Dopo anni di anticipazioni che hanno contribuito ad accrescere la curiosità per il progetto, è finalmente uscito per PC e Switch il videogioco platform Spinch
Ve ne avevo già parlato in occasione dello Steam Summer Festival e già allora non mi sono risparmiato nel scriverne il mio entusiasmo. Ora che è approdato nella sua forma completa e finale posso dirlo senza troppi misteri: Spinch è il gioco che sognavo di giocare per le premesse che poneva sul piatto. Queste riguardavano principalmente il direttore artistico coinvolto nel progetto, il fumettista canadese Jesse Jacobs per il quale ho un debole che non nascondo e che mi fa pendere in modo irrazionale a favore di qualunque cosa realizzi. Sono quindi lieto di accompagnarvi all’interno di questo coloratissimo mondo, all’interno del quale c’è decisamente di più che tanto colore e svarioni psichedelici senza contesto.
Ars technica in Spinch
Prima di lasciarmi andare troppo con il sentimentalismo, è opportuno fare un piccolo passo indietro e snocciolare un po’ di dettagli circa il progetto e chi lo ha realizzato, in modo tale da fornire a chi legge un contesto per capire perché Spinch è in potenza un prodotto decisamente più stratificato di quanto può apparire tanto dai trailer quanto pad alla mano.
Il gioco si presenta come un platform dallo schema di comandi asciutto ed essenziale che, in uno stile abbastanza tipico per il genere, nasconde al suo interno una profondità meccanica e soprattutto una curva di apprendimento piuttosto dense e complesse da padroneggiare. Potremmo dire che, spingendo l’acceleratore sulla lingua, ci troviamo nella sfera del Paradiso degli speedrunner, un contesto in cui provare e riprovare un determinato livello diventa esercizio per affinare la propria tecnica e la padronanza con salti al millimetro e tempismo svizzero.
Il lavoro di programmazione, game e level design svolto da Queen Bee Games gravita quindi intorno al tecnicismo e al gioco inteso come sfida contro il tempo, se stesse e se stessi. Un mondo in cui è il solo gameplay a fare la differenza, unito alla pazienza e alla dimestichezza che chi sta giocando decide di investire pagando in tempo e sudore. Questo approccio, però, porta con sé grandi rischi: uno su tutti quello di incappare in una sterilità di fondo che rischia di rendere poco incisivo tutto quel che non è meccanica, relegato a pretesto su cui far ruotare la componente ludica anziché accompagnamento con cui arricchire il pacchetto.
Ed è qui che entra in gioco, un po’ a sorpresa, un impianto artistico che ha il compito di rendere personale e formalmente riconoscibile Spinch, in modo tale che possa essere unico e non fraintendibile con il resto. Come già anticipato, la direzione artistica del gioco è stata affidata a Jesse Jacobs il quale ha letteralmente intriso del suo stile e della sua personalità il progetto. Ogni livello del gioco, infatti, risplende di colore, geometrie concentriche e strane creature biomeccaniche tipiche dello stile del fumettista canadese. Estetica che non è solo un’aggiunta a supporto del ludico ma anzi – come vedremo di seguito – ne aggiunge temi e argomenti creando un mondo di gioco che possa essere vibrante e vivo.
Tra lisergia e scienza
Come già parzialmente trattato nei paragrafi precedenti, l’estetica di Spinch non è soltanto un supporto di abbellimento, ma un vero e proprio spazio in cui far emergere intenti e senso. Gli accostamenti cromatici e le forme psichedeliche, infatti, sono le dimensioni in cui approdano i significati profondi del progetto. Non si tratta soltanto di un vezzo, di una patina messa per abbellire, ma anzi di uno strato parallelo che si fonde con il resto aggiungendo componenti.
Lo stile grafico e la premessa narrativa di Spinch sono dunque l’occasione per intensificare il valore significativo dell’opera. Nello stile tipico di Jacobs, la psichedelia si fonde con la biologia unendo spiritualità e scienza in un tutt’uno coerente. Il contesto narrativo che parla di colori diventati senzienti e voraci dei piccoli della razza che dà il nome al gioco non è soltanto un accessorio ma un vero proprio punto di partenza tematica.
Da qui si dipana un sottotesto che unisce divino, trascendenza e oggettività. Un discorso che viene espresso praticamente solo col visivo senza mai prendersi la briga di eccessive e inutili spiegazioni ma che, piuttosto, vuole arrivare a chi gioca in modo indiretto ma decisamente più efficace. Jacobs ci immerge totalmente nel suo mondo e nelle sue riflessioni sulla natura e sull’esistenza di altre esistenze e dimensioni con le immagini, anziché con digressioni fuorvianti. Ed è questa la potenza del racconto: la sua non-esistenza.
A tutto questo, in modo assolutamente fluido e coerente, si aggiunge poi la componente sonora curata dall’artista e musicista canadese James Kirkpatrick. Le composizioni da lui create attraverso il circuit bending di vari modelli di GameBoy non solo contribuiscono ad arricchire l’appeal retro del gioco ma, con la loro atmosfera sognante e psichedelica, ne arricchiscono i temi e i sottotesti. Le partiture ripetitive e gli arrangiamenti elettronici sono un altro strato di senso all’interno di Spinch.
Per concludere: Spinch è un platform ostico e complesso non soltanto per la sua componente ludica. La costruzione a strati operata da Queen Bee, Jesse Jacobs e James Kirkpatrick è frutto di una convergenza di intenti e idee che si dipana a seconda di quanto chi gioca vuole approfondire. Un gioco che è frutto di un lavoro di sperimentazione fatto su tutti i moduli che compongono il medium videogioco, senza mai lasciare indietro e al caso nessuno di questi.