L’estate in cui imparammo a volare è una serie sorprendente, che riesce a raccontare due tipi umani sfaccettati e complessi
Due donne, due amiche, due personalità complesse e ricche di sfumature. L’estate in cui imparammo a volare – questo il titolo italiano del più efficace Firefly Lane – è (o dovrebbe essere) il nuovo prodotto di punta di Netflix. Questo racconto di amicizia ordinaria, ma specialissima, tra due ragazze della provincia americana è davvero una bella sorpresa. Due attrici, due volti amati della commedia – Katherine Heigl e Sarah Chalke – si confrontano con dei ruoli drammatici, riuscendo a convincere, ammaliandoci.
Diversi elementi fanno apprezzare profondamente L’estate in cui imparammo a volare, che merita per questo un endorsement accorato. Tra le altre cose, il modo in cui è pensata e costruita la serie aggancerà lo spettatore episodio dopo episodio. Un obiettivo comune a tutti i prodotti in puntate, ma che non sempre riesce così bene. No, con la serie della Friedman sarà praticamente impossibile resistere alla tentazione di andare avanti e macinare episodi. Sono dieci, in tutto. Ma alla fine avresti voluto ce ne fossero il doppio.
Due amiche e un paio di jeans
Le belle storie di amicizia sono alla base dei feel good movie più amati di sempre. Superano il potenziale ansiogeno delle commedie romantiche e – spesso – hanno in sé messaggi anche più edificanti. E l’amicizia nel cinema, si sa, spesso fiorisce sin dai tempi della scuola e accompagna per tutta la vita. Questo è sicuramente il caso di Tully (Heigl) e Kate (Chalke), due ragazzine molto diverse che si incontrano nella periferia di Firefly Lane. La via delle lucciole – nella sua accezione più poetica – è animata da uno strano senso di sospensione, in grado di far fiorire queste giovani donne nonostante le brutture che le circondano. Le loro famiglie, come vedremo nel corso delle puntate, sono tutt’altro che perfette, ma il rapporto tra le due ragazze riesce nella titanica impresa del “noi due contro il mondo”, che spesso distrugge, ma a volte salva.
Tully e Kate crescono insieme, spalleggiandosi l’un l’altra e condividendo il sogno del giornalismo. Anche qui diventa presto chiaro allo spettatore quali siano le nette differenze fra le due, e quanto siano entrambe a loro modo tristi e sole.
L’amica brillante
Il tema de L’estate in cui imparammo a volare non è né particolarmente originale, né trattato in maniera rivoluzionaria. Probabilmente, anzi, Kristin Hannah – autrice del romanzo da cui è tratta la serie e anche di parte della sceneggiatura – voleva esercitarsi in due ritratti opposti. L’ordinarietà assoluta di Kate, con cui è inevitabile entrare in empatia, e l’essere sopra le righe di Tully. Entrambe le protagoniste, anzi si confrontano narrativamente con i cliché letterari a cui sono inevitabilmente ricondotte. Entrambe, in diversi momenti della storia, si ribellano a queste gabbie, entrambe vorrebbero reinventarsi. Alla fine, non capita anche ai non-personaggi di trovarsi a vivere secondo un copione già scritto? L’ingenua, la stronza, la santa, la puttana. Vivere col pilota automatico può essere comodo ma, come ci mostrano Tully e Kate, anche terribile.
Per questo, delle due, forse la più ordinaria e piatta è proprio la brillante e strepitosa Tully, ingabbiata in una maschera tragica, cinica e beffarda.
L’estate in cui imparammo a volare: avanti e indietro nel tempo
Come si accennava in apertura, una delle caratteristiche più efficaci de L’estate in cui imparammo a volare è la struttura narrativa che aggancia ogni episodio all’altro. Noterete che nel corso della prima stagione (non sappiamo se ce ne sarà una seconda, ma sembrerebbe strano il contrario) gli autori disseminano la narrazione di indizi e falsi indizi. Tutta la serie gioca su tra piani temporali, quello in cui Tully e Kate sono adolescenti, quello in cui hanno vent’anni e muovono i primi passi nel lavoro e nelle relazioni e quello contemporaneo (quasi, ambientato nel 2003). Qua le due donne hanno superato i quaranta, e si confrontano con le conseguenze non sempre felici delle loro scelte.
Diametralmente opposte, fino alla fine (della stagione), Kate e Tully sono interpretate da due attrici in piena forma. Sarah Chalke ha conquistato il pubblico con i personaggi di Elliot in Scrubs e Stella in How I met your mother. Katherine Heigl viene invece da Grey’s Anatomy, ma la sua carriera nella commedia americana è lunga e brillante. Qui le due attrici portano con orgoglio il loro volto più naturale e maturo, patinato e camuffato quando interpretano i loro personaggi ventenni. Indubbiamente è una prova attoriale calibrata su un casting ben studiato, che riuscirà – magari – a regalare alla dottoressa Elliot Reid il suo terzo ruolo cult.
Perché potrebbe piacervi L’estate in cui imparammo a volare
Nonostante il titolo acchiappone e un po’ smielato, L’estate in cui imparammo a volare è una serie che parla di sentimenti in maniera abbastanza onesta e “pulita”. Certamente, le due donne sono un concentrato di esperienze drammatiche pensate per indagare i traumi più o meno comuni dell’essere donna. Ma, purtroppo, neanche questa concentrazione è del tutto inverosimile.
Certo di tratta dell’ennesimo dramma sentimentale, e neanche il tema dell'”amicizia tra donne” è così originale. Tuttavia, la scrittura e l”interpretazione, oltre che diverse scelte registiche e un commento musicale a tratti commovente, rendono questo un prodotto di grande qualità. Insomma, una vittoria del “come” sul “cosa”, che fa venir voglia di scoprirne sempre di più sui personaggi e le loro storie. Che presenta due vite ordinarie con un approccio intrigante, nel senso più letterale del termine. A volte tenere, a volte crudeli, Tully e Kate sono due protagoniste a cui è facile affezionarsi.
Trovate la prima stagione de L’estate in cui imparammo a volare in streaming su Netflix.