Arriva su Netflix La vita davanti a sé. Edoardo Ponti dirige la madre Sophia Loren in un romanzo popolare che parla d’integrazione e di speranza
La vita davanti a sé è un film da commentare per molti motivi. In primo luogo, condivide la sfortunata avventura distributiva con molte opere coetanee, bloccate nel loro naturale passaggio verso la sala dalla pandemia in corso. Finisce, così, in un contenitore in cui il film ci sta un po’ spaesato, fuori luogo: il catalogo Netflix.
La vita davanti a sé è un prodotto molto classico, che unisce temi di forte ispirazione sociale a un cast altrettanto tradizionale. Su tutti, il grande ritorno di Sophia Loren sullo schermo. Assieme a lei, Renato Carpentieri, con alle spalle una solida tradizione performativa e uno dei volti di Gomorra, Massimiliano Rossi.
Nel ruolo del protagonista Momo, invece, troviamo il piccolo e talentuoso Ibrahima Gueye. Uno “scugnizzo” a tutti gli effetti, ben integrato nella vita dei bassi di una grande città del Sud Italia. La sua pelle, il suo nome – però – raccontano una storia diversa, ispirata da una patria lontana, mai realmente vissuta. Le due grandi solitudini, di Rosa (Loren) e Momo (Gueye) si scontreranno e incontreranno, selvatiche e traumatizzate allo stesso modo. Ne nascerà un grande amore, che culminerà nel commovente finale.
La vita davanti a sé: il dramma del diverso
Momo ha 12 anni e vive da orfano, tra piccoli furti e le lezioni che frequenta controvoglia. Rosa, anzi, “Madame Rosà”, è una “donna che ha fatto la vita”, una ex prostituta che vive accudendo i figli delle altre. Al momento del primo incontro tra i due, Rosa sta ospitando altri due bambini, mentre Momo è sotto la potestà di un anziano medico (Carpentieri). Una serie di elementi convinceranno i due personaggi – estremamente reticenti – a iniziare la loro convivenza.
In alcuni momenti di questo primo periodo insieme, di per sé conflittuale, i due inizieranno a riconoscersi. Le loro esistenze sono tragicamente accomunate dal senso di emarginazione, dall’essere bestie feroci braccate dalle avversità della Storia. Rosa, infatti, ha alle spalle un’esperienza traumatica: da ragazzina era tra i deportati ad Auschwitz, un inferno che le è rimasto impresso nella mente e che inizia a riemergere con sempre più prepotenza.
Nel caso di Momo, invece, il ricordo della sua prigionia è vivido e presente. Figlio anche lui di una prostituta, gestisce a malapena una carica aggressiva che lo porta a mettersi in opposizione con chiunque cerchi di prendersi cura di lui. Il suo è un dramma più attuale, ma non per questo meno doloroso: quello dell’immigrazione, della paura dell’espatrio, del vivere di espedienti, da clandestini.
Netflix e il grande dramma popolare
Si è già detto in apertura come la confezione di Netflix sembri stonare un po’ con La vita davanti a sé di Edoardo Ponti. Si può osservare, allo stesso tempo, la presenza nel catalogo SVOD di titoli da grande schermo, talvolta talmente ambiziosi da non essere accolti se non da questa realtà relativamente giovane. È un discorso valido per grandi epopee come Roma di Alfonso Cuarón o The Irishman di Martin Scorsese, ma non esattamente calzante per il film di Ponti.
In effetti, è abbastanza chiaro come la destinazione de La vita davanti a sé sia stata pensata originariamente come differente, e decisamente più classica. Non è solo una questione di formato, ma anche a soprattutto di target. Il dramma di Ponti – tratto dal romanzo del francese Romain Gary – è un film perfettamente nel canone della tragedia all’italiana di cui la Loren è la più rinomata ambasciatrice vivente.
La signora Loren, infatti, affronta con disinvoltura l’avventura di un ritorno sullo schermo, giustificando la sua scelta anche come un gesto d’amore materno. Questo fa onore a questa grandissima diva, che regala al pubblico un personaggio femminile intenso, che rivive in sé tutta la storia del simbolo che la Loren è diventata nel tempo. In Rosa convivono sia la Filomena Marturano di Matrimonio all’Italiana, sia l’Antonietta Tiberi di Una giornata particolare.
Su Netflix, La vita davanti a sé: un film non all’altezza delle sue intenzioni
Sulla carta, La vita davanti a sé ha diversi elementi di pregio. Oltre alla protagonista, anche lo sguardo amorevole verso l’ambientazione regala scorci di un meridione alternativo. Pur nella sua genericità, Ponti ripercorre quelle vie del porto, i mercati, i vicoli dei borghi pugliesi e racconta un sud multietnico che – pur soffrendo – accoglie tutti coloro che ne hanno bisogno. Insomma, una bella immagine e un ottimo messaggio, considerato il momento storico e politico che viviamo da diversi anni.
Il tono del film, inoltre, è piuttosto lirico, anche nella sua crudezza. Si tratta di un “post-post-realismo”, un romanzo popolare in cui gli ultimi trovano il loro riscatto nei legami privati, che si creano nonostante tutte le diffidenze. Anche in questo caso, nulla da eccepire.
Eppure c’è qualcosa di molto contenuto, di molto “consueto” nel prodotto finale, qualcosa che impedisce a La vita davanti a sé di fare davvero la differenza. Una regia forse un po’ troppo televisiva, ma da TV nazionale, da prima serata, dove allo spettatore si consegna un’opera che lo rassicuri: sì, il cinema italiano è sempre questo, un costante aggiornamento di quello dei Maestri. Ma che nel tempo tende a sbiadirsi.