Liu Yifei non particolarmente espressiva – la protagonista manca di quel carisma che dovrebbe brillare sullo schermo, come invece riescono a fare solo gli artifici della magia (nera) utilizzata sovente dalla reale antagonista (almeno in un primo momento) di Mulan, ovvero la strega Xianniang (Gong Li).
In linea generale un po’ tutto l’aspetto dell‘introspezione psicologica dei personaggi sembra venire meno, e nessuno di loro riesce ad emergere in tal senso, salvo forse in qualche passaggio Böri Khan, nonostante sia quello che più di tutti perde il confronto con il corrispettivo animato, ovvero il cattivissimo Shan Yu.
La sovracitata strega Xianniang è potenzialmente una new entry interessante, a cui è affidato il compito più importante: inserire la magia come elemento giustificatorio del passaggio da animazione a live action, peraltro privo persino della componente musical (oltre all’umorismo), che invece alcuni predecessori hanno scelto di mantenere.
Accettiamo tutto questo e abbracciamo anche l’idea di veder sulla scena la strega come contraltare di Mulan. Entrambe sono donne che cercano di inserirsi in un mondo dominato dagli uomini, che seguono pedissequamente le regole del patriarcato allo stesso modo in cui Niki Caro prova a seguire l’opera originale, e che sembrano non accettare l’emancipazione femminile. Ma soltanto una delle due sceglie di farsi largo seguendo le tre virtù, ovvero lealtà, coraggio e sincerità, e questa è Mulan, che ne aggiunge alla lista persino un’altra, la più importante: la devozione alla famiglia.
È per loro che Mulan si lega i capelli (non li taglia), avvolge il seno in una stretta fascia e parte in sella al cavallo di suo padre.
Tematiche purtroppo risolte in fretta e furia, mentre si sceglie deliberatamente di dare maggiore spazio ad addestramenti e battaglie, anche emozionanti e ben studiate sebbene rigorosamente senza sangue in pieno stile Disney, ma dagli effetti visivi poco credibili e non così brillanti come ci si aspettava, anche in considerazione di un budget consistente. Mulan, in sostanza, non fa altro che saltare per gran parte del film, dalle prime sequenze in cui insegue un pollo, che sembra essere l’unico – incredibilmente – a sfuggirle, fino al final boss, ma anche in termini di azione si poteva osare di più, così come manca un po’ di cuore e un pizzico di divertimento. Intrattiene, è vero, ed è quello che ci aspetta da un live action Disney, tuttavia le sue mancanze e i suoi difetti, oltre alla troppo ordinaria resa da remake, ci fanno tornare inevitabilmente alla domanda iniziale: serviva davvero?