Pieces of a Woman: il film di Kornél Mundruczó, distribuito su Netflix, è un dramma in cui spicca la performance di Vanessa Kirby
Il baby shower nelle battute iniziali di Pieces of a Woman, con tanto di festoni in cui campeggia la scritta “It’s a girl”, sul posto di lavoro di Martha Weiss (Vanessa Kirby) e il saluto ai colleghi da parte del marito Sean Carson (Shia Labeouf), operaio specializzato nella costruzione di ponti, preannunciano l’arrivo di una bimba per questa coppia di sposi che, al netto delle differenze sociali evidenziate (ma non troppo approfondite) dal dramma diretto da Kornél Mundruczó, sembrano amarsi fortemente e vivere un rapporto di passione.
Capiamo ben presto però la felicità dei due coniugi è destinata a finire nel peggiore dei modi, per via di un parto che inizia male – con l’assenza imprevista della levatrice Barbara di cui Martha si fida ciecamente, al punto che sceglie di farla nascere in casa e la sostituzione all’ultimo momento con un’altra donna, Eva (Molly Parker) – e si conclude purtroppo assai peggio, con la povera bimba che abbandona la vita solo pochi istanti dopo averla ricevuta. Precisiamo subito per i più suscettibili che non si tratta di uno spoiler, sia perché avviene nelle fasi iniziali di Pieces of a Woman, sia perché è ben comprensibile già dalla sinossi.
Quello che sciocca tutti invece è il modo, audace e non banale, con cui il regista Mudruczò sceglie di farci vivere le intense sequenze del parto, che definire angosciante è riduttivo e che lascia immergere lo spettatore in un’atmosfera piena di inquietudine e sofferenza, avvalorata poi da un epilogo che si conosce già e che ad ogni modo è facilmente intuibile.
Interpretazioni che fagocitano il film
Venti minuti convulsi che iniziano dalla rottura delle acque e terminano con lo sventurato parto, in cui i tre protagonisti, compresa la levatrice caricano le proprie emozioni dandoci dimostrazione delle loro abilità interpretative. In particolar modo Vanessa Kirby, premiata con la Coppa Volpi a Venezia, è l’artefice di una performance incredibile, densa e costante nelle due ore di durata complessiva, in cui i sorrisi sono rari e circoscritti per lo più ai primi minuti, e che lasciano poi il campo a espressioni gelide, alternate a sentimenti d’odio, di rabbia, di sconfinata tristezza che pervadono la sua anima e sbriciolano anche questa storia di un matrimonio imperfetto, in cui comunque – al di là del dramma inimmaginabile – nessuno dei due fa mai qualcosa per ricomporre il puzzle. E allora ecco che pezzi di donna, di Martha, riempiono lo schermo anche al punto però di inglobare e fagocitarne la narrazione, e tutto diventa davvero Marthacentrico, forse troppo.
Pure il resto del cast comunque ben figura, a partire dal solito (e solido) Shia Labouef, ancora alle prese con un ruolo d’impatto, che attinge anche da vicende personali e in cui mostra una performance ruvida ma perfetta per il personaggio di Sean. Fondamentale nell’economia del racconto anche il ruolo della madre di lei, impersonata da Ellen Burstyn, come al solito impeccabile, ma soprattutto è interessante segnalare la perfetta scelta di casting di Anita, sorella di Martha, per la quale la troupe di Mundruczó ha selezionato Iliza Shlesinger, che somiglia in modo impressionante alla Kirby.
Interpretazioni di spessore, dunque, per un racconto complesso seppur portato avanti esclusivamente dal dramma vissuto dai protagonisti, che di certo ha la capacità di entrare sin da subito nel cuore degli spettatori, che empatizzano in particolar modo con Martha e le sue terribili vicende, ma che restituisce – alla fine della fiera – poco altro.
Il dramma della morte inghiottisce la narrazione e non consente agli eventi concatenati ad esso, in primo luogo il rapido e inesorabile consumarsi e spegnersi del rapporto dei due coniugi, di esser raccontati nella maniera più giusta, restando sempre ai margini, poco approfonditi e fin troppo scollati dall’evento principale. Un vero peccato, perché Pieces of Woman (su Netflix dal 7 gennaio 2021) aveva un gran potenziale e se in fase di scrittura si fosse scelto di dar più spazio agli sviluppi successivi alla tragedia, senza tuttavia svilirne l’importanza, avremmo avuto a che fare con un’opera probabilmente di tutt’altro livello, avvalorata peraltro da interpretazioni eccellenti e da una regia con pochissime sbavature.